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Un gelido senso di nausea scosse Rhys, che si lasciò sfuggire un lieve rantolo.

“Te l’avevamo detto”, disse Nightshade. “Non è vero, Atta?”

La cagna ringhiò di nuovo.

“Se vuoi un consiglio, ributtala in mare”, disse Nightshade. “Solo la notte scorsa intendeva torturarti perché tu non volevi dirle chi fosse, quando le hai detto che non conoscevi la risposta, e voleva fare morire me e Atta fra i tormenti. Te lo ricordi?”

Rhys si riprese dallo choc iniziale. “Io non la ributto in mare. Molte persone hanno i capelli rossi.”

Proseguì verso la grotta.

Nightshade sospirò. “Non pensavo che mi ascoltasse. Vado a cercare la legna da ardere. Andiamo, Atta.”

Il kender si incamminò, senza molto entusiasmo. Atta diede un’occhiata preoccupata a Rhys, quindi trotterellò dietro al kender.

Rhys trasportò la bambina dentro la grotta, che non era molto confortevole e certamente non molto asciutta; il fondo disseminato di pietre era ancora umido, e qua e là vi erano pozzanghere. Ma perlomeno lì erano al riparo dal vento. Un fuoco ardente avrebbe presto riscaldato quella caverna fredda.

La bambina si agitò e gemette di nuovo. Rhys le sfregò le mani fredde per riscaldarle e le lisciò i capelli bagnati, di colore ramato.

“Bambina”, disse dolcemente. “Non avere paura. Sei al sicuro.”

La bambina aprì gli occhi, occhi d’ambra, ambra limpida, come il miele, dorata e pura. Gli stessi occhi di Mina senza però le anime imprigionate che Rhys aveva visto negli occhi della dea.

“Ho freddo”, si lamentò la bambina, tremando.

“Il mio amico è andato a raccogliere legna per il fuoco. Fra poco ti riscalderai.”

La bambina lo fissò, gli guardò la veste arancione. “Sei un monaco.” Aggrottò le sopracciglia, come se cercasse di ricordare qualcosa. “I monaci vanno in giro ad aiutare la gente, vero? Tu mi aiuterai?”

“Volentieri, bambina”, disse Rhys. “Che cosa vuoi che faccia?”

Il volto della bambina si contrasse. Adesso era completamente sveglia e tremava, al punto che le battevano i denti. La sua presa sulla mano di Rhys si intensificò.

“Mi sono persa”, disse. Il labbro inferiore le tremava. Gli occhi le si colmarono di lacrime. “Sono scappata di casa e adesso non so più tornare indietro.”

Rhys provò sollievo. Nightshade aveva torto. La bambina probabilmente era figlia di qualche pescatore ed era stata sorpresa dalla tempesta e sospinta in mare. Non poteva avere fatto molta strada, a piedi. Il suo villaggio doveva essere lì vicino. Rhys ebbe compassione dei genitori. Dovevano essere impazziti per la preoccupazione.

“Quando ti sarai riscaldata, ti ci porterò io, bambina”, promise Rhys. “Dove abiti?”

La bambina si raggomitolò tutta tremante. Chiuse gli occhi e sbadigliò. “Probabilmente non ne hai mai sentito parlare”, disse assonnata. “È un posto che si chiama…”

Rhys dovette chinarsi più vicino per udire quel sussurro sonnolento.

“Godshome.”

2

Gli dei avevano osservato con stupore e allarme una mortale, Mina, scendere fin sul fondo del Mare di Sangue, impadronirsi della Torre dell’Alta Magia da poco restaurata e trascinarla in alto da sotto le onde per offrirla in dono al suo amato, Chemosh.

Evidentemente Mina non era una mortale. I maghi più potenti mai vissuti non avrebbero potuto compiere una simile prodezza, e nemmeno i chierici più potenti. Soltanto un dio avrebbe potuto farlo, e ora tutti gli dei erano in preda all’agitazione e alla costernazione e cercavano di definire che cosa stesse succedendo.

“Chi è questa nuova divinità?” strepitavano gli altri dei. “Da dove viene?”

Il loro timore era naturalmente che Mina fosse qualche divinità forestiera, qualche intrusa che scavalcando i cieli fosse giunta nel loro mondo.

I loro timori furono acquietati. Mina era una di loro.

Majere era in possesso delle risposte.

“Da quando lo sai?” domandò Gilean al dio monaco.

Gilean era il Signore degli Dei della Neutralità, che agivano da moderatori fra la luce e le tenebre. Gli dei neutrali adesso erano i più forti, il loro numero era aumentato per via dell’esilio volontario di Paladine, signore degli Dei del Bene, e della cacciata della regina Takhisis, signora degli Dei del Male. Gilean assumeva l’aspetto di un saggio erudito, un uomo di mezza età dall’intelletto acuto e dagli occhi freddi e distaccati.

“Da molti, molti eoni, Dio del Libro”, rispose Majere.

Dio della Saggezza, Majere indossava una veste arancione e non portava armi. Il suo aspetto era generalmente mite e sereno, ma adesso era carico di dispiacere e di rammarico.

“Perché tenerlo segreto?” domandò Gilean.

“Non stava a me svelarlo”, rispose Majere. “Ho dato il mio giuramento solenne.”

“A chi?”

“A qualcuno che non è più tra noi.”

Gli dei rimasero in silenzio.

“Presumo che tu intenda Paladine”, affermò Gilean. “Ma c’è n’è un’altra che non è più tra noi. Questo ha qualcosa a che vedere con lei?”

“Takhisis?” Majere parlò aspramente. La sua voce si indurì. “Sì, è lei la responsabile di tutto questo.”

Parlò Chemosh. “Le ultime parole di Takhisis, prima che il Dio Supremo venisse a prenderla, sono state queste: “State commettendo un errore! Ciò che io ho fatto non può essere disfatto. La maledizione è su di voi. Se distruggete me distruggerete voi stessi”.

“Perché non ce l’hai detto?” domandò Gilean, guardando torvo il Signore delle Ossa.

Chemosh era un dio vanitoso e di bell’aspetto, con i capelli neri lunghi e morbidi e gli occhi scuri, vuoti e freddi come le tombe dei morti maledetti su cui presiedeva.

“La Regina delle Tenebre lanciava sempre maledizioni.” Chemosh alzò le spalle. “Perché questa doveva essere diversa?”

Gilean non aveva risposte. Tacque, e pure gli altri dei tacquero, in attesa.

“La colpa è mia”, disse alla fine Majere. “Io ho agito per il meglio. O almeno così credevo.”

Mina era distesa fredda e immobile sul parapetto merlato. Chemosh voleva andare da lei, confortarla, ma non osava. Non certo con tutti loro a osservarlo. Domandò a Majere: “È morta?”.

“Non è morta, perché non può morire.” Majere guardò ognuno di loro, l’uno dopo l’altro. “Siamo stati ciechi. Ma adesso voi vedete la verità.”

“Vediamo, ma non capiamo.”

“Invece sì”, disse Majere. Congiunse le mani e guardò verso il firmamento. “Ma non volete capire.”

Non vedeva le stelle. Vedeva la prima luce delle stelle.

“Tutto è cominciato all’inizio del tempo”, disse. “Ed è cominciato con gioia.” Sospirò profondamente. “E adesso, poiché io non ho parlato, potrebbe finire con aspro dolore.”

“Spiegati, Majere!” ringhiò Reorx, lisciandosi la lunga barba. Il Dio Forgiatore, che aveva l’aspetto di un nano in onore della sua razza preferita, non era noto per la sua pazienza. “Non abbiamo tempo per le tue ciance!”

Majere spostò lo sguardo dall’inizio del tempo al presente. Guardò giù verso Mina.

“È una dea che non sa di essere una dea. È una dea convinta con l’inganno a ritenersi umana.”

Majere fece una pausa, come per riacquistare il controllo di sé. Quando parlò, la sua voce era sommessa a causa dell’ira. “È una dea del Bene, ingannata da Takhisis e indotta a servire il Male.”

Majere tacque. Gli altri dei gridarono domande, pretesero risposte. Per tutto il tempo Mina rimase priva di sensi sul parapetto merlato del castello di Chemosh, mentre attorno a lei infuriava quella tempesta fatta di collera e disorientamento, accuse e recriminazioni. Il trambusto era tale che quando Mina si svegliò nessuno se ne accorse. Mina osservò quegli esseri bellissimi, radiosi, tenebrosi e terribili che a lunghi passi percorrevano i cieli, scagliando fulmini e facendo tremare la terra con la loro furia. Mina li udiva urlare il suo nome, ma comprendeva soltanto che tutto questo era colpa sua.