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Tutto questo lasciava presagire bene, ma Nightshade era un kender prudente e si era preparato un incantesimo da usare, casomai.

“Se viene fuori che è una strega orribile”, sussurrò a Mina, “io grido “scappa” e tu scappi. Non preoccuparti per me. Ti raggiungerò”.

Mina annuì nervosamente. Nightshade dovette staccare a forza la mano da quella di lei, poiché avrebbe avuto bisogno di una mano per bussare alla porta e dell’altra per creare il suo incantesimo casomai venisse ad aprire una strega.

“Atta, stai pronta”, disse per avvertire la cagna.

Raggiungendo la porta, Nightshade bussò vivacemente.

“Ehi!” esclamò. “C’è nessuno in casa?”

La porta si aprì e la luce si riversò fuori. Sulla soglia vi era una donna. Nightshade non la vedeva molto bene, poiché la luce vivida gli abbagliava gli occhi. La donna era tutta vestita di bianco e Nightshade ebbe l’impressione che fosse buona, gentile e affettuosa eppure forte, potente e autorevole. Non sapeva come qualcuno potesse essere tutte queste cose insieme, ma lui sentiva che era così ed era un po‘“timoroso.

“Salve, signora”, disse. “Io mi chiamo Nightshade, sono un kender nightstalker e conosco alcuni incantesimi potenti. Questa è Mina e questa è Atta, una varietà di cane che morde. Ha i denti davvero aguzzi.”

“Salve, Mina, Nightshade e Atta”, disse la donna tendendo la mano verso la cagna. Atta gliela annusò e poi, con immenso stupore di Nightshade, si alzò sulle zampe posteriori e mise quelle anteriori sul petto della donna.

“Atta! Non fare così!” ordinò Nightshade, sconvolto. “Mi dispiace, signora. Non dovrebbe saltare addosso alla gente.”

“Non fa niente”, disse la donna, lisciando delicatamente il pelo sulla testa di Atta e sorridendo a Nightshade. “Tu e la tua piccola amica sembrate stanchi e affamati. Non volete entrare?”

Nightshade esitò, e Mina non si muoveva.

“Non ci ficcherete nel forno, vero?” domandò Mina guardinga.

La donna rise. Aveva una risata meravigliosa, di quel genere che inondava di piacere Nightshade.

“Qualcuno ti ha raccontato delle fiabe”, disse la donna con un’occhiata divertita al kender. Tese la mano a Mina. “Per una strana combinazione, però, ho cucinato del panpepato. Se venite dentro potrete dividerlo con me.”

Nightshade la considerò una combinazione davvero molto strana, forse sinistra. Atta aveva però già accettato l’invito. La cagna trotterellò dentro casa e, trovando un posto accanto al fuoco, si accucciò, avvolse la coda attorno alle zampe, seppellì il naso nella coda e si sistemò comoda. Mina prese la mano della donna e acconsentì ad entrare, lasciando Nightshade tutto solo sulla veranda con l’aroma allettante del panpepato appena cotto a martellargli lo stomaco.

“Possiamo fermarci poco”, disse, superando lentamente la soglia. “Solo fino a quando ci trova il nostro amico Rhys Mason. È un monaco di Majere e davvero agile con i piedi.”

La donna tagliò un pezzo di panpepato, lo mise in una scodella e lo porse a Mina, assieme a un cucchiaio. Poi versò sul panpepato della crema dolce. Ne tagliò un altro grosso pezzo e lo offrì al kender.

Nightshade si arrese.

“È buonissimo, signora”, bofonchiò con la bocca piena. “Deve essere il panpepato migliore che io abbia mai mangiato. Saprei dirlo con certezza se ne potessi avere un altro pezzo.”

La donna gliene tagliò un’altra fetta.

“Decisamente il migliore”, disse Nightshade, pulendosi la bocca col tovagliolo e infilandosi accidentalmente in tasca il tovagliolo e il cucchiaio.

Mina si era addormentata col panpepato sbocconcellato tra le dita. Se ne stava con la testa appoggiata sulle braccia a mò di cuscino sul tavolo. La donna la guardava, lisciandole dolcemente i capelli ramati. Anche Nightshade si sentiva assonnato. Una delle prime regole del viaggiare era che non bisognava addormentarsi in una casa sconosciuta nel mezzo di una foresta buia, per quanto buono fosse il panpepato. Gli occhi continuavano a volersi chiudere, così Nightshade si tenne le palpebre aperte con le dita e prese a parlare, sperando che il suono della propria voce lo aiutasse a tenersi sveglio.

“Vivete qui da sola, signora?” domandò.

“Sì”, rispose lei. Andò a una sedia a dondolo collocata accanto al fuoco e si sedette.

“Non fa paura?” domandò Nightshade. “Vivere in mezzo a una foresta buia? Perché vivete qui?”

“Offro riparo a chi si perde nella notte”, disse la donna. Abbassò il braccio per accarezzare Atta, che era distesa accanto alla sedia. Atta le leccò la mano e appoggiò il naso sul piede della donna.

“Riescono ad arrivare qui molte persone?” domandò Nightshade.

“Molte”, disse la donna, “ma vorrei che fossero di più a riuscire a trovarmi”.

Prese a dondolarsi avanti e indietro sulla sedia, canticchiando a bocca chiusa una canzone dolce.

Nightshade si sentiva al caldo, al sicuro e in pace. Non riusciva più a tenere su la testa e la appoggiò sul tavolo. Le palpebre sembravano decise a chiudersi a qualunque costo. Si rese conto di non conoscere il nome della donna, ma adesso non gli pareva importante. Non abbastanza importante da indurlo a destarsi da quel benefico tepore per domandarglielo.

Si accorse a malapena che la donna si alzava dalla sedia e andava verso Mina. Si accorse a malapena che la donna prendeva fra le braccia la bambina addormentata, la teneva stretta e la baciava.

Mentre il sonno calava lentamente su di lui, a Nightshade parve di udire la donna sussurrare affettuosamente: “Mina… la mia bambina… tutta mia…”.

2

Rhys percorreva la strada maestra che conduceva a nord di Solace, sicuro di essere sulle tracce dei suoi amici. Non soltanto quella matrona aveva visto il kender, la bambina e il cane, ma lui aveva incontrato anche altri lungo la strada che li avevano visti. I tre erano assieme, stavano bene e procedevano verso nord.

Rhys si rallegrò nel venire a sapere che i tre, pur essendosi messi in cammino diverse ore prima che partisse al loro inseguimento, non erano poi molto più avanti di lui. Temeva che Mina si fosse messa in testa di andare a Godshome camminando a passo divino, ma a quanto pareva lei, il kender e la cagna avanzavano piano, spostandosi lentamente. Rhys quasi si aspettava di trovarli seduti da qualche parte lungo la strada, con i piedi doloranti e stanchi di litigare.

Il tempo passava e Rhys ancora non li vedeva. Cominciò a domandarsi se fossero sempre davanti a lui. Non aveva modo di saperlo con certezza. Non incontrava più tanti viandanti. Stava calando la notte e ancora non li aveva avvistati. Immaginando di doverli cercare dopo l’imbrunire, aveva preso a prestito da Laura una lanterna, e adesso accese la candela all’interno e la fece lampeggiare qua e là mentre procedeva. Sapeva, in base alle passate esperienze con le pecore smarrite, che una ricerca effettuata di notte era tediosa e difficile e spesso infruttuosa. Avrebbe potuto superarli nel buio senza accorgersene.

La ricerca sarebbe stata più facile se avesse avuto con sé Atta. Senza il suo cane, si domandava se non sarebbe stato più sicuro fermarsi e aspettare di riprendere la ricerca al mattino. Poi pensò a quei tre da soli e sorpresi dalle tenebre in un luogo deserto, e avanzò di fretta.

Giunse al luogo in cui la strada si biforcava. I sassi accatastati erano chiaramente visibili alla luce della lanterna, e Rhys si sentì sollevato. Poteva ipotizzare ragionevolmente che fossero stati messi lì dal kender per indicare la direzione verso cui procedevano, un’ipotesi corroborata dal fatto che Rhys vide in un punto le impronte delle zampe di Atta e in un altro l’impronta di uno stivale piuttosto piccolo.

Prese la strada verso est ed entrò nella foresta. Presto raggiunse la casa, anche se non capì subito che ci fosse una casa. Camminava lentamente, stando attento al sentiero, cercando tracce dei dispersi. Di quando in quando si fermava e in una di queste occasioni vide il minuscolo puntino di luce che brillava nella notte come una stella fissa.