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Proseguì finché giunse a un luogo in cui il sottobosco calpestato e i ramoscelli spezzati indicavano che i suoi amici si erano allontanati dal sentiero entrando nel bosco. Procedevano in direzione della luce, che a giudizio di Rhys proveniva da una candela collocata a una finestra, un faro lasciato lì a guidare chi vagasse nella notte.

Percorse il sentiero lastricato. I fiori si erano chiusi per dormire. La casupola era avvolta nel silenzio. Sul sentiero aveva udito i rumori dovuti ai movimenti degli animali nella foresta, il richiamo degli uccelli notturni. Qui tutto era silenzioso, dolce e riposante. Rhys non si sentiva a disagio, non provava una sensazione di minaccia o pericolo. Avvicinandosi vide che le tende alla finestra erano state scostate. La candela era collocata in un candeliere d’argento sul davanzale della finestra. Alla luce di un fuoco morente, vide una donna seduta su una sedia a dondolo, che teneva fra le braccia una bambina addormentata.

La donna si dondolava lentamente avanti e indietro. La testa di Mina era posata sul petto della donna. La bambina era troppo grande per essere cullata come una neonata e non l’avrebbe mai consentito, se fosse stata sveglia. Ma era profondamente addormentata e non l’avrebbe mai saputo.

L’espressione sul volto della donna era di un tale dolore indicibile che colpì al cuore Rhys. Questi vide Nightshade addormentato con la testa sul tavolo e Atta che sonnecchiava accanto al fuoco. Era riluttante, all’improvviso, a bussare, non volendo disturbare nessuno di loro. Adesso che sapeva i suoi amici al sicuro, voleva lasciarli lì e tornare a prenderli al mattino.

Si stava già allontanando quando Atta udì i suoi passi oppure percepì il suo odore, dal momento che emise un latrato soffocato di benvenuto. Balzando in piedi, corse alla porta e prese a guaire e a grattarla.

“Entra, fratello”, esclamò la donna. “Ti stavo aspettando.”

Rhys aprì la porta, che non era chiusa a chiave, ed entrò in casa. Accarezzò Atta, che dimenava non soltanto la coda ma l’intera parte posteriore del corpo in segno di gioioso saluto. Nightshade aveva sobbalzato all’abbaiare di Atta, ma il kender era tanto esausto che si rimise a dormire senza svegliarsi.

Rhys si avvicinò alla donna e si inchinò profondamente con riverenza.

“Allora mi conosci”, disse lei, alzando gli occhi verso Rhys con un sorriso.

“Sì, Signora Bianca”, disse Rhys sottovoce, in modo da non svegliare Mina.

La donna annuì. Accarezzò i capelli di Mina e poi la baciò delicatamente sulla fronte. “Così conforterei tutti i bambini che stanotte sono smarriti e infelici.”

Alzandosi in piedi, la Signora Bianca, come alcuni chiamavano la dea Mishakal, portò Mina verso il letto. Vi adagiò la bambina e la coprì con una trapunta. Rhys picchiettò delicatamente sulla spalla Nightshade.

Il kender aprì un occhio ed emise un grosso sbadiglio. “Oh, ciao, Rhys. Sono contento che tu sia vivo. Assaggia il panpepato”, gli consigliò Nightshade, e si rimise a dormire.

Mishakal se ne stava in piedi e guardava verso Mina. Rhys era sopraffatto dall’emozione, aveva il cuore troppo gonfio per parlare, anche se sapeva quali parole dire. Percepiva il dolore della dea, costretta a far sprofondare in un sonno eterno la bambina nata dalla gioia al momento della creazione del mondo, sapendo che sua figlia non avrebbe mai visto la luce che l’aveva fatta nascere. E poi era giunta la constatazione ancora più terribile del fatto che quando sua figlia aveva aperto gli occhi per la prima volta non avesse guardato la luce bensì le tenebre crudeli.

“Non accade spesso che un mortale compatisca una divinità, fratello Rhys e che una divinità si meriti il compatimento di un mortale.”

“Io non vi compatisco, Signora”, disse Rhys. “Io sono afflitto per voi e per lei.”

“Grazie, fratello, per il tuo affetto nei suoi riguardi. Lo so che sei stanco, e qui troverai riposo fintanto che ti è necessario. Se puoi sottrarti alla stanchezza ancora per un po’, fratello, dobbiamo parlare, tu e io.”

Rhys si sedette al tavolo su cui vi erano ancora briciole sparse di panpepato.

“Mi dispiace per la distruzione e la perdita di vite umane a Solace, Signora Bianca”, disse Rhys. “Mi sento responsabile. Non avrei dovuto portare Mina lì. Sapevo che Chemosh la stava cercando. Di conseguenza, avrei dovuto prevedere che avrebbe cercato di rapirla…”

“Tu non sei responsabile delle azioni di Chemosh, fratello”, disse Mishakal. “È stato un bene che tu e Mina vi trovaste a Solace al momento dell’attacco di Krell. Se tu fossi stato da solo, non avresti potuto respingere lui e i suoi Guerrieri delle Ossa. Per come sono andate le cose, i miei sacerdoti, quelli di Majere, quelli di Kiri-Jolith, di Gilean e altri erano lì ad aiutarti.”

“Degli innocenti sono morti nel corso di quella battaglia…” ricordò Rhys.

“E Chemosh sarà chiamato a rispondere della loro vita”, disse severamente Mishakal. “Si è fatto beffe del decreto di Gilean cercando di rapire Mina. Ha attirato su di sé l’ira di tutti gli dei, compresa quella dei suoi stessi alleati, Sargonnas e Zeboim. Una compagine di minotauri sta già marciando contro il castello di Chemosh presso Flotsam con l’ordine di raderlo al suolo. Il Signore della Morte è fuggito da questo mondo e ora è asserragliato nella Sala dei Morti. I suoi chierici vengono inseguiti e annientati.”

“Ci sarà un’altra guerra?” domandò Rhys, atterrito.

“Nessuno può dirlo”, rispose gravemente Mishakal. “Dipende da Mina. Dalle scelte che compirà.”

“Perdonatemi, Signora Bianca”, disse Rhys, “ma Mina non è in grado di compiere scelte. Ha l’intelletto profondamente turbato”.

“Io non ne sono tanto sicura”, disse Mishakal. “Mina stessa ha preso la decisione di andare a Godshome. Nessuno di noi gliel’ha suggerito. Il suo istinto la attira lì.”

“Che cosa spera di trovare?” domandò Rhys. “Incontrerà davvero Goldmoon, come si aspetta?”

“No”, disse Mishakal, sorridendo. “Lo spirito della mia servitrice benedetta, Goldmoon, è lontano da qui, sta proseguendo il viaggio della sua anima. Eppure Mina va davvero a Godshome alla ricerca di una madre. Cerca la madre che l’ha messa al mondo con gioia, e cerca la madre tenebrosa, Takhisis, che l’ha riportata in vita. Deve scegliere quale delle due seguire.”

“E finché non prende la sua decisione, questa disputa religiosa proseguirà”, disse Rhys contrariato.

“Purtroppo è così, fratello. Se Mina potesse vedersi assegnare un’eternità di tempo per decidere, alla fine troverebbe la sua strada.” Mishakal emise un lieve sospiro. “Ma noi non abbiamo un’eternità di tempo. Come tu temi, quella che è cominciata come disputa diventerà una guerra totale.”

“Porterò Mina a Godshome”, disse Rhys. “L’aiuterò a trovare la sua strada.”

“Tu sei la sua guida, il suo custode e il suo amico, fratello”, disse Mishakal. “Ma non puoi portarla a Godshome. Uno solo può farlo. Uno con cui il destino di Mina è legato inestricabilmente. Ammesso che lui acconsenta a farlo. Ha la facoltà di rifiutare.”

“Non capisco, Signora Bianca.”

“Gli Dei del Bene hanno fatto questa promessa all’uomo: i mortali sono liberi di scegliere il proprio destino. Tutti i mortali.”

Rhys udì la lieve sottolineatura della parola “tutti” e la ritenne strana, come se la dea stesse includendo un mortale che altrimenti potrebbe essere escluso in quanto eccezionale. Domandandosi che cosa intendesse dire, ripensò alle parole della dea e all’improvviso capì.

“Tutti i mortali”, ripeté Rhys. “Perfino quelli che un tempo erano dei. Parlate di Valthonis!”

“Andando a Godshome a cercare sua madre, Mina va anche a cercare suo padre. Valthonis, che un tempo era Paladine, non è vincolato dall’editto di Gilean. Valthonis è l’unico che possa aiutarla a trovare la sua strada.”