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Gli gnomi venivano a discutere col Dio che Cammina le bozze di progetto delle loro ultime invenzioni, e Valthonis le studiava e cercava con quanta più diplomazia possibile di evidenziarne i difetti di progettazione suscettibili di provocare lesioni o decessi.

Con Valthonis c’erano sempre degli elfi, molti dei quali rimanevano con lui per lunghi periodi. Tra i Fedeli vi erano anche degli esseri umani, anche se tendevano a trattenersi per periodi di tempo più brevi rispetto agli elfi. Paladini di Kiri-Jolith e Cavalieri di Solamnia venivano spesso a parlare con Valthonis riguardo alle loro imprese, chiedendo benedizioni o entrando a far parte del suo seguito. Per un certo periodo viaggiò con loro un nano di collina, un sacerdote di Reorx, che diceva di essere venuto in memoria di Flint Fireforge.

Valthonis percorreva tutti i sentieri e le strade maestre, fermandosi solo per riposare e dormire. Consumava lungo la strada i suoi pasti frugali. Quando arrivava in una città, ne percorreva le vie, fermandosi a parlare con quanti incontrasse, senza rimanere mai a lungo nello stesso posto. Spesso i sacerdoti gli chiedevano di tenere sermoni o lezioni. Valthonis rifiutava sempre. Lui parlava mentre camminava.

Molti venivano a conversare con lui. Molti venivano con fede, ad ascoltare e ad apprendere. Ma vi erano anche coloro che venivano da scettici, coloro che volevano contestarlo, deriderlo o schernirlo. I Fedeli in queste occasioni dovevano trattenersi, poiché Valthonis permetteva di intervenire solo se qualcuno diventava violento, e anche allora era molto più preoccupato dell’incolumità di quanti lo circondavano che di se stesso.

Giorno dopo giorno i Fedeli andavano e venivano. Ma Elspeth era sempre con lui.

Quel giorno, mentre percorrevano le strade tortuose attraverso i Monti Khalkist, da qualche parte nelle vicinanze della maledetta valle di Neraka, la silenziosa Elspeth sbalordì il gruppo abbandonando il suo posto consueto ai margini della comitiva e avvicinandosi gradatamente a Valthonis fino ad accodarsi a lui. Valthonis non si accorse di lei, poiché stava conversando con un seguace di Chislev, discutendo su come rimediare alle depredazioni del territorio dovute ai draghi dominatori.

I Fedeli notarono la mossa di Elspeth e la ritennero strana, ma non ci badarono più. Solo in seguito ci ripensarono e con dispiacere si rammaricarono di non avervi prestato maggiore attenzione.

Galdar nutriva sentimenti contrastanti riguardo al proprio incarico. Si sarebbe ricongiunto a Mina, e non era sicuro di quale fosse la propria reazione in proposito. Da un lato era contento. Non la vedeva dall’epoca della loro separazione forzata davanti alla tomba di Takhisis, quando lei si era abbandonata fra le braccia del Signore della Morte. Galdar aveva cercato di fermarla, ma il dio lo aveva strappato dal suo posto al fianco di Mina. Ciò nonostante sarebbe andato a cercarla, ma Sargas gli aveva fatto capire di avere un’opera più importante da compiere per il suo dio e il suo popolo che rincorrere una sciocca ragazzetta umana.

Galdar in seguito aveva avuto notizie di Mina, di come fosse diventata somma sacerdotessa di Chemosh, prediletta dal Signore delle Ossa, si era accigliato e aveva scrollato la testa munita di corna. Che Mina fosse diventata sacerdotessa era uno spreco deplorevole. Galdar non sarebbe rimasto altrettanto sconvolto se avesse sentito dire che il celebre eroe militare dei minotauri Makel Flagello degli Orchi fosse diventato un druido e fosse andato in giro a guarire coniglietti neonati.

Per questo motivo Galdar era riluttante a incontrare di nuovo Mina. Se la donna che, intrepida e coraggiosa, aveva cavalcato con lui a dorso di drago per ingaggiare battaglia col temibile drago dominatore Malys era adesso una seguace dello scaltro e infido Chemosh e giocava con le ossa, cantilenava incantesimi e depredava tombe, Galdar non voleva avere nulla a che fare con lei. Non voleva vederla così. Voleva ricordarla come condottiera conquistatrice, non come sacerdotessa menzognera.

L’incarico non gli piaceva anche per un altro motivo. Riguardava gli dei, e Galdar aveva fatto indigestione di dei durante la Guerra delle Anime. Al pari del suo vecchio nemico diventato amico, Gerard, Galdar voleva avere quanto meno possibile a che fare con gli dei. I suoi sentimenti in proposito erano tanto intensi che lui quasi aveva rifiutato l’incarico, anche se questo avrebbe significato dire di no a Sargas, una cosa che nemmeno i figli del dio osavano fare.

Alla fine avevano prevalso la fede di Galdar in Sargas (e il suo timore del dio) e il suo desiderio di vedere Mina. Con riluttanza acconsentì ad accettare l’incarico (va notato che Sargas non disse a Galdar la verità: ossia che anche Mina era una dea. Il Dio dalle Corna evidentemente la riteneva una prova troppo ardua per il suo fedele seguace).

Galdar e la piccola pattuglia di minotauri ai suoi ordini trascorsero un tempo considerevole a sondare il nemico, stabilirne l’entità, valutarne le capacità. Da comandante cauto e intelligente, Galdar non diede subito per scontato, come facevano alcuni della sua razza, che solo perché affrontavano degli elfi i suoi soldati avrebbero avuto vita facile. Galdar aveva combattuto contro gli elfi durante e dopo la Guerra delle Anime ed era giunto a rispettarli come guerrieri, anche se non aveva una grande opinione di loro sotto ogni altro aspetto. Inculcò nelle sue truppe il concetto che gli elfi fossero combattenti abili e tenaci, e che avrebbero combattuto ancora più ferocemente per via della loro fedeltà e dedizione al Dio che Cammina.

Galdar predispose la sua imboscata nella regione selvaggia dei monti Khalkist. Scelse questa regione perché calcolava che quando il Dio che Cammina fosse stato lontano dalla civiltà il numero dei suoi seguaci si sarebbe ridotto. Quando Valthonis percorreva le strade principali di Solamnia, poteva avere fino a venti o trenta persone ad accompagnarlo. Qui, lontano da ogni città importante, vicino a Neraka, una regione di Ansalon che la maggior parte della popolazione continuava a considerare maledetta, rimanevano al suo fianco soltanto i più devoti. Galdar contò sei guerrieri elfi armati di arco, frecce e spada, un elfo selvaggio che non portava armi e un druido di Chislev abbigliato con una veste verde muschio che probabilmente li avrebbe aggrediti con incantesimi sacri.

Predispose l’ora dell’imboscata al crepuscolo, quando le ombre della sera che si insinuavano tra gli alberi gareggiavano con gli ultimi raggi del sole. A quest’ora gli scherzi della luce declinante potevano ingannare gli occhi, rendendo difficile cogliere il bersaglio perfino agli arcieri elfi.

Galdar e le sue truppe si nascosero tra gli alberi, in attesa di udire il gruppetto avanzare lungo il sentiero, che era poco più di una mulattiera. Il gruppetto era ancora a una certa distanza, c’era tempo perché Galdar impartisse sussurrando qualche ordine dell’ultimo momento alla sua banda di minotauri.

“Dobbiamo catturare vivo il Dio che Cammina”, disse, sottolineando con forza la parola. “Questo ordine proviene da Sargas in persona. Ricordate: Sargas è il Dio della Vendetta. Se gli disobbedite, lo fate a vostro rischio e pericolo. Io per primo non sono disposto a rischiare la sua ira.”

Gli altri minotauri concordarono sentitamente e alcuni diedero un’occhiata inquieta al cielo. La punizione di Sargas contro quanti si opponevano alla sua volontà era nota per essere tanto rapida quanto brutale.

“E se questo cosiddetto Dio che Cammina sceglie di dare battaglia, signore?” domandò uno. “Gli Dei dei Rammolliti combatteranno per i loro seguaci? Dobbiamo aspettarci di essere abbattuti da fulmini?”