“Perché hai quest’aria tesa?” domandò Nightshade. “Che c’è che non va?”
“So dove siamo”, disse Rhys, affrettandosi per andare a prendere Mina. “Conosco questo luogo. E dobbiamo andarcene subito. Atta, vieni!”
“Io sono più che d’accordo se ce ne andiamo. Anche se andarcene non sembra tanto facile quanto arrivare qui”, affermò Nightshade, mettendosi a correre per reggere l’andatura dei lunghi passi di Rhys. “Specialmente perché non ho idea di come sia stato “arrivare qui”. Non penso che sia stata Mina. Era stesa addormentata per terra quando mi sono svegliato, e quando si è svegliata era sbalordita e confusa quanto me.”
Rhys era sicuro che li avesse spediti in questo luogo terribile la Signora Bianca, ma non riusciva a immaginare perché, se non per il fatto che a quanto si diceva era vicino a Godshome.
“Allora, Rhys”, disse Nightshade, con gli stivali che risuonavano sulla pietra e facevano turbinare la polvere in piccoli vortici tortuosi sopra il suolo, come serpenti che ondeggiassero lateralmente, “dove siamo? Che posto è questo?”.
“La valle di Neraka”, rispose Rhys.
Il kender rimase senza fiato, spalancando gli occhi. “Neraka? Quel Neraka? Il Neraka dove la Regina delle Tenebre costruì il suo tempio tenebroso da dove entrare nel mondo? Mi ricordo quella storia! C’era un tipo con un gioiello verde nel petto che aveva ucciso sua sorella, però lei lo perdonò e il suo spirito bloccò l’accesso alla Regina delle Tenebre, lei perse la guerra e il fratello tornò dalla sorella e insieme distrussero il tempio e… ed è questo!” Nightshade si fermò scrutando emozionato uno dei monoliti neri. “Queste rocce orribili sono pezzi del tempio di Takhisis!”
“Mina!” esclamò Rhys per chiamarla.
Mina non parve udirlo. Guardava fisso la roccia, apparentemente ipnotizzata. Rhys rallentò il passo. Non voleva farla sobbalzare o allarmarla accostandosi a lei di colpo, senza preavviso.
Frattanto Nightshade rimuginava sulla faccenda. “Neraka aveva qualcosa a che vedere anche con la Guerra delle Anime. Quella guerra cominciò quando Takhisis divenne l’Unico Dio e intendeva tenere tutte le anime qui prigioniere. Povere anime. Io ho parlato con molte di loro, lo sai, Rhys. Sono stato contento per loro quando la guerra è finita e le anime sono state libere di andarsene, anche se poi il cimitero era terribilmente deserto…”
“Mina”, chiamò sottovoce Rhys.
Facendo segno a Nightshade di stare indietro, Rhys si avvicinò lentamente a Mina. Il kender trattenne Atta ed entrambi si fermarono ansimanti nell’aria rarefatta.
“Neraka. Guerra delle Anime. Neraka”, mormorò Nightshade. “Oh, sì, adesso ricordo tutto! Neraka è dove era cominciata la guerra e… Ossignore! Rhys!” urlò. “È qui che venne Mina per dare inizio alla Guerra delle Anime! Takhisis la spedì fuori dalla tempesta…”
Rhys fece un gesto severo ed energico, e Nightshade deglutì e si zittì.
“Immagino che lo sapesse già”, disse il kender e mise le braccia attorno al collo di Atta stringendosi forte a lei, casomai la cagna si fosse impaurita.
Rhys giunse alle spalle di Mina.
“Chi è quella?” domandò Mina, spaventata. Indicò il proprio riflesso sul cristallo nero.
A Rhys si strozzò il fiato in gola. Non riusciva a parlare. La Mina che gli stava accanto era la Mina bambina con le lunghe trecce rosse, le lentiggini sul naso e gli ingenui occhi d’ambra. La Mina riflessa nel cristallo nero era la donna con gli occhi d’ambra che imprigionavano le anime, la donna guerriera che era nata in questa valle, la donna che aveva adorato l’Unico Dio, la Dea delle Tenebre, Takhisis.
Mina si scagliò con furia improvvisa contro la pietra nera, prendendola a calci e a pugni.
Rhys la afferrò. La pietra aguzza le aveva già ferito la mano. Le colava sangue lungo il braccio. Rhys la trascinò via. Mina si divincolò dalla sua presa e rimase lì ansimante a guardare furiosa la pietra, e si deterse sul vestito il sangue della ferita.
“Perché quella donna mi fissa così? Non mi piace! Che c’entra con me?” gridò Mina con angoscia.
Rhys cercò di calmarla, ma lui stesso era scosso alla vista di quella donna dagli occhi d’ambra e dal volto duro che li scrutava dal cristallo nero.
“Oooh, ragazzi”, disse Nightshade. Arrivando alle spalle di Rhys, il kender scrutò Mina, poi osservò il riflesso nel monolite di cristallo, si strofinò gli occhi e si grattò la testa. “Oooh, ragazzi”, disse di nuovo.
Scrollando il capo perplesso, si rivolse a Rhys.
“Detesto aggiungere altri problemi a quelli che già abbiamo, specialmente perché sembrano essere davvero eccezionali, ma probabilmente dovreste sapere che lassù su quella cresta c’è un grosso gruppo di soldati minotauri.”
Il kender socchiuse gli occhi, facendosi ombra con la mano. “E lo so che sembra strano, Rhys, ma mi pare che abbiano con loro un elfo.”
5
Galdar era assillato dai fantasmi. Non dagli spiriti dei morti, come durante la Guerra delle Anime. Fantasmi di se stesso, del suo passato ormai morto e sepolto. Qui a Neraka Mina era entrata in questa valle e nella sua vita e l’aveva trasformato per sempre. Galdar non era più stato nella valle dopo quella notte tanto terribile quanto meravigliosa. Non era più tornato a Neraka fino a questo momento, e non era contento di tornarci. Il tempo aveva risanato la ferita. Il moncone si era del tutto cicatrizzato. Ma i ricordi gli dolevano, pulsavano e lo tormentavano come il dolore del suo braccio fantasma.
“I nani chiamano questo posto Gamashinoch”, disse Galdar. “Significa “Canto di Morte”. Immagino che non lo chiamino più così, poiché il canto si è interrotto, sia lode a Sargas”, soggiunse.
Parlava all’unica persona che fosse con lui (Valthonis) e non perché gli piacesse conversare con l’elfo. L’odio razziale fra minotauri ed elfi risaliva a secoli addietro, e Galdar non vedeva motivo per cui non dovesse proseguire per qualche altro secolo. Quanto al fatto che questo elfo fosse il “Dio che Cammina”, Galdar era stato personalmente testimone della trasformazione, per cui sapeva che la storia era vera. Ciò che non capiva era perché tutti facessero tanto chiasso riguardo a lui. Dunque un tempo era stato un dio? E allora? Adesso era un uomo e doveva andare a defecare nei boschi come chiunque altro.
Galdar stava parlando principalmente perché doveva parlare o altrimenti ascoltare il silenzio sinistro che ammantava la valle. In proposito Galdar doveva ammettere che il silenzio fosse meglio del canto orribile che aveva udito quanto era stato qui l’ultima volta. Le anime lamentose dei morti si erano finalmente allontanate.
Galdar e Valthonis entrarono nella valle da soli; Galdar aveva ordinato ai suoi soldati di fermarsi sulla cresta. I soldati avevano contestato la sua decisione. Avevano osato perfino discutere con lui, e nessun minotauro discuteva mai col suo ufficiale comandante. Se Galdar insisteva a entrare in questa valle maledetta, i suoi soldati volevano accompagnarlo.
I soldati minotauri ammiravano Galdar. Parlava con franchezza, cosa che a loro piaceva in un comandante. Condivideva le loro ristrettezze e non faceva segreto del fatto che questo incarico non gli piacesse così come non piaceva a loro, specialmente venire nella valle maledetta di Neraka.
Takhisis era stata consorte di Sargas, ma i due non si potevano soffrire. La razza da lei favorita, quella degli orchi, era da tempo nemica dei minotauri, e per un certo periodo li aveva ridotti in schiavitù trattandoli con brutalità. Sargas aveva perorato la loro causa, ma Takhisis aveva riso di lui e aveva schernito lui e la sua razza di minotauri. Adesso la dea era morta e sepolta, o perlomeno così affermavano tutti. I minotauri però non si fidavano di Takhisis. Era stata scacciata una volta da Huma Dragonbane ed era tornata. Sarebbe potuta risorgere, e nessuno voleva percorrere la valle buia dove un tempo aveva regnato la dea.