“Mi chiamo Mina…”
Aveva cantato il suo nome. Tutti avevano cantato il suo nome. Tutti quelli come lui che l’avevano seguita in battaglia, nella gloria e nella morte.
“Sei stata tu”, disse Takhisis delirando. “Eri in combutta con loro per causare la mia fine. Volevi che cantassero il tuo nome, non il mio. “Mina… Mina…
6
Tenendo una mano sulla spalla di Mina, Rhys si voltò per guardare nella direzione verso cui puntava il dito Nightshade. Vide i soldati minotauri, che ora lasciavano la cresta, allontanarsi in marcia. Entravano nella valle due persone. Una era un minotauro la cui armatura di cuoio era decorata con l’emblema di Sargonnas. L’altra era un elfo che aveva le mani legate.
Troppo tardi per fuggire, anche se vi fosse stato qualche luogo dove andare. Il minotauro li aveva scorti.
Il minotauro era armato di spada, che portava sul fianco destro, poiché il braccio destro (il braccio con cui reggere la spada) gli mancava. Non aveva sguainato l’arma, ma teneva la mano sinistra sospesa nelle vicinanze. I suoi occhi acuti puntarono uno sguardo sospettoso su Rhys, poi si distolsero e guizzarono sul resto del gruppo. La fronte gli si accigliò ulteriormente. Il minotauro stava cercando Mina.
L’elfo era vestito in modo semplice: mantello e tunica verdi, stivali logori, impolverati dalla strada. Non era armato e, pur essendo evidentemente prigioniero del minotauro, camminava a testa alta, compiendo passi lunghi, aggraziati e risoluti, come chi è abituato a percorrere molte strade.
Il Dio che Cammina. Rhys riconobbe Valthonis e stava per urlare un avvertimento, quando fu sommerso dal ruggito del minotauro.
“Mina!”
Il nome risuonò in tutta la valle e rimbalzò sui Signori del Destino, che lo riverberarono in echi sinistri, come se l’ossatura del mondo invocasse Mina.
“Galdar!” rispose Mina con un grido di contentezza e fece per corrergli incontro con le braccia tese. Poiché Rhys cercava di trattenerla, Mina si divincolò e lo colpì con una botta che per Rhys fu come essere colpito da un fulmine. Il monaco si accasciò a terra, paralizzato e stordito, incapace di muoversi.
Mina non era più una bambina. Era una ragazza di diciassette anni. Aveva i capelli rasati come una pecora appena tosata. Indossava la corazza di quelli che si chiamavano Cavalieri di Neraka, e la corazza era annerita, ammaccata e macchiata di sangue, come pure le mani e le braccia di Mina fino ai gomiti. Raggiungendo Galdar, lo cinse con le braccia e nascose la testa nel petto di lui.
Il minotauro la strinse col braccio buono, tenendola stretta. Due solchi nella pelliccia sui due lati del muso manifestavano il traboccare dei suoi sentimenti.
Vedendo che erano entrambi occupati, Nightshade si avvicinò furtivamente e si inginocchiò accanto a Rhys.
“Stai bene?” sussurrò Nightshade.
“Starò bene… fra un attimo.” Rhys fece una smorfia. Incominciava a riacquistare sensibilità alle mani e ai piedi. “Non mollare Atta!”
“La tengo, Rhys”, disse Nightshade. Aveva attorcigliato la mano nel lungo pelo del collo della cagna. Con sua sorpresa, Atta non aveva cercato di aggredire la Mina adulta. Forse Atta adesso era confusa quanto il kender.
Galdar teneva stretta Mina e guardava tutti con occhio furioso e provocatorio, come sfidando chiunque di loro a cercare di portargliela via.
“Mina!” disse con voce rotta. “Sono venuto a cercarti… Ossia, mi ha mandato Sargas…”
“Lascia perdere, adesso!” disse aspramente Mina. Si ritrasse da lui, lo guardò. “Non abbiamo tempo, Galdar. Sanction è sotto assedio. I Cavalieri di Solamnia l’hanno circondata. Devo andare lì, assumere il comando. Metterò fine all’assedio.”
I suoi occhi d’ambra scintillarono. “Perché te ne stai lì fermo? Dov’è il mio cavallo? La mia arma? Dove sono le mie truppe? Devi andare a prenderle, Galdar, portarle da me. Non abbiamo molto tempo. Altrimenti la battaglia sarà perduta…”
Galdar sbatté gli occhi sbalordito. “Ehm… non ti ricordi, Mina? Tu hai vinto la battaglia. Hai rotto l’assedio di Sanction. Il Canalone di Beckart…”
Lei lo guardò accigliata e disse aspramente: “Non so che cosa ti abbia preso, Galdar. Smettila di farmi perdere tempo con simili sciocchezze e obbedisci ai miei ordini”.
“Mina”, disse Galdar inquieto, “l’assedio di Sanction ha avuto luogo tanto tempo fa durante la Guerra delle Anime. La guerra è finita. L’Unico Dio ha perso. Non ricordi, Mina? Gli altri dei hanno scacciato Takhisis, l’hanno resa mortale…”.
“L’hanno uccisa”, disse sottovoce Mina. I suoi occhi d’ambra luccicavano sotto le sopracciglia fortemente aggrottate. “Erano gelosi della mia Regina, invidiosi del suo potere. I mortali di questo mondo la adoravano. Cantavano il suo nome. Gli altri dei non potevano permetterlo, e così l’hanno annientata.”
Galdar cercò di parlare un paio di volte senza successo, poi disse goffamente: “Cantavano il tuo nome, Mina”.
Gli occhi d’ambra brillarono, illuminati dall’interno.
“Hai ragione”, disse Mina, sorridendo. “Effettivamente cantavano il mio nome.”
Galdar si leccò le labbra. Si guardò attorno, come cercando aiuto. Non trovandone, si schiarì rumorosamente la voce e si lanciò in un discorso ben preparato, parlando rapidamente, senza inflessione, con la fretta di giungere alla conclusione.
“Questo elfo è Valthonis. Un tempo era Paladine, sovrano del pantheon degli dei, istigatore del crollo della Regina Takhisis. Il mio dio, Sargas, spera che tu accetti Valthonis in dono e che tu ti prenda la giusta vendetta sul traditore che abbatté… la tua… la nostra Regina. In cambio, Sargas spera che tu pensi bene di lui e… e… che tu voglia…”
Galdar si interruppe. Fissò Mina, provato.
“Che io voglia che cosa, Galdar?” domandò Mina. “Sargas spera che io pensi bene di lui e che io voglia che cosa?”
“Diventare suo alleato”, disse alla fine Galdar.
“Vuoi dire… cioè, intendi diventare un suo generale?” domandò allora Mina, accigliandosi. “Ma non posso. Io non sono un minotauro.”
Galdar non seppe rispondere a quella domanda. Si guardò di nuovo attorno in cerca di aiuto, e questa volta lo trovò.
Rispose Valthonis. “Sargas vuole che tu diventi la Regina delle Tenebre, Mina.”
Mina rise, come a una battuta divertente. Quindi vide che nessun altro rideva. “Galdar, perché hai l’aria tanto triste? È buffo. Io? La Regina delle Tenebre!”
Galdar si strofinò il muso, sbatté rapidamente gli occhi e guardò lontano da qualche parte sopra la testa di lei.
“Galdar!” disse Mina, improvvisamente in collera. “È buffo!”
“Ha ragione il minotauro, Rhys?” domandò Nightshade con un sussurro soffocato. “Quell’elfo è davvero Paladine? Io ho sempre desiderato di conoscere Paladine. Pensi di potermi presen…”
“Zitto, amico mio”, disse sottovoce Rhys. Si alzò in piedi, con movimenti fluidi, in silenzio, cercando di non attirare l’attenzione su di sé. “Tieni ferma Atta.”
Nightshade strinse saldamente la cagna. Scrutando il Dio che Cammina, il kender sussurrò all’orecchio di Atta: “Mi aspettavo che fosse molto più alto…”.
Rhys raccolse l’emmide e la bisaccia. Legò la bisaccia in cima al bastone, quindi si spostò a passi felpati sul suolo di pietra, con la polvere che gli mulinava sotto i piedi. Andò a mettersi accanto a Valthonis, leggermente spostato davanti a lui.
“Quest’uomo conosce la strada per Godshome, Mina”, disse Rhys.
Gli occhi d’ambra di Mina, carichi di anime intrappolate al punto che erano quasi neri, si spostarono verso Rhys. Il suo labbro si arricciò per il disprezzo. “Chi sei tu? Da dove vieni?”