Rhys sorrise. “Queste sono proprio le domande che mi facesti, Mina, la prima volta che ci incontrammo. L’indovinello che ti aveva posto il drago. “Da dove vieni?” Tu mi dicesti che io conoscevo le risposte. Non le conoscevo allora, ma adesso le conosco. E anche tu, Mina. Tu conosci la verità. Devi accettarla. Non puoi più nascondertene. Valthonis è tuo padre, Mina. Tu sei sua figlia. Tu sei una dea. Una dea nata dalla Luce.”
Mina si fece livida. Gli occhi d’ambra si spalancarono, divennero più grandi.
“Tu menti”, disse a bassa voce. Le parole erano appena un sussurro.
“Gli uomini cantavano il tuo nome, Mina. Come facevano i Prediletti. Se tu uccidi quest’uomo, se commetti questo crimine orrendo, prenderai posto nel pantheon delle Tenebre”, le disse Rhys. “L’equilibrio ne verrà alterato. Il mondo scivolerà nelle tenebre e verrà distrutto. È questo che vuole Sargonnas. È questo che vuoi tu, Mina? Tu hai percorso il mondo. Ne hai conosciuto gli abitanti. Hai visto la sofferenza, la distruzione e il rivolgimento che è la guerra. E questo che vuoi?”
La forma di Mina si alterò di nuovo e questa volta divenne la Mina dei Prediletti, la Mina che aveva dato loro il bacio letale. Adesso i suoi capelli ramati erano lunghi. Era vestita di nero e di rosso sangue. Era sicura di sé, imperiosa, e osservava Valthonis con un cipiglio intenso. L’espressione si fece più dura, le labbra si compressero.
“Ha ucciso la mia Regina!” affermò freddamente Mina.
Superò Galdar sfiorandolo, e lui rimase a fissarla a bocca aperta e con gli occhi cerchiati di bianco, mentre il suo corpo tremava di paura. Mina si avvicinò a Valthonis e lo fissò per un lungo istante, cercando di attirare anche lui, altro insetto, dentro l’ambra.
Valthonis rimase calmo sotto quello sguardo indagatore.
La sua mente mortale conserva ancora qualcosa della mente del dio? Così si interrogava Rhys. Qualcosa dentro Valthonis rammenta quell’esplosione di gioia all’alba della creazione che mise al mondo una figlia della gioia e della luce? Rammenta il dolore straziante che doveva avere provato nel rendersi conto di dover sacrificare la figlia per amore di quella stessa creazione?
Rhys non conosceva la risposta. Ciò che invece sapeva, ciò che poteva vedere sul volto devastato dell’elfo, era il dolore del genitore che vede una figlia amata soccombere a passioni oscure.
“Lascia che ti aiuti, Mina.” Valthonis porse le mani a Mina: le sue mani legate.
Mina lo atterrò. Poi tese la mano. “Galdar, dammi la tua spada.”
Galdar guardava imbarazzato Valthonis caduto a terra. La mano del minotauro andò all’impugnatura della spada. Non sguainò l’arma.
“Mina, il monaco ha ragione”, disse Galdar, angosciato. “Se tu uccidi quest’uomo, diventerai Takhisis. E non è ciò che sei. Tu pregavi per i tuoi uomini, Mina. Ferita ed esausta, tu percorrevi il campo di battaglia e pregavi per le anime di quanti avevano dato la vita per la causa. Tu ti preoccupi per gli altri. Takhisis no. Lei li usava, proprio come ha usato te!”
“Dammi la spada!” ripeté Mina rabbiosamente.
Galdar scrollò la testa munita di corna. “E alla fine, quando Takhisis fu scacciata dal cielo, diede la colpa a te, Mina. Non a se stessa. Mai a se stessa. Stava per ucciderti in preda a una furia velenosa e vendicativa. Così era Takhisis. Velenosa e vendicativa, crudele, maligna ed egoista. A lei non importava nulla tranne la propria esaltazione, la propria ambizione. I suoi figli la odiavano e tramavano ai suoi danni. Il suo consorte la disprezzava, diffidava di lei e gioì del suo crollo. È questo che vuoi, Mina? È questo che vuoi diventare?”
Mina rimase lì a osservarlo sdegnosamente. Quando Galdar fece una pausa per riprendere fiato, disse con un sogghigno: “Non mi serve una predica. Dammi solo la tua maledetta spada, stupida vacca con un braccio solo!”.
Galdar impallidì, e il pallore era visibile perfino sotto la pelliccia scura. Uno spasmo di dolore gli contrasse il corpo. Galdar gettò un’occhiata torva verso il cielo, poi sguainò la spada. Non la consegnò a Mina. Andando verso Valthonis, che era privo di sensi, il minotauro recise la corda che legava i polsi dell’elfo.
“Io non avrò nulla a che fare con un assassinio”, disse Galdar con tranquilla dignità.
Rinfoderando con forza la spada, si girò sui tacchi e iniziò ad allontanarsi.
“Galdar! Torna indietro!” gridò furiosamente Mina.
Il minotauro continuò a camminare.
“Galdar! Te lo ordino!” urlò Mina.
Galdar non si voltò. Proseguì girando attorno ai monoliti neri, residui di un’ambizione tenebrosa.
Mina lo guardava furiosamente alle spalle mentre si allontanava, poi all’improvviso balzò al suo inseguimento, correndo veloce sul suolo spazzato dal vento. Rhys urlò un avvertimento, e Galdar si girò, proprio mentre Mina lo raggiungeva. Ignorandolo, Mina afferrò l’impugnatura della spada e con uno strattone la estrasse dal fodero.
Galdar le prese il polso e cercò di strapparle di mano la spada. Mina sferrò colpi con furia cieca, percuotendolo con l’impugnatura della spada e col piatto della lama.
Galdar cercò di parare i colpi, ma aveva soltanto una mano e Mina combatteva con la forza e la furia di una divinità.
Rhys accorse in aiuto del minotauro. Lasciando cadere il bastone, afferrò Mina e cercò di allontanarla da Galdar. Il grosso minotauro crollò a terra insanguinato e gemente. Mina si divincolò da Rhys. Spingendolo all’indietro e facendogli perdere l’equilibrio, ritornò all’assalto di Galdar, prendendolo a calci e colpendo ogni parte di lui che ancora si muovesse. Il minotauro smise di gemere e rimase steso in silenzio.
“Mina…” esordì Rhys.
Mina ringhiò e conficcò il pugno in profondità nel diaframma di Rhys, tanto in profondità che il colpo gli fermò il respiro. Rhys cercò di inspirare, ma i muscoli erano tesi fino allo spasimo e poté soltanto ansimare. Mina gli sferrò un pugno alla mascella, frantumandogli la mandibola. La bocca gli si inondò di sangue. Mina gli andò addosso, tenendo in mano la spada pesante del minotauro, e Rhys non poteva fare nulla. Stava soffocando nel suo stesso sangue.
Nightshade fece del suo meglio per trattenere Atta, ma la vista di Rhys aggredito era più di quanto la cagna potesse sopportare. Si divincolò dalla presa del kender. Nightshade cercò di afferrarla e la mancò, finendo a terra sul ventre. Atta si lanciò in aria e si scaraventò addosso a Mina, abbattendola e facendole mollare la presa sulla spada.
Ringhiando, Atta puntò alla gola di Mina, che combatté contro la cagna usando le mani per cercare di scagliarla via. Volarono sangue e saliva.
Nightshade si rimise in piedi barcollando. Rhys stava sputando sangue. Il minotauro era morto o moribondo. Valthonis giaceva a terra privo di sensi. Il kender era l’unico in piedi e non sapeva che cosa fare. Aveva il cervello troppo intontito per pensare a un incantesimo, e poi si rese conto che nessun incantesimo, nemmeno l’incantesimo più potente creato dal mistico più potente, poteva fermare una divinità.
Il sole pallido e freddo si riverberò sull’acciaio.
Mina era riuscita a impadronirsi della spada. Sollevandola, portò un colpo verso la cagna.
Atta crollò con un guaito colmo di dolore. Aveva il pelo bianco macchiato di sangue, ma si sforzava ancora di alzarsi, mordeva e ringhiava ancora. Mina sollevò la spada per colpirla di nuovo, questa volta per ucciderla.
Nightshade strinse la piccola spilla a forma di cavalletta e compì un balzo prodigioso. Volò sopra uno dei monoliti neri e si schiantò contro Mina, facendole mollare la presa sulla spada.
Nightshade atterrò pesantemente. Mina si riprese ed entrambi si tuffarono verso la spada, agitandosi per impadronirsene. Rhys sputò sangue e si scagliò mezzo strisciando nella mischia.
Ma arrivò troppo tardi.
Mina afferrò il ciuffo di capelli del kender e, avvitandosi su se stesso, gli impartì uno strattone violento. Rhys udì un terribile rumore di qualcosa che si spezzava e scricchiolava. Nightshade si afflosciò.