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Camminò finché non raggiunse una località della valle chiamato Godshome, dove le ombre gareggiavano col sole, e qui si fermò. Rivolgendo le spalle agli dei, si guardò i piedi, pianse e lasciò il mondo.

Nella valle chiamata Godshome, Casa degli Dei, un pilastro di ambra si ergeva solitario e separato in una pozza stagnante di acqua blu notte.

Sull’acqua non si riflettevano stelle. Né le lune né il sole. Né i pianeti. Né la valle. Né le montagne.

Valthonis, guardando dentro la pozza, vide lì il proprio volto. Vide i volti di tutti i viventi.

10

Rhys Mason sedeva sotto un’antica quercia presso la cima di una collina verde, ricoperta d’erba. Vedeva in lontananza il fumo levarsi dai comignoli del suo monastero, la dimora a cui era ritornato dopo il suo lunghissimo viaggio. Alcuni dei confratelli erano nel campo, a rivoltare il terreno, a risvegliare la terra dopo il sonno invernale, preparandolo per la semina. Altri confratelli erano indaffarati attorno al monastero, spazzavano e pulivano, riparavano la muratura in pietra che era stata erosa dagli impetuosi e gelidi venti invernali.

Le pecore erano sparpagliate sul fianco della collina e brucavano appagate, contente di mangiare l’erba verde e tenera dopo il fieno stantio di cui si erano nutrite durante i mesi freddi. Primavera voleva dire epoca della tosatura e nascita degli agnelli, e allora Rhys sarebbe stato molto indaffarato. Ma per il momento tutto era pacifico.

Atta era stesa accanto a lui. Aveva sul fianco una cicatrice su cui il pelo non le cresceva, ma peraltro si era ristabilita dalle ferite, così come Rhys si era ristabilito dalle sue. Atta adesso divideva lo sguardo fra le pecore (sempre una preoccupazione per lei) e la sua recente figliata. Di appena pochi mesi, i cuccioli mostravano già un forte interesse per la conduzione del gregge, e Rhys aveva cominciato ad addestrarli. Lui e i cuccioli avevano lavorato tutta la mattina e i cuccioli esausti adesso dormivano formando un mucchio peloso bianco e nero, con i nasi rosa arricciati. Rhys ne aveva già individuato uno (il più coraggioso e avventuroso) da donare a Sua Signoria Jenna.

Rhys sedeva comodo, con l’emmide posato nell’incavo delle braccia. Era avvolto in un mantello pesante, poiché sebbene splendesse il sole il vento mordicchiava ancora con denti invernali. La sua mente vagava libera fra le nubi alte e lievi, soffermandosi con leggerezza su molti argomenti e passando subito ad altri; e onorando Majere in tutte le cose.

Rhys era solo sul fianco della collina, poiché le pecore erano suo compito e sua responsabilità, e pertanto rimase scosso nel venire strappato alla sua fantasticheria da una voce.

“Ciao, Rhys! Scommetto che sei sorpreso di vedermi!”

Rhys dovette ammettere di essere sorpreso. Sorpreso non era la parola giusta, in effetti, poiché a starsene seduto tranquillo accanto a lui era Nightshade.

Il kender sorrise gioioso dello choc di Rhys. “Sono uno spirito, Rhys! Ecco perché appaio sbiadito e sfocato. Non è emozionante? Ti sto tormentando.”

Nightshade assunse all’improvviso un’aria preoccupata. “Spero di non averti spaventato.”

“No”, disse Rhys, anche se gli ci volle un momento per ritrovare la voce.

Sentendo parlare il suo padrone, Atta sollevò il capo e si guardò dietro le spalle per vedere se ci fosse bisogno di lei.

“Ciao, Atta!” Nightshade salutò con la mano. “I tuoi cuccioli sono bellissimi. Ti assomigliano tanto.”

Atta strinse gli occhi. Annusò l’aria più volte, meditò sulla situazione e poi, scacciando ciò che non riusciva a capire, posò la testa sulle zampe e tornò a osservare le sue protette.

“Sono contento di non averti spaventato”, proseguì Nightshade. “Continuo a dimenticarmi di essere morto e ho una deplorevole tendenza a presentarmi all’improvviso davanti alle persone. Povero Gerard.” Lo spettro emise un sospiro. “Pensavo che gli venisse un colpo apologetico.”

“Apoplettico”, lo corresse Rhys, sorridendo.

“Anche quello”, disse solennemente Nightshade. “Si è fatto bianchissimo e si è messo ad ansimare, e poi ha promesso solennemente di non toccare mai più per tutta la vita neanche un goccio di liquore dei nani. Quando ho cercato di rallegrarlo assicurandogli che io non ero un’allu… un’alluci… che non aveva le traveggole e che io ero uno spirito in carne e ossa, si è messo ad ansimare ancora peggio.”

“Si è poi ripreso?” domandò Rhys.

“Credo di sì”, disse prudentemente Nightshade. “Gerard mi ha sgridato sonoramente, poi. Mi ha detto che gli avevo tolto dieci anni di vita e poi ha detto che aveva già abbastanza guai con i kender vivi e che non intendeva farsi tormentare da uno morto, e io dovevo tornare nell’Abisso o da qualunque altro posto venissi. Io gli ho detto che non ero nell’Abisso. Stavo facendo il giro del mondo, capivo perfettamente i suoi sentimenti, e mi ero fermato lì per dirgli grazie per tutte le cose gentili che aveva detto di me al mio funerale. C’ero anch’io lì, a proposito. È stato davvero carino. Sono venute tante persone importanti! Sua Signoria Jenna, l’abate di Majere, il Dio che Cammina, gli elfi, Galdar e una delegazione di minotauri. A me è piaciuta particolarmente la successiva zuffa nel bar, anche se immagino non facesse proprio parte del funerale. E sono contento che le mie ceneri siano state sparse sotto la taverna. Mi fa immaginare che qualcosa di me non se ne andrà mai via. Talvolta mi pare di sentire l’odore delle patate aromatizzate, il che è strano, poiché gli spiriti non sentono odori. Secondo te perché succede?”

Rhys dovette ammettere di non saperlo.

Nightshade alzò le spalle, poi si accigliò. “Dov’ero rimasto?” “Stavi parlando di Gerard…”

“Ah, sì, gli ho detto che ero venuto a salutarlo prima di partire per la prossima tappa del mio viaggio, che per inciso sarà assai emozionante. Ti dirò perché fra un attimo. C’entra la mia cavalletta. Comunque Gerard mi ha augurato buona fortuna, mi ha accompagnato alla porta e l’ha aperta per farmi uscire. Io gli ho detto che non serviva che mi aprisse la porta perché posso attraversare di corsa porte, pareti e perfino soffitti. Lui mi ha detto che io non dovevo attraversare di corsa la porta o la parete di casa sua. Era assai severo su questo, così non l’ho fatto. E non penso che dicesse sul serio quando ha detto di rinunciare solennemente al liquore dei nani, perché quando me ne sono andato l’ho visto afferrare il boccale e berne un lungo sorso.”

“Sei andato a salutare qualcun altro?” domandò Rhys, notevolmente allarmato al pensiero.

Nightshade annuì. “Sono andato a trovare Laura. Dopo quello che è successo con Gerard, ho pensato di avvicinarmi a poco a poco, di soppiatto, a Laura… capisci, per darle tempo di abituarsi a me.” Lo spettro sospirò. “Ma non ha fatto alcuna differenza. Si è messa a gridare, si è gettata il grembiule sulla testa e ha rotto tutta una pila di piatti sporchi cadendo nel lavabo. Allora ho pensato che sia meglio non farmi vedere in giro. Adesso sono qui con te; tu sei la mia ultima tappa, e poi me ne vado per sempre.”

“Sono contento di vederti, amico mio”, disse Rhys. “Mi mancavi tanto.”

“Lo so”, disse Nightshade. “Sentivo che ti mancavo. Era una bella sensazione, ma tu non devi essere triste. È questo che sono venuto a dirti. Mi dispiace che mi ci sia voluto tanto tempo per arrivare fin qui. Il tempo non ha più grande significato per me e c’erano tanti luoghi da visitare e tante cose da vedere. Lo sai che c’è un altro continente? Si chiama Taladas ed è un luogo molto interessante, anche se non è lì che andrò nel viaggio della mia anima… Oh, adesso che ci penso. Devo dirti di Chemosh. Gli spiriti con cui parlavo quando ero un nightstalker mi dicevano che quando muori la tua anima si presenta davanti al Signore della Morte per essere giudicata. Io pregustavo questo momento e mi sembrava molto emozionante. Mi sono messo in coda con un gruppo di altre anime: goblin e draconici, kender ed esseri umani, elfi, gnomi, orchi e altri ancora. Ogni anima si presenta davanti al Signore della Morte, che sta seduto su un trono enorme: davvero impressionante. Talvolta cerca di tentarle a rimanere con lui. Oppure talvolta hanno già giurato di seguire lui o qualche altro dio, come Morgion, che non è proprio una persona simpatica, te lo dico io! E talvolta altri dei vengono a dire a Chemosh di tenere giù le mani. Reorx ha fatto così per un nano. Allora me ne stavo lì in fondo alla coda, pensando che mi ci sarebbe voluto molto, ma molto tempo per arrivare davanti, quando all’improvviso il Signore della Morte balza su dal trono. Percorre tutta la fila e si mette davanti a me! Mi guarda con occhio davvero feroce, sembra molto arrabbiato e mi dice che posso andare. Io gli dico che non mi dispiace rimanere; ho trovato degli amici, ed era vero. Mi ero imbattuto in alcuni kender defunti e stavamo parlando di quanto fosse interessante essere morti. Descrivevamo come era morto ciascuno di noi e tutti erano d’accordo sul fatto che nessuno poteva battermi perché io ero stato ucciso da una divinità. Ho cominciato a spiegare questa cosa a Chemosh, ma lui ha ringhiato e mi ha detto di non essere interessato. La mia anima era già stata giudicata, e io ero libero di andare. Mi sono guardato attorno, e c’erano la Signora Bianca, Majere, Zeboim e tutti e tre gli dei delle lune, e Kiri-Jolith con la sua armatura luccicante e qualche altro dio che non ho riconosciuto e perfino Sargonnas! Mi domandavo che cosa facessero tutti lì, ma la Signora Bianca mi ha detto che erano venuti a onorare me, anche se Zeboim ha detto di essere venuta soltanto per accertarsi che io fossi morto davvero. Tutti gli dei mi hanno stretto la mano, e quando sono arrivato davanti a Majere lui ha toccato la cavalletta che era ancora appuntata sulla mia camicia, e mi ha detto che mi avrebbe permesso di saltare in avanti per vedere dove sarei andato e poi di saltare indietro per andare a salutare qualcuno. E io stavo proprio dicendo a Mishakal quanto mi fosse piaciuto il suo panpepato ed ero quasi pronto per andarmene quando chi pensi che sia venuta a trovarmi?”