Così, di diritto, la torre era sua. E in questo momento non vi era nessuno di guardia. Tutti blateravano su che cosa fare di Mina. Chemosh si allontanò dalla discussione che infuriava e sfrecciò lungo il Mare di Sangue fino all’isola circondata da scogli su cui sorgeva la torre appena emersa.
La Sala del Sacrilegio si trovava proprio in fondo alla torre. Era ancora lì, oppure era stata abbandonata sul fondo marino?
Chemosh si immerse completamente del mare. Un baratro enorme contrassegnava il punto in cui in precedenza vi era stata la torre. Il fondo marino era stato trascinato su con la torre e aveva formato l’isola su cui adesso sorgeva l’edificio. L’acqua era tanto buia che perfino quegli occhi immortali non potevano sondarne le profondità. Chemosh non percepiva nessuna sensazione della propria potenza emanare dal baratro.
Gli oggetti sacri erano ancora dentro la torre. Lui ne era più che certo.
La Torre dell’Alta Magia che prima era stata sotto il Mare di Sangue, ma che ora ne emergeva, assomigliava alla torre originaria. Nuitari l’aveva ricostruita con cura amorevole. Le pareti erano fatte di cristallo liscio, luccicante di umidità. L’acqua defluiva da una cupola di marmo nero e scorreva giù per le pareti scivolose mentre le onde si frangevano pigre e stizzose sulla riva dell’isola appena creata. In cima alla cupola un anello fatto di oro rosso lucidato e intrecciato ad argento brillava alla luce delle lune gemelle che rappresentava. Il centro dell’anello era nero come l’ebano, in onore di Nuitari. Attraverso il foro non si vedeva la luce solare.
Chemosh scrutò la torre minuziosamente. Dentro vivevano due Vesti Nere di Nuitari. Chemosh si domandò che cosa ne fosse stato. Se erano ancora vivi, dovevano avere affrontato un’avventura sconvolgente e terrificante. Chemosh girò attorno alla torre finché giunse alla porta: l’ingresso apparente.
Quando la torre si trovava a Istar e poi sul fondo del mare, soltanto i maghi e Nuitari possedevano il segreto per accedervi. Poteva entrare soltanto chi era stato invitato, e questo valeva anche per gli dei. Ma adesso la torre era stata strappata alle grinfie di Nuitari, gli era stata sottratta quando voltava le spalle. Forse la sua magia era stata infranta.
Chemosh si disinteressò della porta. Poteva scivolare attraverso le pareti di cristallo come fossero state acqua. Fece per oltrepassare quelle mura di un nero luccicante ma, sorprendentemente, trovò la strada sbarrata.
Frustrato, Chemosh cercò di aprire le massicce porte d’ingresso. Non si mossero. Chemosh perse la pazienza e scalciò la porta col piede e la percosse con la mano. Il dio avrebbe potuto abbattere le mura di un castello con uno schiocco delle dita, ma non riusciva ad avere alcun effetto sulla torre. La porta tremò per i colpi, ma rimase intatta.
“Non serve a niente. Non entrerai. Le chiavi le ha lei.”
Chemosh si girò e vide arrivare Nuitari che stava girando l’angolo dell’edificio.
“Chi ha le chiavi?” domandò Chemosh. “Tua sorella? Zeboim?”
“Mina, testa di legno”, gli disse Nuitari. “E sta mandando i suoi Prediletti a sorvegliarla.”
Il dio della magia nera indicò dall’altra parte del mare verso la città di Flotsam. Chemosh con la sua vista immortale scorse orde di persone che saltavano giù dai moli, si tuffavano in mare e scendevano sul fondo oppure nuotavano fra le onde che sinistramente brillavano di una fioca luce ambrata. Questi erano i Prediletti. Per l’aspetto e il modo di agire, di camminare e di parlare, di mangiare e di bere, erano come le persone normali, con un’unica piccola differenza.
Erano morti.
Essendo morti, non provavano paura, non si stancavano mai, non avevano bisogno di dormire, avevano un’energia illimitata. Se venivano abbattuti si rialzavano. Se veniva loro tagliata la testa la raccoglievano e se la rimettevano a posto. Chemosh stravedeva per loro, finché non aveva scoperto che erano in realtà creature di Mina, non sue. Adesso provava ribrezzo al solo vederli.
“L’esercito di Mina”, affermò Nuitari con tono aspro. “Viene a occupare la sua fortezza. E tu pensavi che te la regalasse!”
“Non entreranno”, disse Chemosh.
Nuitari ridacchiò. “Come ama dire il nostro amico Reorx, “vuoi scommettere?”.” Fece un gesto. “Non appena arriverà lei ad aprire le porte per far entrare i suoi Prediletti, le mie povere Vesti Nere saranno assediate nel loro laboratorio. La torre brulicherà di questi suoi demoni.”
Sotto gli occhi di Chemosh, diverse creature morte viventi si trascinarono su dall’acqua e si diressero verso la massiccia porta a due battenti.
“Sei proprio uno sciocco!” disse Nuitari con un sorriso beffardo a labbra serrate. “Avevi Mina nel tuo letto e l’hai mandata via a calci. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per te.”
Chemosh non ebbe alcuna reazione. Nuitari in fondo aveva ragione, maledizione a lui. Mina lo amava, lo adorava, e lui l’aveva scacciata, l’aveva respinta sdegnosamente solo perché era geloso di lei.
Non geloso di un altro amante. Geloso di lei, della sua potenza.
I Prediletti servivano Mina, mentre erano stati creati per servire lui. Mina aveva fatto a Chemosh quello che aveva fatto a Takhisis. I miracoli che aveva operato in nome di Chemosh erano stati miracoli suoi. Gli uomini adoravano Mina, non lui. I Prediletti erano soggetti alla volontà di Mina, non di Chemosh.
E poi, se si doveva credere a Majere, Mina aveva fatto tutto questo innocentemente. Non aveva idea di essere la divinità che aveva donato ai Prediletti questa vita terribile.
Che sciocco sono stato! si rimproverò Chemosh, che però ebbe un’idea. Rammentò lo sguardo straziato dal dolore che Mina gli aveva rivolto prima di saltare in mare.
Mi ama ancora. Posso riconquistarla. Con lei al mio fianco, posso soppiantare quel bovino dal cranio grosso, Sargonnas. Posso umiliare Kiri-Jolith e contrastare Mishakal e farmi beffe di quel saputello di Gilean. Mina mi darà accesso alla Sala del Sacrilegio. Mi impadronirò di tutti gli oggetti sacri. Potrò dominare il cielo…
Non gli restava che trovare Mina.
Chemosh spaziò col suo sguardo immortale su tutto il mondo. Vide ovunque tutti gli esseri: elfi e umani, orchi e kender, gnomi e nani, pesci e cani, gatti e goblin. La sua vista li abbracciò, li circondò, li studiò tutti contemporaneamente. Tutti nel giro di una frazione di secondo. Reperì ogni essere vivente di questo pianeta più quanti non fossero vivi nel senso consueto della parola.
Nessuno era lei.
Chemosh era sconcertato. Dove poteva essere Mina? Come poteva nascondersi a lui?
Non ne aveva idea e, mentre al riguardo si lambiccava il cervello, si rese conto che nel suo castello Gilean chiedeva agli dei di pronunciare un giuramento in base al quale non si sarebbero intromessi nella vita di Mina. Qualunque scelta lei intendesse compiere riguardo alla propria collocazione nel pantheon, da qualunque parte si schierasse, o nell’eventualità che volesse abbandonare del tutto il mondo, la decisione doveva essere sua.
Se pronuncio questo giuramento, Gilean farà sì che lo rispetti. Mi sarà proibito cercare di sedurla.
Chemosh era sicuro del proprio potere su di lei. Gli bastava soltanto vederla, parlarle, prenderla fra le braccia…
Non poteva andare a cercarla, non certo in questo momento, non certo mentre Nuitari lo osservava come un serpente osserva un ratto; non certo mentre Sargonnas lo scrutava con cupo sospetto e Gilean chiedeva a ogni dio di giurare. Chemosh non poteva andare a cercare Mina, ma aveva ai propri ordini qualcuno in grado di farlo. Fortunatamente aveva un po‘“di tempo. Gli Dei della Magia esigevano di sapere perché mai dovessero pronunciare quel giuramento.
Chemosh biascicò un’invocazione, i suoi pensieri sfrecciarono rapidamente attraverso il castello fino a raggiungere Ausric Krell, l’ex Cavaliere della Morte, maledetto da Mina e ridiventato umano. Chemosh doveva affrettarsi. Doveva dare l’ordine di trovare Mina prima di pronunciare il giuramento. Nessuno avrebbe potuto incolparlo se Mina fosse venuta da lui di propria spontanea volontà.