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«Merda» esclamò Shadow e trangugiò l’idromele in due sorsi. Il sapore di salamoia dolciastra gli riempì la bocca.

«Ecco fatto» disse Wednesday. «Adesso sei con me.»

«Allora» disse Sweeney, «vuoi sapere il trucco?»

«Sì» rispose Shadow. «Le tenevi nella manica?»

«Nemmeno una.» Sweeney ridacchiò ondeggiando e saltellando come uno smilzo vulcano barbuto pronto a eruttare, tutto compiaciuto delle proprie fiammate. «È la cosa più semplice del mondo. Facciamo a pugni, se vinci tu te lo spiego.»

Shadow scosse la testa. «Passo.»

«Questa è bella» disse Sweeney rivolto alla sala. «Il vecchio Wednesday si prende una guardia del corpo ma il tipo ha così paura che non riesce neanche ad alzare la guardia.»

«Non voglio fare a pugni con te» ammise Shadow.

Sweeney vacillava e sudava. Giocherellò con la punta del berretto, poi afferrò una moneta dall’aria e l’appoggiò sul tavolo. «È oro, se per caso te lo stavi domandando» disse. «È tuo se fai a botte con me, anche se perdi, e perderai. Un omone grande e grosso come te… chi l’avrebbe detto che eri uno schifoso codardo?»

«Ti ha già risposto che non vuole» disse Wednesday. «Vattene via, Mad Sweeney. Prenditi la tua birra e lasciaci in pace.»

Invece Sweeney gli si avvicinò di un passo. «Mi hai chiamato scroccone, vero, vecchia creatura maledetta? Tu, vecchio forcaiolo senza cuore.» Era rosso di rabbia.

Wednesday alzò le mani in un gesto di pace. «Sciocchezze, Sweeney. Bada a come parli.»

Sweeney lo guardò con gli occhi fiammeggianti. Poi, con la gravità di un uomo molto ubriaco, disse: «Tu hai assoldato un codardo. Che cosa farebbe se ti saltassi addosso, secondo te?».

Wednesday si girò verso Shadow. «Ne ho avuto abbastanza. Occupatene tu.»

Shadow si alzò in piedi e guardò in su per vedere Mad Sweeney in faccia: ma quanto era alto? «Ci stai dando fastidio» disse. «Sei ubriaco. Penso che te ne dovresti andare.»

Un lento sorriso illuminò Sweeney. «Eccoci» disse. E lo colpì con un pugno enorme sotto l’occhio destro che gli fece fare un balzo all’indietro. Shadow vedeva macchie di luce e sentiva un gran male.

E così la rissa cominciò.

Sweeney combatteva senza stile, senza tecnica, animato soltanto dall’entusiasmo per la lotta, menando una gran quantità di ganci che mancavano e colpivano il bersaglio a casaccio.

Shadow boxava in difesa, attento a bloccare i colpi o a evitarli. A un certo punto fu acutamente consapevole di avere un pubblico. I tavoli vennero spostati, tra le proteste dei clienti, per creare spazio ai due contendenti. Shadow sentiva su di sé gli occhi di Wednesday che non lo lasciavano un istante, il suo sorriso senza allegria. Era evidente che si trattava di una prova, ma che genere di prova?

In prigione aveva imparato che ci sono due modi di fare a botte: il genere "stammi lontano", in cui si fa più scena possibile, e quello brutale, vero, rapido e spietato, che finisce nel giro di pochi secondi.

«Ehi, Sweeney» disse senza fiato, «perché ci stiamo picchiando?»

«Per il piacere di farlo» rispose l’altro, sobrio, o perlomeno non visibilmente ubriaco. «Per il puro profano piacere di picchiarci. Non senti la gioia che ti scorre nelle vene, che si risveglia come linfa in primavera?» Gli sanguinava un labbro. E a Shadow una nocca.

«Allora, com’è che fai apparire le monete?» chiese. Ondeggiò e si scansò, prendendo sulla spalla un pugno diretto al naso.

«Te l’ho detto prima» borbottò Sweeney. «Ma non c’è peggior cieco — ahi! Ben piazzato! — di chi non vuol sentire.»

Shadow lo colpì al mento costringendolo ad arretrare contro un tavolo, e i bicchieri vuoti e i portacenere si frantumarono a terra. In quel momento lo avrebbe potuto finire.

Diede un’occhiata a Wednesday, che gli fece un cenno di assenso, poi guardò Mad Sweeney, steso sotto di lui. «Abbiamo finito?» chiese. L’altro esitò, poi annuì. Shadow lasciò la presa e arretrò di alcuni passi. Ansante, Sweeney riuscì a rimettersi verticale.

«Col cazzo!» gridò. «È finita quando lo dico io!» Poi sorrise e si slanciò in avanti cercando di colpire Shadow. Scivolò su un cubetto di ghiaccio finito per terra e mentre i piedi lo tradivano facendolo cadere sulla schiena, il sorriso si trasformò in un’espressione costernata. Rimase a bocca aperta e picchiò la testa sul pavimento del bar con un bel tonfo.

Shadow gli appoggiò un ginocchio sul petto. «Te lo chiedo per la seconda volta, abbiamo finito di picchiarci?»

«Diciamo di sì» rispose Sweeney sollevando la testa, «perché al momento il piacere mi ha abbandonato come la pipì che scappa a un bambino dentro una piscina in una giornata calda.» Sputò un po’ di sangue, chiuse gli occhi e cominciò a russare, un russare profondo e imponente.

Qualcuno batté una pacca sulla schiena di Shadow. Wednesday gli infilò in mano una bottiglia di birra.

Era molto meglio dell’idromele.

Si svegliò sdraiato sul sedile posteriore di una macchina. Il sole del mattino era abbagliante e gli faceva male la testa. Si mise seduto e si sfregò gli occhi.

Al volante c’era Wednesday che canticchiava stonato. Nel portabibite vide una tazza di plastica. Erano in autostrada. Il posto accanto a quello di guida era vuoto.

«Come ti senti, in questo bel mattino?» chiese Wednesday senza voltarsi.

«Che ne è stato della mia macchina? L’avevo noleggiata.»

«L’ha riportata indietro Mad Sweeney. Era nei patti. Dopo la scazzottata di ieri notte.»

I discorsi della sera prima si confondevano in maniera spiacevole nella testa di Shadow. «Non hai un po’ di caffè anche per me?»

Wednesday allungò una mano sotto il sedile e gli passò una bottiglia d’acqua ancora chiusa. «Tieni. Devi essere disidratato. Questa ti farà meglio del caffè, per ora. Alla prossima area di servizio ci fermiamo, così puoi fare colazione. Ti devi anche dare una ripulita. Sembra che tu abbia dormito con la capra.»

«Si dice con il gatto.»

«Con la capra. Un enorme caprone puzzolente coi dentoni.»

Shadow aprì la bottiglia e bevve. Sentì qualcosa tintinnare nel taschino. Infilò una mano e ne estrasse una moneta grande come un mezzo dollaro. Era pesante, e di un bel giallo oro.

Nell’area di servizio comperò un kit da viaggio che conteneva rasoio, crema da barba, pettine e spazzolino usa e getta con un minuscolo tubo di dentifricio. Poi entrò nel bagno degli uomini e si guardò allo specchio.

Aveva un livido sotto un occhio — quando provò a schiacciarlo con un dito scoprì che faceva molto male — e il labbro inferiore gonfio.

Si lavò la faccia con il sapone liquido che c’era in bagno, poi si fece la barba e si lavò i denti. Si inumidì i capelli e li pettinò all’indietro. Aveva ancora un aspetto malconcio.

Si domandò che cos’avrebbe detto Laura, vedendolo così, poi ricordò che Laura non avrebbe mai più detto niente, e nello specchio si vide tremare, ma solo per un momento.

Uscì.

«Sono uno schifo» disse.

«È naturale» rispose Wednesday.

Wednesday prese un grande assortimento di merendine e le portò alla cassa pagando anche la benzina, ma cambiò due volte idea su come farlo, se con la carta di credito o in contanti, provocando l’irritazione della ragazza che masticava gomma dietro il registratore di cassa. Shadow rimase a osservare Wednesday che si faceva prendere sempre più dall’agitazione e continuava a scusarsi. Sembrava molto vecchio, all’improvviso. La cassiera prima gli diede il resto in contanti e addebitò la spesa sulla carta, poi gli diede la ricevuta e prese i contanti, poi restituì i contanti e accettò una carta diversa. Wednesday stava palesemente per scoppiare a piangere, come un vecchietto incapace di tenere il passo con l’implacabile marcia del mondo moderno.