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Dal gruppo delle donne guerriere, le Morrigan, si alzò una voce. Erano così vicine, nell’ombra, da sembrare un’unica composizione di arti tatuati di blu e ali di corvo. La voce disse: «Non importa se il momento è giusto o sbagliato. È il momento. Ci ammazzano. Meglio morire tutti insieme attaccando come dèi che fuggendo alla rinfusa come topi».

Seguì un altro mormorio, questa volta erano d’accordo proprio tutti. La donna guerriera aveva espresso l’opinione generale: il momento era arrivato.

«La prima testa è mia» disse un cinese molto alto con una collana di minuscoli crani al collo. Cominciò ad arrampicarsi con lentezza e determinazione portando sulla spalla un bastone che terminava con una lama ricurva come una luna d’argento.

Anche il Nulla non dura per sempre.

Forse, lì nel Nessundove, era stato per dieci minuti, o forse per diecimila anni. Non faceva differenza: il tempo era un concetto del quale non aveva più bisogno.

Non ricordava il suo vero nome. In quel luogo che non era un luogo si sentiva svuotato e ripulito.

Senza forma, vuoto.

Non era niente.

E in quel niente una voce lo chiamò: «Hohoka, cugino. Dobbiamo parlare».

Qualcosa che un tempo era stato un uomo di nome Shadow disse: «Sei Whiskey Jack?».

«Già» rispose l’altro dall’oscurità. «È difficile rintracciarti, da morto. Non sei andato in nessuno dei posti che avevo pensato. Ti ho cercato dappertutto prima che mi venisse l’idea di guardare qui. Dimmi, l’hai poi trovata la tua tribù?»

Shadow ripensò all’uomo e alla ragazza che ballavano sotto la sfera di cristallo. «Credo di aver trovato la mia famiglia. La tribù no, non mi pare.»

«Scusa se ti disturbo.»

«Lasciami in pace. Ho avuto quello che volevo. Sono spacciato.»

«Ti stanno venendo a cercare» disse Whiskey Jack. «Vogliono farti risuscitare.»

«Ma sono spacciato» insisté Shadow. «È tutto finito, per sempre.»

«Non bisogna mai dire niente del genere» disse Whiskey Jack. «Mai. Andiamo da me. Ti andrebbe una birra?»

A quel punto in effetti gli sarebbe piaciuta. «Certo.»

«Prendine una anche per me. C’è una ghiacciaia, fuori dalla porta.» Erano nella baracca di Whiskey Jack.

Shadow aprì la porta con mani che fino a pochi istanti prima non possedeva e vide una ghiacciaia di plastica piena di pezzi di ghiaccio del fiume con una dozzina di lattine di Budweiser. Ne prese un paio e sedette sulla soglia a guardare la valle.

Si trovavano in cima a una montagna, vicino a una cascata gonfia di neve sciolta che faceva un salto di venti o trenta metri sotto di loro. Il sole si rifletteva sulla brina che copriva gli alberi affacciati sulla pozza in fondo alla cascata.

«Dove siamo?»

«Dov’eri l’ultima volta che sei venuto da me» rispose Whiskey Jack. «A casa mia. Vuoi tenerti la mia birra in mano fino a quando non sarà calda?»

Shadow si alzò e gli passò la lattina. «L’altra volta non c’era nessuna cascata davanti a casa tua.»

Whiskey Jack non rispose. Aprì la lattina e in un unico sorso ingollò metà del contenuto. Poi disse: «Ti ricordi mio nipote Harry Bluejay? Il poeta? Quello che ha scambiato la sua Buick per la vostra Winnebago, te lo ricordi?».

«Certo. Non sapevo che fosse un poeta.»

Whiskey Jack alzò il mento con fierezza. «Il miglior poeta d’America.»

Finì la birra, ruttò e si prese un’altra lattina, mentre Shadow stava ancora aprendo la prima. Nel sole del mattino sedettero uno accanto all’altro su un sasso vicino a un gruppo di felci verde pallido, osservando la cascata e bevendo la birra. Per terra, nei punti dove le ombre non si accorciano mai, c’era ancora un po’ di neve.

Il terreno era umido e fangoso.

«Harry era diabetico» continuò Whiskey Jack. «Capita. Capita troppo spesso. Voi uomini bianchi venite in America, ci prendete la canna da zucchero, le patate, il granturco, poi ci rivendete le patatine fritte e il popcorn caramellato e noi ci ammaliamo.» Sorseggiò la birra riflettendo. «Le sue poesie avevano vinto anche un paio di premi. Nel Minnesota c’era qualcuno che voleva pubblicargli un libro. Stava andando a parlare proprio con loro su una macchina sportiva. Aveva barattato la vostra ’Bago con una Miata gialla. I dottori hanno detto che dev’essere entrato in coma mentre era al volante, è uscito di strada ed è andato a sbattere contro uno dei vostri cartelli stradali. Troppo pigri per guardare dove andate, per capire le indicazioni delle montagne e delle nuvole, avete bisogno di mettere cartelli dappertutto. E così Harry Bluejay se n’è andato a vivere per sempre con fratello Lupo. Perciò, mi sono detto, non c’era più niente che mi tenesse là. E sono venuto al Nord. Qui si pesca bene.»

«Mi dispiace per tuo nipote.»

«Anche a me. Così adesso vivo qui al Nord. Lontano dalle malattie dall’uomo bianco. Dalle strade dell’uomo bianco. Dai cartelli dell’uomo bianco. Dalle Miata gialle dell’uomo bianco. Dal popcorn caramellato dell’uomo bianco.»

«Anche dalla birra dell’uomo bianco?»

Whiskey Jack guardò la lattina. «Quando finalmente voi uomini bianchi ve ne andrete via lasciateci pure le fabbriche di birra Budweiser» disse.

«Dove siamo?» domandò Shadow. «Sono ancora sull’albero? Sono morto? Sono qua? Pensavo che fosse tutto finito. Che cosa è reale?»

«Sì» rispose Whiskey Jack.

«"Sì"? Che razza di risposta sarebbe "sì"?»

«Una buona risposta. Una risposta sincera.»

Shadow disse: «Sei un dio anche tu?».

Whiskey Jack scosse la testa. «Sono una leggenda. Facciamo quello che fanno gli dèi, con qualche cazzata in più, e nessuno ci venera. Raccontano un po’ di storie sul nostro conto, qualcuna ci mette in cattiva luce e qualche altra ci fa fare bella figura.»

«Capisco» disse Shadow, e più o meno capiva.

«Ascolta» disse Whiskey Jack, «questo non è un posto buono per gli dèi. Il mio popolo se n’è reso conto subito. Ci sono spiriti creatori che hanno trovato la terra, oppure l’hanno fatta o l’hanno cagata, ma pensaci un po’… chi è che vorrebbe adorare Coyote? Ha fatto l’amore con la Donna Porcospino e si è ritrovato con il cazzo come un puntaspilli. Se si metteva a discutere con i sassi lo fregavano loro.

«Quindi, sì, il mio popolo ha capito che dietro dev’esserci qualche cosa, un creatore, un grande spirito di qualche tipo, e quindi gli diciamo grazie, perché dire grazie va sempre bene. Però chiese non ne abbiamo mai costruite. Non ne abbiamo bisogno. La terra era la nostra chiesa. La terra era la religione. La terra era più antica e più saggia degli uomini che la calpestavano. Ci dava salmone e granturco e bufali e colombe migratrici. Ci dava il riso d’acqua e le felci. Ci dava i meloni, le zucche e i tacchini. E noi eravamo i figli della terra, proprio come il porcospino, la puzzola e la ghiandaia azzurra.»

Finì la seconda birra e indicò con un gesto in fondo alla cascata. «Se segui quel fiume, dopo un po’ arriverai ai laghi dove cresce il riso d’acqua. Quando è il periodo giusto ci puoi andare in canoa insieme a un amico, te lo raccogli, lo cucini, lo conservi, e resiste per tantissimo tempo. In ogni posto crescono cibi diversi. Molto più a sud ci sono gli aranci, i limoni e quelle cose molli e verdi che sembrano pere…»

«Avocado.»

«Avocado, giusto. Proprio loro. Quassù non crescono. Questa è la terra del riso d’acqua. Delle alci. Quello che sto cercando di dirti è che l’America è così. Non è un terreno fertile per gli dèi. Non crescono bene e basta. Sono come gli avocado che cercano di crescere nella terra del riso d’acqua.»

«Magari non cresceranno bene» rispose Shadow, ricordando qualcosa, «però si fanno la guerra.»