Quella fu la prima e unica volta che vide ridere Whiskey Jack. Sembrava che abbaiasse, in realtà, era una risata poco divertita. «Ehi, Shadow: se tutti i tuoi amici si buttano giù da una rupe, ti butti anche tu?»
«Può darsi.» Shadow stava bene. Non pensava che fosse soltanto merito della birra. Non riusciva a ricordare quando si era sentito altrettanto vivo, e integro.
«Non sarà una guerra.»
«Allora che cos’è?»
Whiskey Jack stritolò la lattina di birra tra le mani fino ad appiattirla completamente. «Guarda» disse, indicando la cascata. Il sole era alto e ne catturava gli spruzzi creando un nembo iridato che rimaneva sospeso nell’aria. Shadow pensò che non aveva mai visto niente di più bello.
«Sarà un bagno di sangue.»
A quel punto Shadow capì. Lo capì in tutta la sua cruda semplicità. Scosse la testa, poi cominciò a ridacchiare, scosse di nuovo la testa e scoppiò a ridere sonoramente senza riuscire a smettere.
«Stai bene?»
«Benissimo» rispose. «Solo che finalmente ho visto gli indiani nascosti. Non tutti, però qualcuno sì.»
«Allora probabilmente devono essere ho chunk, non sono mai stati capaci di nascondersi.» Guardò in alto verso il sole. «È tempo di tornare» disse. Si alzò.
«È una truffa per cui servono due uomini. Soci» disse Shadow. «Non in guerra. Giusto?»
Whiskey Jack gli batté una pacca sul braccio. «Non sei così stupido.»
Tornati alla baracca, Whiskey Jack aprì la porta. Shadow esitò. «Mi piacerebbe poter restare qui con te» disse. «Mi sembra un buon posto.»
«Ci sono tanti posti buoni» rispose l’altro. «Il senso è questo. Sta’ a sentire, gli dèi muoiono quando vengono dimenticati. Anche la gente. Però la terra rimane: i posti buoni e quelli cattivi. La terra non va da nessuna parte. Neanch’io.»
Shadow chiuse la porta. Qualcosa lo stava tirando. Era di nuovo solo nell’oscurità, ma l’oscurità diventava a poco a poco luminosa, sempre più luminosa, fino a quando non fu splendente e abbagliante come il sole.
Allora cominciò il dolore.
Easter camminava sul prato e al suo passaggio spuntavano i fiori.
Passò accanto a un luogo dove tanto tempo prima c’era stata una fattoria. Se ne vedevano ancora le mura spuntare tra giunchi ed erbacce come denti marci. Cadeva una pioggia leggera. Le nubi erano basse e scure e faceva freddo.
Poco dietro il punto dove sorgeva la fattoria c’era un albero, un enorme albero grigio argento nella sua spoglia veste invernale e, di fronte all’albero, nell’erba, brandelli di stoffa incolore. La donna si fermò, si chinò, e raccolse qualcosa di marrone e bianco: un frammento d’osso molto masticato che doveva essere appartenuto a un teschio umano. Lo ributtò nell’erba.
Poi guardò l’uomo appeso e sorrise ironica. «Nudi non sono poi così interessanti» disse. «Metà del divertimento consiste nello spogliarli. Come quando si aprono i regali e si sgusciano le uova.»
L’uomo con la testa di falco che camminava accanto a lei si guardò il pene e sembrò rendersi improvvisamente conto di essere nudo. Disse: «Io posso guardare il sole senza battere le palpebre».
«Ma che bravo» lo rassicurò Easter. «Dai, tiriamolo giù di lì.»
Le funi bagnate che tenevano Shadow legato all’albero erano ormai marce e cedettero al primo strattone. Il corpo scivolò verso le radici. I due lo afferrarono in caduta e lo trasportarono facilmente, benché fosse grande e grosso, e lo adagiarono sul prato grigio.
Il corpo era freddo, e non respirava. Sul fianco aveva una ferita con del sangue coagulato, come se fosse stato trafitto da una lancia.
«E adesso?»
«Adesso» rispose lei «lo riscaldiamo. Sai quello che devi fare.»
«Lo so. Non posso.»
«Se non eri disposto a dare una mano non avresti dovuto farmi venire fin qua.»
Easter allungò una mano candida e sfiorò i capelli corvini di Horus. Lui la guardò con grande concentrazione, poi cominciò a scintillare come la foschia provocata da un calore intenso.
Gli occhi di falco che la guardavano erano luminosi, color arancione, come se vi fosse stata ravvivata una fiamma estinta da tempo.
Il falco si alzò in volo salendo a spirale, volando intorno al prato tra le nuvole grige dove era nascosto il sole, e mentre saliva diventava una macchia, poi un puntino e poi più niente di visibile a occhio nudo, qualcosa che poteva soltanto essere immaginato. Le nubi cominciarono a sfaldarsi e a evaporare liberando una striscia di cielo azzurro attraverso la quale spuntò il sole. Il primo raggio che riuscì a penetrare le nubi e inondare il prato era bellissimo, ma la perfezione si dissolse, man mano che le nuvole scomparivano. Di lì a poco brillava sul prato un sole estivo di mezzogiorno che trasformava il vapore acqueo in umidità, e l’umidità in niente.
Inondò il corpo sdraiato sul prato con il radioso calore dei suoi raggi d’oro, lo accarezzò con sfumature rosa e di un caldo marrone.
La donna fece scorrere delicatamente le dita della mano destra sul petto del cadavere. Le sembrò di sentire un fremito, non proprio un battito, però… Lasciò la mano appoggiata sul cuore.
Piegò la testa, avvicinò la bocca alla bocca di Shadow e cominciò a respirare ritmicamente, poi il respiro diventò un bacio. Un bacio gentile che aveva il sapore delle piogge primaverili e dei fiori di campo.
La ferita nel fianco riprese a sanguinare, gocce di sangue liquido e scarlatto che rotolavano come rubini nella luce, e poi smise.
Lei baciò Shadow su una guancia e sulla fronte. «Alzati. È ora di alzarsi. È il momento decisivo. Non te lo vorrai perdere.»
Shadow batté le palpebre e poi aprì gli occhi: avevano il colore grigio della sera. La guardò.
Easter sorrise e ritrasse la mano.
«Mi hai riportato indietro» le disse. Lentamente, come se avesse dimenticato come si fa a parlare, e con un tono addolorato e stupito.
«Sì.»
«Ero spacciato. Già giudicato. Tutto finito. Mi hai riportato indietro. Come hai osato?»
«Mi dispiace.»
«Sì.»
Lui si alzò lentamente e trasalì, toccandosi il fianco con un’aria ancora più sconcertata: c’era qualche goccia di sangue fresco, ma nessuna ferita.
Shadow allungò una mano e per sostenerlo lei gli infilò un braccio sotto le ascelle. Lui guardò verso il prato come sforzandosi di ricordare i nomi delle cose che vedeva: i fiori nell’erba alta, le rovine della fattoria, i germogli, quasi una peluria sui rami dell’enorme albero argenteo.
«Ti ricordi?» chiese lei. «Ricordi quello che hai imparato?»
«Ho perduto il mio nome, e il cuore. Tu mi hai riportato indietro.»
«Mi dispiace» ripeté Easter. «Stanno per cominciare a combattere: i vecchi dèi e quelli nuovi.»
«Vuoi che combatta per voi? Hai perso il tuo tempo, allora.»
«Ti ho riportato indietro perché dovevo» rispose lei. «Adesso farai quello che devi. Tocca a te. Io ho fatto la mia parte.»
All’improvviso Easter divenne consapevole della nudità di Shadow, arrossì violentemente e distolse lo sguardo.
Protette dalla pioggia e dalle nuvole, le ombre si muovevano sul fianco della montagna, lungo i sentieri rocciosi.
Volpi bianche procedevano in compagnia di uomini dai capelli rossi, vestiti di verde. C’era un minotauro che avanzava accanto a uno pterodattilo con gli artigli di metallo. Un maiale, una scimmia e un essere demoniaco dai denti aguzzi salivano in compagnia di un uomo dalla pelle azzurra che teneva in mano un arco fiammeggiante, un orso con i fiori intrecciati nella pelliccia e un uomo con una corazza a maglia d’oro che aveva una spada fatta di occhi.
Il bellissimo Antinoo, amante di Adriano, saliva sulla montagna in testa a un manipolo di omosessuali vestiti di cuoio con i muscoli perfettamente scolpiti dagli steroidi.