In tono fiero Horus disse: «L’ho portato io. Vivono sulle montagne».
Shadow annuì. «Una volta ho sognato gli uccelli del tuono. Il sogno più pazzesco della mia vita.»
L’uccello aprì il becco ed emise un suono sorprendentemente gentile. «Hai sentito anche tu del mio sogno?» domandò Shadow.
Allungò una mano e gli accarezzò piano la testa. L’uccello del tuono gli si strinse accanto come un pony affettuoso. E allora Shadow gli grattò il collo su su fino alla cresta.
Si girò verso Easter: «Ti ha portato fin qua?».
«Sì» disse lei. «Puoi farti riportare indietro, se te lo permette.»
«Come si fa a cavalcarlo?»
«È facile. Se non cadi. È come cavalcare il fulmine.»
«Ci rivediamo là?»
Lei scosse la testa. «Io ho finito, tesoro» disse. «Tu vai a fare quello che devi fare. Sono stanca. Buona fortuna.»
Shadow annuì. «Whiskey Jack… l’ho visto dopo che ero morto. È venuto a cercarmi e abbiamo bevuto una birra insieme.»
«Sì» disse lei. «Ne sono sicura.»
«Ti rivedrò ancora?» chiese Shadow.
Easter lo guardò con gli occhi verdi come il granturco che matura e non rispose. Poi scosse bruscamente la testa. «Ne dubito.»
Shadow fece qualche goffo tentativo di salire sul dorso dell’uccello del tuono, gli pareva d’essere un topolino sopra un falco. Sentiva in bocca un sapore di aria pura, metallico e azzurro. Qualcosa crepitò. L’uccello del tuono allargò le ali e cominciò a batterle pesantemente. Mentre la terra si allontanava Shadow si aggrappò forte con il cuore che batteva all’impazzata.
Era esattamente come cavalcare il fulmine.
Laura prese il bastone dal sedile posteriore. Lasciò il signor Town accasciato sul volante, scese dalla Ford Explorer e si diresse sotto la pioggia all’ingresso di Rock City. La biglietteria era chiusa. Era aperta la porta del negozio di souvenir. La superò, passando davanti al negozietto di caramelle e alla mostra di casine per uccelli VISITATE ROCK CITY, ed entrò nell’ottava meraviglia del mondo.
Non la fermò nessuno, anche se durante il percorso incontrò parecchi uomini e donne, sotto l’acqua. Molti di loro avevano un’aria vagamente artificiale, certi sembravano addirittura luminosi. Percorse un ponte tibetano, superò il recinto dei cervi bianchi, e si infilò nel Fat Man’s Squeeze, dove lo stretto sentiero correva tra due alte pareti rocciose. Alla fine scavalcò una catena con un cartello su cui c’era scritto che quella zona di Rock City era chiusa al pubblico; entrò in una grotta dove su una sedia di plastica, davanti a un diorama di gnomi ubriachi, vide un uomo seduto. Stava leggendo il "Washington Post" alla luce di una piccola lanterna elettrica. Vedendola, l’uomo piegò il giornale e lo appoggiò sotto la sedia. Si alzò, era un uomo alto, con i capelli color carota tagliati a spazzola e un impermeabile costoso. Le fece un piccolo inchino.
«Ne deduco che il signor Town sia morto» disse. «Benvenuta, portatrice della lancia.»
«Grazie. Mi dispiace per Mack. Eravate amici?»
«Per niente. Doveva restare vivo, se voleva tenersi il lavoro. Comunque il bastone l’ha portato lei.» La guardò dall’alto in basso con due occhi in cui brillava la luce dei carboni ardenti. «Temo di essere in svantaggio nei suoi confronti. Qui in cima alla montagna mi chiamano signor World.»
«Io sono la moglie di Shadow.»
«Ma certo. La bella Laura» disse. «Avrei dovuto riconoscerti. Aveva le tue fotografie appese sopra il letto, nella cella che abbiamo condiviso. E, se me lo consenti, sei ancora più bella di quanto avresti il diritto di essere. Non ti dovresti trovare a uno stadio avanzato di decomposizione, ormai?»
«Era così» rispose lei con semplicità, «ma le tre donne alla fattoria mi hanno dato l’acqua del loro pozzo.»
World aggrottò la fronte. «Il fonte di Urdhr? Assolutamente impossibile.»
Lei indicò se stessa: era pallida, aveva le occhiaie profonde, ma era innegabilmente intera; se fosse stata un cadavere ambulante, doveva essere morta da poco.
«Non durerà» disse il signor World. «Le Norne ti hanno dato un piccolo assaggio del passato che ben presto si dissolverà nel presente, e allora quei graziosi occhi blu cadranno dalle orbite e scenderanno giù lungo le belle guance che non saranno più così belle. A proposito, il mio bastone. Puoi darmelo, per favore?»
Tirò fuori un pacchetto di Lucky Strike, prese una sigaretta e l’accese con un Bic nero.
«Potrei averne una?»
«Certo. Ti do una sigaretta se tu mi dai il bastone.»
«Se lo vuoi deve valere molto di più.»
Lui non disse niente.
«Io voglio risposte. Voglio sapere delle cose.»
World accese una sigaretta e gliela passò. Lei la prese e fece un tiro, poi batté le palpebre. «Quasi quasi mi sembra di sentirne il sapore. Forse sì.» Sorrise. «Mmm. La nicotina.»
«Perché sei andata dalle donne della fattoria?»
«È stato Shadow a dirmi di andare. Mi ha detto di andare a chiedere l’acqua.»
«Mi domando se sapesse che effetto ti avrebbe fatto. Probabilmente no. Comunque, è un bene che sia morto su quell’albero. Almeno so sempre dov’è. E so che è fuori gioco.»
«L’avete messo in trappola» disse lei. «Lo avete incastrato fin dall’inizio. È un uomo gentile, lo sai?»
«Sì. Lo so. Quando tutto sarà finito credo che dopo aver affilato ben bene un rametto di vischio andrò fino al frassino e glielo conficcherò in un occhio. Adesso dammi il mio bastone, per favore.»
«Perché lo vuoi?»
«Come ricordo di questa storiaccia» disse il signor World. «Non preoccuparti, non è vischio.» Sorrise. «Simboleggia una lancia, e in questo triste mondo il simbolo è la cosa.»
Dall’esterno giunsero rumori più forti.
«Da che parte stai?» chiese lei.
«È inlnfluente» rispose World. «Ma siccome me l’hai chiesto ti dirò che sto sempre dalla parte dei vincitori.»
Lei annuì e non si separò dal bastone.
Si girò per guardare fuori. In lontananza le sembrava di vedere tra le rocce più in basso qualcosa di luccicante e pulsante avviluppato intorno a un uomo magro con la barba e la faccia violacea che lo colpiva con il manico di una ramazza, tipo quelle che i mendicanti usano per pulire i vetri delle macchine ai semafori. Si sentì un grido e sparirono entrambe le creature.
«Va bene. Ti darò il bastone» disse lei.
La voce del signor World risuonò alle sue spalle: «Brava bambina» la rassicurò con un tono che era insieme condiscendente e indefinibilmente maschile. A Laura venne la pelle d’oca.
Rimase ferma davanti all’ingresso della grotta fino a quando non sentì il respiro di lui nell’orecchio. Doveva aspettare che fosse molto vicino. Il piano fin lì le era chiaro.
Il viaggio fu più che esilarante, fu elettrico.
Attraversarono il temporale saettando, balenando da una nuvola all’altra, muovendosi come il rombo del tuono, come la corrente violenta dell’uragano. Era un viaggio impossibile, un boato fragoroso. Non c’era paura: soltanto la potenza del temporale inarrestabile e devastante, e la gioia del volo.
Shadow affondò le dita nelle piume dell’uccello del tuono, sentì l’elettricità statica sulla pelle. Sulle mani gli correvano scintille blu come serpentelli. La pioggia gli bagnava la faccia.
«È eccezionale» gridò sopra il fragore della tempesta.
Come se l’avesse capito l’uccello salì più in alto, ogni battito d’ali un rombo di tuono, tuffandosi e riemergendo tra le nuvole scure.