L’indomani, che era il giorno dedicato al Padre Universale, trovarono lo scraeling. Era un uomo di bassa statura, con i capelli lunghi e neri come l’ala di un corvo, la pelle del colore dell’argilla grassa. Parlava una lingua che nessuno poteva comprendere, neppure il bardo, che aveva navigato attraverso le colonne d’Ercole e conosceva il gergo che parlano i mercanti in tutto il Mediterraneo. Lo straniero era coperto di piume e pellicce, e nei capelli portava intrecciate piccole ossa.
Lo condussero all’accampamento e gli servirono carne arrostita perché mangiasse in abbondanza e una bevanda forte perché placasse la sete. Risero sfrenatamente quando l’uomo barcollò e cantò, ciondolando la testa, già ubriaco dopo un solo corno di idromele. Gliene versarono ancora, e ben presto l’uomo finì sotto il tavolo con un braccio sopra la testa.
Poi lo presero, un uomo per ogni spalla, un uomo per ogni gamba, e lo trasportarono così, trasformato in un cavallo a otto zampe dai quattro portatori, in processione fino al frassino in cima alla collina che si affacciava sulla baia, gli passarono una fune intorno al collo e lo impiccarono alto nel vento come tributo al Padre Universale, il signore delle forche. Il corpo dello scraeling ondeggiò al vento, la faccia sempre più nera, la lingua di fuori, gli occhi sporgenti, il pene talmente rigido da poterci appendere un elmo di cuoio, mentre gli uomini festeggiavano con urla e risate, orgogliosi di innalzare al cielo il sacrificio.
E il giorno dopo, quando due enormi rapaci si appollaiarono sul cadavere, uno per spalla, e cominciarono a becchettare gli occhi e le guance, gli uomini capirono che il loro sacrificio era stato accettato.
Fu un inverno lungo, e avevano fame, tuttavia li rallegrava il pensiero che a primavera avrebbero fatto vela per le terre nordiche, per ritornare con altri uomini, e con le donne. Via via che il clima si faceva più freddo, e i giorni diventavano più corti, alcuni di loro si spinsero fino al villaggio degli scraeling nella speranza di trovare cibo e donne. Non trovarono che le ceneri degli accampamenti abbandonati in fretta e furia. Nel pieno dell’inverno, quando il sole era freddo e distante come un’opaca moneta d’argento, videro che i resti del corpo dello scraeling non penzolavano più dal frassino. Quel pomeriggio nevicò, fiocchi lenti, enormi.
Gli uomini delle terre scandinave chiusero i cancelli dell’accampamento e si ritirarono dietro le mura di legno.
Gli indiani sul sentiero di guerra attaccarono quella notte, e il villaggio venne bruciato. La nave capovolta sulla spiaggia di ciottoli venne bruciata, nella speranza che quei pallidi stranieri avessero una sola imbarcazione, nella speranza di assicurarsi, bruciandola, che nessun altro nordico approdasse alle loro rive.
Accadeva più di cent’anni prima che Leif il Fortunato, figlio di Erik il Rosso, riscoprisse quella stessa terra che avrebbe chiamato Vinland. I suoi dèi già lo aspettavano: Tyr con una mano sola, e il grigio Odino signore delle forche, e Thor dio dei tuoni.
Erano lì.
In attesa.
4
Shadow e Wednesday fecero colazione al Country Kitchen di fronte al motel. Alle otto del mattino il mondo era freddo e brumoso.
«Sei sempre dell’idea di lasciare Eagle Point?» chiese Wednesday. «Perché se sei pronto devo fare alcune commissioni. È venerdì. Venerdì è un giorno libero. Un giorno da donne. Domani è sabato. Di sabato c’è molto da fare.»
«Sono pronto» rispose Shadow. «Non c’è niente che mi trattenga qui.»
Wednesday si ammucchiò nel piatto molti tipi di salumi e carni. Shadow si servì qualche fetta di melone, un panino e un formaggino. Andarono a sedersi in un angolo.
«Che sogno pazzesco hai fatto ieri notte» disse Wednesday.
«Già. Pazzesco davvero.» Le impronte fangose lasciate da Laura sulla moquette del motel erano ancora ben visibili al suo risveglio, dalla sua camera attraversavano l’atrio e sparivano oltre la porta d’ingresso.
«Allora» riprese Wednesday, «perché ti hanno chiamato Shadow?»
Shadow scrollò le spalle. «È un nome come un altro.» Dall’altra parte della vetrata il mondo avvolto nella nebbia sembrava un disegno a matita eseguito con una decina di sfumature di grigio e, qui e là, una macchia di rosso elettrico o di bianco purissimo. «Come hai perso l’occhio?»
Wednesday si ficcò in bocca cinque o sei fette di pancetta tutte insieme, masticò, si ripulì la bocca con il dorso della mano. «Non l’ho perso» disse. «So esattamente dove si trova.»
«Bene, qual è il programma?»
Wednesday assunse un’aria pensierosa. Mangiò qualche fetta di prosciutto di un bel rosa acceso, staccò un frammento di carne dalla barba e lo mise nel piatto. «Il programma è il seguente: domani sera incontriamo alcune persone di spicco nei loro rispettivi settori… non lasciarti intimidire dal loro atteggiamento. Ci incontreremo in uno dei posti più importanti del paese. Dopo di che offriremo loro da bere e da mangiare. Li devo assoldare nell’impresa.»
«E dove si trova questo posto così importante?»
«Vedrai, ragazzo mio. Ho detto che è uno dei più importanti. Le opinioni in merito divergono, com’è comprensibile. Ho avvisato i colleghi. Sulla strada ci fermiamo a Chicago perché ho bisogno di procurarmi dei soldi. Ospitare come dobbiamo ospitare noi richiederà più contanti di quanti io ne disponga al momento. Poi andiamo a Madison.» Pagò e uscirono per tornare al parcheggio del motel dall’altra parte della strada. Wednesday lanciò le chiavi a Shadow.
Arrivati alla superstrada lasciarono la città.
«Ti mancherà?» domandò Wednesday. Stava rovistando in una cartelletta piena di carte geografiche.
«La città? No. Non ci ho mai vissuto veramente. Da bambino non vivevo mai a lungo nello stesso posto, e quando sono arrivato a Eagle Point avevo vent’anni. È la città di Laura.»
«Speriamo che ci rimanga» disse Wednesday.
«Era un sogno» rispose Shadow. «Non dimenticarlo.»
«Ben detto. Un atteggiamento sano, il tuo. Te la sei chiavata, ieri notte?»
Shadow trattenne il respiro. Poi: «Non sono affari tuoi. Comunque no».
«Avresti voluto?»
Shadow non rispose e continuò a guidare verso nord, in direzione di Chicago. Wednesday ridacchiò e cominciò a tirare fuori le carte geografiche, ad aprirle e ripiegarle, prendendo ogni tanto un appunto su un blocco di carta gialla con una grossa penna a sfera d’argento.
A un certo punto finì. Ripose la penna e appoggiò la cartelletta sul sedile posteriore. «La cosa buona degli stati verso cui stiamo andando» disse, «Minnesota, Wisconsin e paraggi, è che c’è il tipo di donna che mi piaceva da giovane. Con la pelle chiara e gli occhi azzurri, i capelli quasi bianchi, le labbra color vinaccia e i seni tondi e pieni sotto la cui pelle si vedono scorrere le vene come in un buon formaggio.»
«Ti piacevano solo da giovane?» domandò Shadow. «Mi sembrava che te la stessi spassando, ieri notte.»
«Sì.» Wednesday sorrise. «Ti piacerebbe conoscere il segreto del mio successo?»
«Le paghi?»
«Niente di così volgare. No, il segreto risiede nel fascino. Nella pura e semplice magia del fascino.»
«Fascino, eh? Be’, dicono che o ce l’hai o non ce l’hai.»