Da Kinko, Wednesday si mise a fotocopiare i moduli della banca e poi si fece stampare dall’impiegato due fogli con dieci biglietti da visita ciascuno. A Shadow cominciava a far male la testa, e aveva una sensazione spiacevole in mezzo alle scapole; si chiese se avesse dormito male, se l’emicrania fosse uno strano lascito della notte trascorsa sul divano.
Wednesday sedette davanti al computer del negozio a scrivere una lettera e, con l’aiuto dell’impiegato, confezionò alcuni cartelli di grandi dimensioni.
Neve, pensava Shadow. Alta nell’atmosfera, perfetta, minuscoli cristalli che si formano intorno a un atomo di polvere, ognuno una trina. E scendendo i cristalli si uniscono tra loro e diventano fiocchi, ricoprono Chicago di una coltre spessa e bianca, centimetro dopo centimetro…
«Tieni» disse Wednesday porgendogli una tazza di caffè con un grumo galleggiante di latte vegetale in polvere che non si era sciolto. «Penso che basti, non credi?»
«Cosa?»
«La neve. Non vogliamo mica paralizzare la città, ti pare?»
Il cielo aveva il colore grigio di una nave da guerra. Stava nevicando. A più non posso.
«Non sono stato io» disse Shadow. «Cioè, non c’entro io, vero?»
«Bevi il caffè. È pessimo, però allevia un po’ il mal di testa.» Poi aggiunse. «Ottimo lavoro.»
Wednesday pagò l’impiegato di Kinko e uscì con i cartelli, le lettere e i biglietti da visita. Aprì il baule dell’automobile, infilò tutte le carte in un grosso contenitore, una cassetta di metallo del tipo che usano le guardie addette al trasporto valori, e richiuse il baule. Diede a Shadow un biglietto da visita.
«Chi è A. Haddock, direttore della Al Security Service?»
«Sei tu.»
«A. Haddock?»
«Esatto.»
«A per cosa sta?»
«Alfredo? Alphonse? Augustine? Ambrose? Decidi tu.»
«Capisco.»
«Io sono James O’Gorman» disse Wednesday. «Jimmy per gli amici. Vedi? Ho un biglietto da visita anch’io.»
Salirono in macchina. Wednesday disse: «Se riesci a pensare a A. Haddock bene come hai pensato "neve", stasera avremo denaro in abbondanza per offrire da bere e da mangiare ai miei amici.»
«Io in prigione non ci torno.»
«Non succederà.»
«Eravamo d’accordo che non avrei fatto niente di illegale.»
«Infatti. Forse sarai responsabile di complicità e favoreggiamento, di cospirazione, seguita ovviamente dal possesso di denaro rubato, ma credimi, uscirai da questa storia immacolato come un giglio.»
«Questo prima o dopo che il tuo vetusto culturista slavo mi avrà fracassato la testa?»
«Ci vede poco. Ti mancherà, probabilmente. Allora, abbiamo ancora un po’ di tempo a disposizione, sabato la banca chiude a mezzogiorno, dopotutto. Ti andrebbe di mangiare qualcosa?»
«Sì» rispose Shadow. «Sto morendo di fame.»
«Conosco il posto giusto» disse Wednesday. Guidando canticchiava un motivetto allegro che Shadow non riuscì a identificare. Nevicava, proprio grossi fiocchi come li aveva immaginati lui e, cosa strana, se ne sentiva orgoglioso. Razionalmente sapeva di non aver niente a che fare con la nevicata, proprio come sapeva che il dollaro d’argento che aveva in tasca non poteva mai e poi mai essere stato la luna. Eppure…
Si fermarono davanti a un grande edificio basso, una specie di capannone. Un cartello pubblicizzava il buffet a prezzo fisso per quattro dollari e novantanove. «Mi piace questo posto» disse Wednesday.
«Si mangia bene?»
«Non particolarmente. Però l’atmosfera è speciale.»
L’atmosfera che piaceva tanto a Wednesday, si scoprì, una volta consumato il pranzo — pollo fritto per Shadow, che aveva apprezzato — dipendeva dal traffico che si svolgeva sul retro: deposito e vendita di oggetti ricavati da bancarotte e liquidazioni, come annunciava uno striscione teso da una parte all’altra della sala.
Wednesday uscì per andare in macchina a prendere un valigetta con la quale si diresse nel bagno degli uomini. Visto che comunque avrebbe saputo anche troppo presto che cosa stava combinando il suo capo, Shadow decise di curiosare tra i corridoi e vedere la merce in vendita: scatole di caffè "soltanto per filtri usati dalle compagnie aeree"; pupazzetti delle Tartarughe Ninja e di Xena; bambole dell’harem della Principessa Guerriera, orsacchiotti che collegati a una presa suonavano motivetti patriottici sullo xilofono, carne in scatola, vari tipi di galosce e sovrascarpe, sacchetti di toffolette, orologi della campagna presidenziale di Bill Clinton, finti alberelli di Natale, portasale e portapepe a forma di animali, parti anatomiche, frutta e suore e l’oggetto che ottenne subito le preferenze di Shadow, un kit "basta la carota" di un omino di neve con gli occhi fatti di carbone sintetico, la pipa di tutolo e il cappellino di plastica.
Shadow pensava a una donna che era riuscita a dargli l’illusione che la luna si staccasse dal cielo per diventare un dollaro d’argento e a un’altra uscita dalla tomba per attraversare la città e parlare con lui.
«Non è un posto fantastico?» gli chiese Wednesday appena uscito dal bagno mentre si asciugava le mani nel fazzoletto. «Hanno finito le salviette di carta» disse. Si era cambiato e adesso indossava un completo blu con camicia bianca e cravatta blu di maglia, un maglione pesante blu scuro e un paio di scarpe nere. Sembrava un agente di sicurezza, come gli disse Shadow.
«Che cosa vuoi che faccia, giovanotto» rispose l’altro prendendo in mano un acquarietto di plastica con i pesci galleggianti ("Non perdono colore — e non hanno bisogno di mangime!!"), «oltre che congratularmi per la tua perspicacia? Cosa te ne pare di Arthur Haddock? Arthur è un bel nome.»
«Troppo frivolo.»
«Be’, allora inventati qualcosa. Forza. Torniamo in città. Per avere qualche soldo da spendere ci dobbiamo presentare puntuali alla rapina.»
«In genere» disse Shadow «se uno ha bisogno di soldi li prende al bancomat.»
«E infatti. Ti sembrerà strano ma è più o meno quello che pensavo di fare.»
Lasciò la macchina nel parcheggio del supermercato di fronte alla banca e dal baule prese la cassetta di metallo, un blocco di carta e un paio di manette. Si ammanettò la cassetta al polso sinistro. La neve continuava a cadere. Poi indossò un berretto blu a punta, e con il velcro si attaccò il cartellino al taschino della giacca. A quel punto cominciò ad assumere un’andatura goffa e pesante. Sembrava un vecchio poliziotto in pensione e, chissà come, gli era spuntata anche una bella pancia.
«Adesso» disse «tu vai a comperare qualcosa nel supermercato e poi ti fermi nei paraggi del telefono. Se qualcuno ti chiede che cosa stai facendo, rispondi che aspetti una telefonata dalla tua fidanzata che è rimasta in panne.»
«E perché mi dovrebbe chiamare proprio al telefono del supermercato?»
«A me lo domandi?»
Wednesday si infilò un paio di paraorecchi rosa chiaro e chiuse il baule della macchina. Sul cappello scuro e sui paraorecchi si stavano posando i fiocchi di neve.
«Come sto?» chiese.
«Sei ridicolo.»
«Ridicolo?»
«Fesso, se preferisci.»
«Mmm. Ridicolo e fesso. Molto bene.» Sorrise. I paraorecchi gli davano un’aria che era insieme rassicurante, spiritosa e, in fondo in fondo, amabile. Attraversò la strada con un’andatura dinoccolata e percorse l’isolato in cui sorgeva il palazzo della banca, mentre Shadow entrava nell’ingresso del supermercato e restava a guardare.
Wednesday attaccò sullo sportello del bancomat e della cassa continua un grosso cartello con la scritta FUORI SERVIZIO. Coprì l’apertura con una fotocopia tenuta da una striscia di nastro adesivo rosso. Shadow lesse divertito.
CI SCUSIAMO PER IL DISAGIO. STIAMO LAVORANDO PER MIGLIORARE IL SERVIZIO.