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«Sì» rispose lei alzando il mento. «Posso pagarmi la cena.»

Shadow annuì. «Facciamo una cosa. Facciamo testa o croce» disse. «Testa mi inviti tu, croce pago io per tutti e due.»

«Fammi vedere la moneta» rispose lei con aria sospettosa. «Un mio zio ne aveva una truccata.»

Esaminò la moneta di Shadow, soddisfatta di scoprire che non aveva niente di strano. Lui la lanciò in modo che roteasse su se stessa, poi la prese al volo, la fece cadere sul dorso della mano sinistra e alzò la destra per scoprirla.

«Croce» disse lei tutta contenta. «Paghi tu.»

«Vabbè» rispose Shadow. «Bisogna saper perdere.»

Ordinò il polpettone, mentre Sam scelse le lasagne, poi sfogliò il giornale per vedere se parlavano dei cadaveri sul treno merci. Non ne parlavano. L’unica storia di qualche interesse era in copertina: la città era infestata da un numero straordinario di corvi. I coltivatori della zona pensavano di appenderne alcuni esemplari morti in cima agli edifici pubblici più alti per spaventare gli altri, ma secondo gli ornitologi quel sistema non avrebbe funzionato perché gli animali vivi si sarebbero limitati a mangiarseli. I contadini erano determinati. «Quando vedranno i loro amici morti» dichiarò il portavoce dei coltivatori «capiranno che qui non ce li vogliamo.»

Arrivarono i piatti colmi di cibo fumante, porzioni più generose di quelle che chiunque avrebbe potuto affrontare.

«Allora, che cosa c’è a Cairo?»

«Non ne ho idea. Ho ricevuto dal mio capo il messaggio di andarci.»

«Che lavoro fai?»

«Lavoro per mio zio.»

Sam sorrise. «Be’» disse, «con l’aspetto che hai e il rottame che guidi non puoi certo essere della mafia. A proposito, perché la tua macchina puzza di banana?»

Shadow scrollò le spalle e continuò a mangiare.

Sam socchiuse gli occhi. «Forse sei un contrabbandiere di banane» disse. «Non mi hai ancora chiesto che cosa faccio io.»

«Frequenterai l’università.»

«U.W. Madison.»

«Dove sicuramente studi storia dell’arte, storia del movimento femminile e, con ogni probabilità, ti fondi da sola le tue sculture in bronzo. Ah, forse per pagare l’affitto fai la cameriera in un bar.»

La ragazza appoggiò la forchetta sul tavolo; aveva le narici frementi, gli occhi sbarrati. «Come cazzo fai a saperlo?»

«Cosa? Adesso tu devi dire, no, in realtà frequento i corsi di letteratura romanza e di ornitologia.»

«Vuoi dire che hai tirato a indovinare?»

«Cosa?»

Lei lo fissò con occhi cupi. «Sei un tipo molto strano, signor… Non so come ti chiami.»

«Mi chiamano Shadow».

La ragazza fece una smorfia, come se avesse assaggiato qualcosa con un cattivo sapore. Smise di parlare, chinò la testa e finì il piatto di lasagne.

«Ma tu lo sai perché si chiama Little Egypt?» chiese Shadow quando la ragazza ebbe finito.

«La zona intorno a Cairo? Sì. Perché si trova sul delta dell’Ohio e del Mississippi. Come Il Cairo in Egitto, sul delta del Nilo.»

«Sembra ragionevole.»

Sam si appoggiò allo schienale, ordinò un caffè e una fetta di torta con crema e cioccolato e si ravviò i capelli con le dita. «Sei sposato, signor Shadow?» E poi, dopo un attimo di esitazione: «Cavoli. Devo aver fatto un’altra domanda sbagliata».

«L’hanno sepolta giovedì» rispose lui scegliendo con cura le parole. «È morta in un incidente automobilistico.»

«Oddio santo. Cavoli. Mi dispiace.»

«Anche a me.»

Seguì una pausa imbarazzata, poi Sam disse: «La mia sorellastra ha perso il figlio, mio nipote, alla fine dell’anno scorso. È dura.»

«Sì. Lo è. Di cosa è morto?»

Sam sorseggiò il caffè. «Non lo sappiamo. In effetti non sappiamo neanche se è veramente morto. E scomparso nel nulla. Aveva tredici anni. Nel cuore dell’inverno. Mia sorella è ancora a pezzi.»

«Nessuna traccia?» Parlava come un poliziotto in un telefilm. Provò a fare di meglio. «C’è il sospetto di violenza?» Così era addirittura peggio.

«Si è sospettato di quello stronzo irresponsabile di mio cognato, il padre del bambino. Uno capace di rapirlo. E probabilmente è andata così. Ma tutto questo è successo in una cittadina nei North Woods. Una bella cittadina gentile dove nessuno chiude la porta di casa.» Sospirò e scosse la testa. Teneva la tazza di caffè con tutte e due le mani. «Sei sicuro di non avere un po’ di sangue indiano?»

«Non che io sappia. È possibile. Non so molto sul conto di mio padre. La mamma me l’avrebbe detto se fosse stato un nativo. Però non si può mai sapere.»

Sam fece un’altra smorfia e a metà del dolce decise di rinunciare: le avevano servito una fetta grande come metà della sua testa. Allungò il piatto verso Shadow. «La vuoi?» Lui sorrise, disse: «certo», e la mangiò tutta.

Quando la cameriera portò il conto Shadow pagò.

«Grazie» gli disse Sam.

Ora faceva più freddo e prima di mettersi in moto il motore tossicchiò un paio di volte. Shadow ritornò sulla strada e riprese a guidare verso sud. «Hai mai letto Erodoto?» chiese.

«Cosa?»

«Erodoto. Hai mai letto le sue Storie

«Sai una cosa» disse lei in tono sognante, «io non ti capisco. Non capisco come parli né le parole che usi. Prima sembri un gigante tonto, il momento dopo mi leggi nel pensiero, e adesso siamo qui a parlare di Erodoto. Comunque no. Non l’ho letto. So chi è. Ne ho sentito parlare alla radio, in una trasmissione educativa, credo. Non è quello che chiamano il padre delle menzogne?»

«Credevo che quello fosse il diavolo.»

«Sì, anche. Ho sentito parlare di Erodoto a proposito delle formiche giganti e dei grifoni a guardia delle miniere d’oro, tutte cose che aveva inventato.»

«Non credo che inventasse. Scriveva quello che gli veniva raccontato. Scriveva storie, insomma, in genere storie molto interessanti, con un sacco di dettagli strani: tipo, lo sapevi che in Egitto se moriva una ragazza particolarmente bella o la moglie di un signore aspettavano tre giorni prima di farla imbalsamare? Lasciavano il corpo a decomporsi un po’ al sole.»

«Perché? Aspetta. Sì, ho capito. Oh, ma è disgustoso.»

«Nelle sue storie Erodoto racconta battaglie, e un sacco di altri eventi. E poi ci sono gli dèi. Un tizio torna di corsa a fare rapporto sugli esiti di una battaglia; corre, corre, e in una radura incontra il dio Pan. Pan gli dice: "Di’ alla tua gente di erigermi un tempio in questo punto". L’uomo risponde va bene e ricomincia a correre. Riferisce le notizie sulla battaglia e poi aggiunge: "Oh, a proposito, Pan vuole che gli costruiate un tempio". Così, come se fosse una cosa naturale, capisci?»

«Quindi ci sono storie che parlano di dèi. Che cosa stai cercando di dire? Che quella gente aveva le allucinazioni?»

«No» rispose Shadow. «Assolutamente no.»

Sam si mordicchiò la pellicina di un’unghia. «Ho letto un libro sul cervello. Ce l’aveva la mia compagna di stanza e continuava a sbandierarlo in giro. Parlava di quando cinquemila anni fa i lobi del cervello si sono fusi mentre prima la gente pensava che quando il lobo destro diceva qualcosa fosse la voce di un dio a ordinargli di fare questo e quello. È solo una questione di cervello, insomma.»

«Preferisco la mia teoria» disse Shadow.

«E quale sarebbe?»

«Che una volta alla gente capitava di incontrare gli dèi, ogni tanto.»

«Ah.» Silenzio. La macchina sferragliava, si sentivano il rombo del motore e i borbottii poco rassicuranti della marmitta. Poi: «Pensi che siano ancora lì?».

«Dove?»

«In Grecia, in Egitto. Nelle isole. In quei posti lì. Pensi che ripercorrendo le strade percorse da quegli uomini li vedremmo anche noi?»