«Non durerà» disse il signor World. «Le Norne ti hanno dato un piccolo assaggio del passato che ben presto si dissolverà nel presente, e allora quei graziosi occhi blu cadranno dalle orbite e scenderanno giù lungo le belle guance che non saranno più così belle. A proposito, il mio bastone. Puoi darmelo, per favore?»
Tirò fuori un pacchetto di Lucky Strike, prese una sigaretta e l’accese con un Bic nero.
«Potrei averne una?»
«Certo. Ti do una sigaretta se tu mi dai il bastone.»
«Se lo vuoi deve valere molto di più.»
Lui non disse niente.
«Io voglio risposte. Voglio sapere delle cose.»
World accese una sigaretta e gliela passò. Lei la prese e fece un tiro, poi batté le palpebre. «Quasi quasi mi sembra di sentirne il sapore. Forse sì.» Sorrise. «Mmm. La nicotina.»
«Perché sei andata dalle donne della fattoria?»
«È stato Shadow a dirmi di andare. Mi ha detto di andare a chiedere l’acqua.»
«Mi domando se sapesse che effetto ti avrebbe fatto. Probabilmente no. Comunque, è un bene che sia morto su quell’albero. Almeno so sempre dov’è. E so che è fuori gioco.»
«L’avete messo in trappola» disse lei. «Lo avete incastrato fin dall’inizio. È un uomo gentile, lo sai?»
«Sì. Lo so. Quando tutto sarà finito credo che dopo aver affilato ben bene un rametto di vischio andrò fino al frassino e glielo conficcherò in un occhio. Adesso dammi il mio bastone, per favore.»
«Perché lo vuoi?»
«Come ricordo di questa storiaccia» disse il signor World. «Non preoccuparti, non è vischio.» Sorrise. «Simboleggia una lancia, e in questo triste mondo il simbolo è la cosa.»
Dall’esterno giunsero rumori più forti.
«Da che parte stai?» chiese lei.
«È inlnfluente» rispose World. «Ma siccome me l’hai chiesto ti dirò che sto sempre dalla parte dei vincitori.»
Lei annuì e non si separò dal bastone.
Si girò per guardare fuori. In lontananza le sembrava di vedere tra le rocce più in basso qualcosa di luccicante e pulsante avviluppato intorno a un uomo magro con la barba e la faccia violacea che lo colpiva con il manico di una ramazza, tipo quelle che i mendicanti usano per pulire i vetri delle macchine ai semafori. Si sentì un grido e sparirono entrambe le creature.
«Va bene. Ti darò il bastone» disse lei.
La voce del signor World risuonò alle sue spalle: «Brava bambina» la rassicurò con un tono che era insieme condiscendente e indefinibilmente maschile. A Laura venne la pelle d’oca.
Rimase ferma davanti all’ingresso della grotta fino a quando non sentì il respiro di lui nell’orecchio. Doveva aspettare che fosse molto vicino. Il piano fin lì le era chiaro.
Il viaggio fu più che esilarante, fu elettrico.
Attraversarono il temporale saettando, balenando da una nuvola all’altra, muovendosi come il rombo del tuono, come la corrente violenta dell’uragano. Era un viaggio impossibile, un boato fragoroso. Non c’era paura: soltanto la potenza del temporale inarrestabile e devastante, e la gioia del volo.
Shadow affondò le dita nelle piume dell’uccello del tuono, sentì l’elettricità statica sulla pelle. Sulle mani gli correvano scintille blu come serpentelli. La pioggia gli bagnava la faccia.
«È eccezionale» gridò sopra il fragore della tempesta.
Come se l’avesse capito l’uccello salì più in alto, ogni battito d’ali un rombo di tuono, tuffandosi e riemergendo tra le nuvole scure.
«Nel mio sogno ti davo la caccia» disse Shadow mentre il vento gli strappava le parole. «Nel mio sogno dovevo riportare indietro una piuma.»
Sì. La parola risuonò come uno scoppiettio nella radio mentale. Venivano a cercarci per le piume, per provare d’essere uomini; e venivano anche per strapparci dalla testa la pietra, per far dono ai loro morti della nostra vita.
Un’immagine lo assalì: un uccello del tuono — una femmina, perché aveva un piumaggio marrone — giaceva morto sul fianco di una montagna. Accanto c’era una donna intenta a spaccargli la testa con un pezzetto di silice. Rovistò con le dita tra le schegge d’ossi e il cervello fino a quando non trovò una pietra trasparente e levigata che aveva il colore cupo del granato, con bagliori opalescenti, in profondità. La pietra aquilina, pensò Shadow. La donna l’avrebbe portata al figlioletto morto da tre giorni, gliel’avrebbe appoggiata sul petto freddo. Prima dell’alba il ragazzo sarebbe tornato a vivere, a giocare, il gioiello invece sarebbe stato grigio, opaco e morto come l’uccello a cui era stato rubato.
«Capisco» disse. L’animale gettò la testa all’indietro e gridò, il suo grido era il tuono.
Il mondo sotto di loro sfrecciava a lampi come in uno strano sogno.
Laura afferrò con forza il bastone e aspettò che l’uomo che le aveva detto di chiamarsi World si avvicinasse. Guardava la tempesta e le montagne verde scuro.
In questo triste mondo, pensò, il simbolo è la cosa. Esatto.
Sentì che lui le aveva appoggiato una mano sulla spalla destra.
Bene, pensò. Non vuole che mi preoccupi. Ha paura che getti il suo bastone giù dalla montagna, ha paura di perderlo.
Lei si appoggiò un pochino all’indietro fino a toccare con la schiena il petto di lui. Lui la circondò con il braccio sinistro. Era un gesto intimo. Teneva la mano sinistra aperta davanti a lei. Laura strinse ancora più forte le mani intorno all’estremità del bastone, espirò, concentrata al massimo.
«Dammelo, per favore» le disse lui all’orecchio.
«Sì. È tuo.» Poi, senza nemmeno sapere se significasse qualcosa, disse: «Dedico questa morte a Shadow» e si conficcò il bastone nel petto, proprio sotto lo sterno: lo sentì fremere tra le dita mentre si trasformava in una lancia.
Da quando era morta il confine fra sensazione e dolore si era esteso. Sentì la punta della lancia penetrarla e uscirle dalla schiena. Un momento di resistenza — spinse un altro po’ — e la punta penetrò anche il signor World. Avvertì il respiro caldo di lui sul collo, e un gemito di dolore e sorpresa, quando capì d’essere stato trafitto dalla lancia.
Non riconobbe le parole che disse, né la lingua in cui le pronunciò. Continuò a spingere la lancia attraverso il proprio corpo perché entrasse completamente in quello di lui.
Sentiva il suo sangue caldo sulla schiena.
«Puttana» le disse in inglese. «Lurida puttana.» Probabilmente la lama aveva perforato un polmone perché la sua voce suonava gorgogliante. Adesso il signor World cercava di muoversi e a ogni movimento spostava anche lei: erano uniti dalla lancia, infilzati come due pesci su uno spiedo. Adesso World aveva in mano un coltello con cui cercava di colpirla al petto e al seno senza riuscire a vedere dove.
A Laura non importava. Cos’è qualche coltellata per un cadavere?
Lo colpì con un pugno sul polso e il coltello volò sul pavimento. Lei lo allontanò con un calcio.
Adesso World piangeva e gemeva. Lo sentiva rovistare con le mani sulla sua schiena, aveva le sue lacrime calde sul collo; la schiena era inzuppata di sangue, che colava anche lungo le gambe.
«Dev’essere una scena pochissimo dignitosa» disse lei in un morto sussurro non senza un certo macabro umorismo.
Si accorse che lui incespicava, incespicò anche lei e poi scivolò nel sangue — tutto di World — che stava formando una pozzanghera sul pavimento della grotta. Caddero insieme.
L’uccello del tuono atterrò nel parcheggio di Rock City. Pioveva a dirotto e c’era una visibilità di tre metri scarsi. Shadow lasciò andare le piume dell’uccello, ricadde con un tonfo sull’asfalto bagnato e scivolò.
L’uccello scomparve in un baleno.
Shadow si rimise in piedi.
Il parcheggio era vuoto per tre quarti. Shadow si diresse all’ingresso passando davanti a una Ford Explorer marrone parcheggiata vicino a una parete rocciosa. Siccome c’era qualche cosa di molto familiare nell’automobile si fermò per dare un’occhiata e vide l’uomo rovesciato sul volante come addormentato.