«Buona fortuna».
«Cazzo, sono fottuto» disse l’irlandese. «Comunque grazie.» Shadow tornò verso la città. Erano le otto del mattino e Cairo si stava svegliando. Si voltò a guardare e sotto il ponte vide la faccia pallida di Sweeney rigata di lacrime e sudiciume che lo osservava allontanarsi.
Non lo avrebbe più visto vivo.
Le brevi giornate d’inverno che precedono il Natale erano come istanti luminosi nella tenebra e nella dimora dei morti volarono via in fretta.
Il ventitré dicembre Jacquel e Ibis erano intenti al loro ruolo di ospiti alla veglia di Lila Goodchild. La cucina era affollata di donne indaffarate con pentole e tegami e contenitori di plastica, mentre la defunta era esposta dentro la bara circondata da fiori di serra nella sala principale dell’impresa di pompe funebri. Sul lato opposto della sala c’era un tavolo coperto di enormi quantità di insalata di cavolo, fagioli e frittelle di granturco, pollo e costolette e fagioli dall’occhio, e a metà pomeriggio la casa era piena di gente che piangeva e rideva e stringeva le mani al pastore, tutto grazie all’organizzazione ferrea e sotto l’occhio vigile dei sobriamente vestiti signori Jacquel e Ibis. La defunta sarebbe stata seppellita l’indomani mattina.
Quando il telefono dell’ingresso squillò (era di bachelite nera e aveva il bel vecchio disco rotante di una volta), rispose il signor Ibis. Poi prese Shadow in disparte. «Era la polizia. Potresti andare a ritirare un corpo?»
«Certo.»
«Sii discreto. Tieni.» Scrisse l’indirizzo su un foglietto di carta e lo diede a Shadow che lesse il bel corsivo chiaro e regolare, lo ripiegò e lo infilò in tasca. «Ci sarà una macchina della polizia» aggiunse Ibis.
Shadow andò a prendere il carro funebre. Jacquel e Ibis ci avevano tenuto a spiegare, separatamente, che in realtà il carro andava usato soltanto per i funerali, e che per ritirare i cadaveri avevano un furgone, ma al momento il furgone era dal meccanico, erano già tre settimane ormai, perciò che facesse molta attenzione con il carro funebre. Shadow guidò con cautela. Gli spazzaneve avevano ripulito le strade ma gli piaceva guidare piano. Sembrava l’unica cosa giusta da fare con un veicolo di quel tipo, anche se quasi non ricordava l’ultima volta che ne aveva visto uno per strada. La morte era scomparsa dalle strade d’America, pensò; era un evento che si verificava negli ospedali o nelle ambulanze. Non bisogna spaventare i vivi. Il signor Ibis gli aveva raccontato che in alcuni ospedali mettono i morti sul ripiano basso delle barelle e poi le coprono per farle sembrare vuote, così i defunti percorrono la loro ultima strada sotto mentite spoglie.
Un’automobile blu della polizia era ferma sul ciglio della strada e Shadow parcheggiò subito dietro. A bordo c’erano due poliziotti che bevevano caffè dai coperchi dei thermos. Non avevano spento il motore per tenere acceso il riscaldamento. Shadow picchiò sul finestrino.
«Che c’è?»
«Mi manda l’impresa di pompe funebri.»
«Stiamo aspettando il medico legale» disse il poliziotto. Shadow si domandò se fosse lo stesso che gli aveva parlato sotto il ponte. L’uomo, di colore, scese dalla macchina lasciando il collega al volante e accompagnò Shadow verso i bidoni dell’immondizia. Mad Sweeney era seduto nella neve vicino a un bidone. In grembo aveva una bottiglia verde; faccia, berretto e spalle erano coperti da uno strato sottile di neve. Non dava segni di vita.
«Ubriaco morto» disse il poliziotto.
«Così parrebbe» rispose Shadow.
«Non toccare niente» disse il poliziotto. «Il medico legale dovrebbe arrivare da un momento all’altro. Se vuoi la mia opinione questo qui era ubriaco perso e si è congelato il culo.»
«Sì» convenne Shadow. «A vederlo sembrerebbe proprio così.»
Si accovacciò davanti a Sweeney e guardò l’etichetta della bottiglia. Whiskey irlandese Jameson: un biglietto da venti dollari di sola andata. Una piccola Nissan verde si fermò e ne scese un uomo di mezza età dall’aria esausta, con i capelli e i baffi brizzolati. Si avvicinò al corpo e lo toccò sul collo. Il suo lavoro consiste nel prendere a calci il cadavere, pensò Shadow. Se il cadavere non glieli restituisce, allora lui…
«È morto» dichiarò il medico. «Sapete chi è?»
«Tizio o Caio» rispose il poliziotto.
Il medico legale guardò Shadow. «Lei lavora per Jacquel Ibis?»
«Sì.»
«Dica a Jacquel di prendere il calco dei denti e le impronte digitali, oltre alle foto. Dell’autopsia non c’è bisogno. Basta un esame del sangue per le analisi tossicologiche. Ha capito? Vuole che glielo scriva?»
«No» disse Shadow. «Va bene così. Me lo ricordo.»
L’uomo aggrottò per un istante le sopracciglia, poi prese dal portafogli un biglietto da visita, vi scrisse qualcosa e glielo diede. «Lo dia a Jacquel» disse, aggiunse «Buon Natale a tutti» e se ne andò. I poliziotti si tennero la bottiglia vuota.
Shadow firmò per il ritiro di Tizio e lo adagiò sulla barella. Il corpo era molto rigido e Shadow non riuscì a smuoverlo dalla posizione seduta. Manovrò la barella in modo da rialzarne un’estremità e vi legò Tizio seduto in fondo al carro con la faccia rivolta nel senso di marcia. Avrebbe viaggiato bene lo stesso. Chiuse le tendine e partì diretto verso l’impresa di pompe funebri.
Il carro era fermo a un semaforo quando Shadow sentì una voce gracchiare: «E la veglia la voglio fatta come si deve, con tutto il meglio e donne bellissime che piangono e si strappano le vesti per il dolore e gli uomini più coraggiosi che mi ricordano narrando le mie gesta dei bei tempi».
«Sei morto, Mad Sweeney» disse Shadow. «I morti si devono accontentare.»
«Ahimè, dovrò per forza» sospirò il cadavere seduto in fondo al carro funebre. Adesso nella sua voce non si sentiva più il tono lamentoso da drogato e c’era invece una rassegnazione laconica; come se le parole giungessero via radio da molto, molto lontano, parole morte trasmesse su una frequenza morta.
Il semaforo diventò verde e Shadow appoggiò delicatamente il piede sul pedale dell’acceleratore. «Ma fammi lo stesso una veglia» disse Mad Sweeney. «Metti un posto a tavola anche per me e fammi una bella veglia alcolica. Mi hai ammazzato, Shadow. Me lo devi.»
«Non ho fatto niente del genere, Sweeney» rispose Shadow. Venti dollari, pensò, per un biglietto di sola andata lontano da qui. «Sono stati il freddo e il whiskey a ucciderti, non io.»
Non seguì nessuna risposta e il resto del tragitto si svolse in silenzio. Dopo aver parcheggiato, Shadow spinse la barella dentro l’obitorio. Rovesciò Mad Sweeney sul tavolo come se fosse un quarto di bue.
Lo coprì con un lenzuolo e lo lasciò lì con accanto le carte della polizia. Salendo le scale gli sembrò di sentire una voce, bassa e soffocata, come una radio accesa in una stanza lontana, che gli diceva: «E come avrebbero potuto whiskey e freddo uccidere me, un leprecauno di pura razza? No, è stata la perdita di quel piccolo sole d’oro a uccidermi, Shadow, a uccidermi per sempre, sicuro com’è sicuro che l’acqua è bagnata e i giorni lunghi e com’è sicuro che prima o poi c’è un amico che finisce per deluderti».
Shadow avrebbe voluto far notare a Mad Sweeney che quella era una filosofia molto amara, ma aveva il sospetto che il fatto d’essere morto amareggiasse chiunque.
Salì nella casa affollata di signore di mezza età indaffarate a coprire con la pellicola di plastica le casseruole con gli avanzi degli sformati, a tappare i contenitori di plastica pieni di patate fritte ormai fredde e di pasta al forno.
Il signor Goodchild, consorte della defunta, aveva messo il signor Ibis con le spalle al muro e gli stava raccontando di non essere sorpreso che nessuno dei figli fosse venuto a dire addio alla madre. Le mele non cadono lontano dagli alberi, ripeteva a chiunque lo volesse ascoltare. Le mele non cadono lontane dagli alberi.