Fece un respiro profondo.
«Va bene» disse. «La mia vita, che negli ultimi tre anni è stata tutt’altro che della migliore qualità, ha preso improvvisamente una bruttissima piega. Ho alcune cose da fare. Voglio andare al funerale di Laura. Voglio dirle addio. Dovrò occuparmi della sua roba. Se dopo mi vuoi ancora comincio a lavorare per te a cinquecento dollari la settimana.» Aveva sparato la cifra a caso. Gli occhi di Wednesday non lasciavano trasparire niente. «Se andiamo d’accordo, dopo sei mesi me ne dai mille la settimana.»
Si prese una pausa. Era il discorso più lungo che avesse fatto da anni. «Dici che forse sarà necessario fare del male a qualcuno. Be’, lo farò se cercheranno di fare del male a te. Ma non colpisco nessuno né per piacere né per soldi. Non tornerò dentro. Una volta mi è bastata.»
«Non succederà» disse Wednesday.
«No. Non mi succederà.» Finì l’idromele e di colpo si domandò se non fosse stato il liquore a sciogliergli la lingua. Ma le parole uscivano come acqua da un idrante rotto in estate, e nemmeno se ci avesse provato sarebbe riuscito a fermarle. «Tu non mi piaci, Wednesday, o qualunque sia il tuo vero nome. Non siamo amici. Non so come hai fatto a scendere da quell’aereo senza che io ti vedessi. Non so come sei riuscito a seguirmi fin qui. Ma a quanto pare non ho alternative. Quando avremo finito me ne andrò per conto mio. E se mi fai incazzare me ne vado prima. Fino ad allora lavorerò per te.»
«Molto bene» disse Wednesday. «Allora abbiamo stretto un patto. Siamo tutti d’accordo.»
«Diciamo di sì» disse Shadow. In fondo al locale Mad Sweeney stava mettendo le monete nel jukebox. Wednesday si sputò sul palmo della mano e la tese. Shadow scrollò le spalle. Lo imitò e ricambiò la stretta. Wednesday strinse con forza. Shadow fece altrettanto. Dopo qualche secondo cominciò a provare dolore. Wednesday indugiò ancora un istante e poi mollò la presa.
«Bene» disse. «Bene. Molto bene. Allora, un ultimo bicchiere di fetente idromele per suggellare l’accordo e siamo a posto.»
«Per me Southern Comfort e Coca» disse Sweeney tornando barcollante dal jukebox.
Cominciò Who Loves the Sun? dei Velvet Underground. A Shadow sembrò strano che in un jukebox ci fosse una canzone del genere, molto improbabile. Ma del resto tutta la serata aveva preso una piega improbabile.
Prese dal tavolo la moneta che aveva usato per fare testa o croce apprezzando, mentre la faceva passare tra indice e pollice della mano destra, la sensazione di una moneta ben fresata tra le dita. Con un rapido movimento finse di prenderla con la sinistra mentre in realtà la impalmava con disinvoltura nella destra. Chiuse la sinistra intorno a un immaginario quarto di dollaro, poi ne prese un secondo con la destra, tra indice e pollice e, mentre fingeva di lasciarlo cadere nella sinistra, fece scivolare la moneta nascosta nella destra colpendo l’altra. Il tintinnio doveva confermare l’illusione che le due monete fossero entrambe nella mano sinistra, mentre adesso si trovavano al sicuro nella destra.
«Giochi di prestigio con le monete?» chiese Sweeney alzando la testa e rizzando la barba arruffata. «Be’, guarda questo, allora.»
Prese un bicchiere vuoto dalla tavola. Poi allungò una mano e afferrò dall’aria una grossa e lucente moneta d’oro. La lasciò cadere dentro il bicchiere. Prese dal nulla un’altra moneta d’oro e la gettò nel bicchiere facendola tintinnare contro la prima. Poi ne prese una dalla fiamma della candela fissata al muro, un’altra dalla sua barba, una terza dalla mano sinistra di Shadow, vuota, e a una a una le lasciò cadere dentro il bicchiere. Poi vi strinse sopra le dita e soffiò con forza, e parecchie altre monete d’oro caddero dalla sua mano nel bicchiere. Infilò il bicchiere pieno di monete appiccicose di liquore nella tasca della giacca e batté sulla tasca per dimostrare che era inequivocabilmente vuota.
«Ecco, questo sì che è un bel giochino per te.»
Shadow, che lo aveva osservato con estrema attenzione, piegò la testa. «Voglio sapere come hai fatto.»
«L’ho fatto» rispose Sweeney con l’aria di confidare un gran segreto «con ostentazione ed eleganza. Ecco come ho fatto.» Rise silenziosamente barcollando sui tacchi e scoprendo i denti radi.
«Sì» disse Shadow. «Davvero. Me lo devi insegnare. Secondo i trucchi che ho letto io, per fare "Il sogno dell’avaro" devi aver nascosto le monete nella mano che tiene il bicchiere, lasciandole cadere mentre fai comparire e scomparire quelle nella mano destra.»
«Mi sembra complicato un casino» rispose Mad Sweeney. «Prenderle dall’aria è più facile.»
«Idromele per te, Shadow. Io continuo con il Jack Daniel’s, e per il nostro scroccone irlandese…?»
«Una birra in bottiglia, preferibilmente scura» rispose Sweeney. «Scroccone, eh?» Alzò il bicchiere in un brindisi rivolto a Wednesday. «Che la tempesta passi sopra le nostre teste lasciandoci tutti vivi e vegeti» disse ingollando il contenuto in un colpo.
«Bel brindisi» disse Wednesday. «Ma non andrà così.»
Davanti a Shadow venne appoggiato un altro bicchiere di idromele.
«Devo bere anche questo?»
«Ho paura di sì. Suggella il nostro accordo. Tre è il numero magico, giusto?»
«Merda» esclamò Shadow e trangugiò l’idromele in due sorsi. Il sapore di salamoia dolciastra gli riempì la bocca.
«Ecco fatto» disse Wednesday. «Adesso sei con me.»
«Allora» disse Sweeney, «vuoi sapere il trucco?»
«Sì» rispose Shadow. «Le tenevi nella manica?»
«Nemmeno una.» Sweeney ridacchiò ondeggiando e saltellando come uno smilzo vulcano barbuto pronto a eruttare, tutto compiaciuto delle proprie fiammate. «È la cosa più semplice del mondo. Facciamo a pugni, se vinci tu te lo spiego.»
Shadow scosse la testa. «Passo.»
«Questa è bella» disse Sweeney rivolto alla sala. «Il vecchio Wednesday si prende una guardia del corpo ma il tipo ha così paura che non riesce neanche ad alzare la guardia.»
«Non voglio fare a pugni con te» ammise Shadow.
Sweeney vacillava e sudava. Giocherellò con la punta del berretto, poi afferrò una moneta dall’aria e l’appoggiò sul tavolo. «È oro, se per caso te lo stavi domandando» disse. «È tuo se fai a botte con me, anche se perdi, e perderai. Un omone grande e grosso come te… chi l’avrebbe detto che eri uno schifoso codardo?»
«Ti ha già risposto che non vuole» disse Wednesday. «Vattene via, Mad Sweeney. Prenditi la tua birra e lasciaci in pace.»
Invece Sweeney gli si avvicinò di un passo. «Mi hai chiamato scroccone, vero, vecchia creatura maledetta? Tu, vecchio forcaiolo senza cuore.» Era rosso di rabbia.
Wednesday alzò le mani in un gesto di pace. «Sciocchezze, Sweeney. Bada a come parli.»
Sweeney lo guardò con gli occhi fiammeggianti. Poi, con la gravità di un uomo molto ubriaco, disse: «Tu hai assoldato un codardo. Che cosa farebbe se ti saltassi addosso, secondo te?».
Wednesday si girò verso Shadow. «Ne ho avuto abbastanza. Occupatene tu.»
Shadow si alzò in piedi e guardò in su per vedere Mad Sweeney in faccia: ma quanto era alto? «Ci stai dando fastidio» disse. «Sei ubriaco. Penso che te ne dovresti andare.»
Un lento sorriso illuminò Sweeney. «Eccoci» disse. E lo colpì con un pugno enorme sotto l’occhio destro che gli fece fare un balzo all’indietro. Shadow vedeva macchie di luce e sentiva un gran male.
E così la rissa cominciò.
Sweeney combatteva senza stile, senza tecnica, animato soltanto dall’entusiasmo per la lotta, menando una gran quantità di ganci che mancavano e colpivano il bersaglio a casaccio.
Shadow boxava in difesa, attento a bloccare i colpi o a evitarli. A un certo punto fu acutamente consapevole di avere un pubblico. I tavoli vennero spostati, tra le proteste dei clienti, per creare spazio ai due contendenti. Shadow sentiva su di sé gli occhi di Wednesday che non lo lasciavano un istante, il suo sorriso senza allegria. Era evidente che si trattava di una prova, ma che genere di prova?