— D’accordo — disse lui, e soggiunse: — Ma con la fortuna che ho io, la tua vita sarà altrove, chiusa in uno scrigno in vetta a una montagna, come quella del troll della leggenda; oppure tu morirai di vecchiaia mentre stiamo ancora navigando.
— Sciocchezze — disse la badessa. — Sono una donna mortale e sana, e ho ancora tutti i miei denti, e ho intenzione di fare collezione di molte altre rughe.
Thorvald tese la mano e lei la prese; poi il norvegese disse, scuotendo meravigliato la testa: — Se ti vendessi a Costantinopoli, in meno di un anno ne diventeresti la regina.
La badessa rise allegramente, e io gridai, spaventato: — Anch’io! Porta anche me — e lei disse: — Oh, sì, non dobbiamo dimenticare il Piccolo Messaggero — e mi prese in braccio.
L’uomo alto e terribile, con la faccia vicina alla mia, disse in quel suo strano tedesco cantilenante:
— Bambino, ti piacerebbe vedere le balene che saltano nel mare aperto e le foche che latrano sugli scogli? E rupi così alte che un gigante non ne toccherebbe la cima neppure tendendo le braccia? E il sole che splende a mezzanotte?
— Sì — dissi io.
— Ma sarai schiavo — disse lui, — e forse sarai maltrattato e dovrai sempre fare quello che ti ordinano. Questo ti piacerebbe?
— No! — gridai con foga, al sicuro tra le braccia della badessa. — Combatterò!
Thorvald rise fragorosamente e mi spettinò i capelli, con troppa forza, pensai, e disse: — Non sarò un cattivo padrone, perché ho il nome di Thor Barbarossa, che è forte e svelto in battaglia, ma anche bonario, e lo sono anch’io. — E la badessa mi mise giù, e così tornammo verso il villaggio, mentre Thorvald e la badessa Radegunde parlavano degli splendori del mondo e suor Hedwic diceva sottovoce: — È una santa, la nostra badessa è una santa, a sacrificarsi così per il bene della sua gente — e sempre, dietro di noi come un ricordo, venivano i singhiozzi soffocati e dementi di suor Sibihd, che era all’Inferno.
Quando ritornammo venimmo a sapere che Thorfinn stava meglio e che i norvegesi sarebbero ripartiti l’indomani mattina. Thorvald fece portare un secondo pagliericcio nello studio della badessa, e quella notte dormì sul pavimento accanto a noi. Forse penserete che i suoi uomini ridessero, perché, la badessa era vecchia; ma io credo che fosse stato con una delle donne giovani prima di venire da noi. Ne aveva l’aria. Non c’erano lenzuola o coperte per la badessa, ma soltanto un vecchio mantello marrone bucato, e io e lei ce l’eravamo avvolto addosso quando Thorvald entrò e si buttò fischiettando sull’altro pagliericcio. Poi disse:
— Domani, prima di partire, mi mostrerai il tesoro della vecchia badessa.
— No — disse lei. — Quel patto non è stato mantenuto.
Thorvald stava giocherellando con il coltello; passò il pollice sul filo. — Posso costringerti.
— No — rispose in tono paziente la badessa. — E ora voglio dormire.
— Dunque non hai paura della morte? — chiese lui. — Bene! È ciò che deve fare una donna coraggiosa, come cantano gli skaldi, e non deve muoversi neppure quando una spada affilata le taglia le ciglia. Ma se puntassi questo coltello non contro la tua gola, ma contro quella del tuo ragazzetto? Allora me lo diresti in fretta!
La badessa si girò, voltandogli le spalle, sbadigliò e disse: — No, Thorvald, perché tu non lo faresti. E se lo facessi, ti disprezzerei perché dimostreresti d’essere un vigliacco mancatore di parola e per questa ragione non te lo direi. Buonanotte.
Il norvegese rise e riprese a fischiettare per un po’. Quindi disse:
— Era tutto vero?
— Tutto che cosa? — chiese la badessa. — Oh, la statua. Sì, ma non ci fu nessun aggressore. Quello l’ho aggiunto alla storia per consolare la povera suor Hedwic.
Thorvald sbuffò, deluso. — La storia! Tu racconti menzogne, badessa.
Radegunde si tirò sulla testa il vecchio mantello marrone e chiuse gli occhi. — L’ha aiutata.
Poi ci fu un silenzio, ma sembrava che il norvegese non riuscisse a stare tranquillo. Si spostò come se la paglia gli desse fastidio, e si girò di nuovo. Finalmente sbottò: — Ma che cosa accadde?
La badessa si sollevò a sedere. Chiuse gli occhi e disse: — Forse nella tua testa di uomo non passa neppure l’idea che una vecchia si stanca, e che trattare con la gente è un lavoro difficile, o forse non pensi neppure che sia un lavoro. Bene!
«Non accadde niente, Thorvald. Deve succedere qualcosa solo se questo sbatte quell’altra, o se uno dà una botta in testa a qualcun altro? Io desideravo la mia statua con tanta follia che decisi di trovarmi un vero amante umano; ma quando alzai gli occhi dalle mie fantasie agli uomini veri di Roma, e mi sturai gli orecchi per ascoltare ciò che dicevano, mi resi conto che era una cosa completamente, eternamente impossibile. Oh, quei figli cadetti con il loro torvo odio invidioso per i ricchi, e i ricchi con il naso all’aria perché si credevano molto importanti grazie al loro stupido denaro, e la timidezza dei preti verso i loro superiori, e l’orgoglio di questi, e l’odio degli artigiani per i contadini, e i contadini costretti a lavorare come bestie da mattino a notte, e metà degli uomini che vedevo picchiavano le loro mogli, e gli altri pensavano solo a derubare qualche povera ragazza del suo denaro o della sua verginità o dell’uno e dell’altra… ce n’era abbastanza per spegnere qualunque fuoco! E le donne facevano meno male solo perché avevano meno potere di farne, o almeno così mi sembrava allora. Perciò accantonai tutto, come si accantona qualunque delusione. Gli uomini non sono tanto cattivi quando si smette di pretendere che siano dei: ma non sono fatti per me. Se questo stato è castità, allora uno stomaco debole è temperanza, credo. Ma qualunque cosa sia, ce l’ho, e questo chiude la faccenda.
— Tutti gli uomini? — chiese Thorvald Einarsson con la testa da una parte, e io pensai che avesse bevuto, anche se sembrava sobrio.
— Thorvald — disse la badessa, — non so immaginare che cosa possa volere da questo relitto d’un corpo anziano: ma se desideri le mie rughe e i miei seni flaccidi e i miei fianchi magri e avvizziti, fai ciò che vuoi in fretta e poi, per amor del cielo, lasciami dormire. Sono stanca morta.
Lui disse, a voce bassa: — Devo aver potere su di te.
La badessa allargò le mani in un gesto rassegnato. — Oh, Thorvald, Thorvald, sono una donna debole e ultraquarantenne! Dov’è il potere? Tutto ciò che posso fare è parlare!
Thorvald disse: — Ecco. Ecco come fai. Parli e parli e parli e tutti fanno ciò che vuoi tu: l’ho visto!
Radegunde lo fissò bruscamente. — Sta bene. Se devi. Ma se fossi in te, norvegese, preferirei andare a letto con mia madre. Ricordalo quando mi alzerai le sottane.
Queste parole lo fermarono. Imprecò sottovoce, si girò sul fianco e ci voltò le spalle. Poi infilò il coltello nel bordo del suo pagliericcio, per un po’. Finalmente lo mise sotto la stoffa arrotolata che usava come cuscino. Noi non avevamo un cuscino, e così cercai di farmene uno con l’orlo del mantello, ma non ci riuscii. Poi pensai che il norvegese aveva paura di Dio che agiva per mezzo di Radegunde, e pensai a suor Hedwic che aveva cambiato colore e mi chiesi perché. Quindi pensai alle balene che saltavano, e alle foche che dovevano essere come grossi cani perché latravano, e poi le foche balzarono sulla terraferma e corsero al mio pagliericcio e mi leccarono con grandi, gelide lingue d’acqua, e io rabbrividii e sussultai, e mi svegliai.
La badessa Radegunde s’era alzata (era il suo calore che mi mancava) e si stava aggirando per la stanza. Muoveva un passo e si fermava, e le sue gonne frusciavano leggermente. Stava attenta a non toccare Thorvald che dormiva. Nella camera c’era una luce fioca che proveniva dalle braci, ancora accese sotto le ceneri nel camino, ma non filtrava un filo di luce dalle imposte della finestra, chiuse per non far entrare il freddo. Vidi la badessa inginocchiarsi sotto la semplice croce di legno appesa nello studio e la sentii pronunciare qualche parola in latino; pensai che pregasse. Ma poi disse a voce bassa: