— Non invoco Apollo e le Muse, perché sono cose sorde e vane. Ma lo sei anche tu, Uomo Trafitto, sordo e vano.
Si alzò e riprese a camminare avanti e indietro. Adesso, ripensandoci, mi spaventa, perché era notte alta e non c’era nessuno che la sentisse, tranne me, ma credeva che fossi addormentato; eppure continuò con quella voce bassa e calma come se fosse pieno giorno e lei stesse spiegando qualcosa a qualcuno, come se affiorassero tante cose che erano nei suoi pensieri da molti anni. Ma in quel momento non ci trovai nulla di allarmante, perché pensavo che forse erano cose che facevano tutte le badesse; e del resto non sembrava arrabbiata o spaventata; era calma come se discutesse il ricavato dell’allevamento d’api dell’abbazia (come l’avevo sentita fare varie volte) o i conti della cantina (e l’avevo sentita fare anche questo) e non era per nulla preoccupante. Perciò ascoltai mentre continuava ad aggirarsi al buio per la stanza. E disse:
— Parlo, parlo, parlo, e sempre a me stessa. Ma nessuno può abbandonare i micetti e i cagnolini: sarebbe una crudeltà. E l’essere la badessa Radegunde mi dà almeno qualcosa da fare. Però sono stanca della buona badessa Radegunde: ho indossato Radegunde ogni mattina della mia vita come se fosse una veste, e ho dovuto sentir lodare tutto il giorno quella stupida creatura! Radegunde è una vera santa, Radegunde non si arrabbia mai, non è mai avida o invidiosa, la buona Radegunde si sacrifica per gli altri, e sempre quel parlare, parlare, parlare che mi ribolle nella testa, senza nessuno che ascolti o capisca, senza nessuno che risponda! No, neppure nel sud, soltanto una riga qua e una là, e tutte scritte dai morti. Sentivano ciò che io sento? Che il mondo è un enorme asilo d’infanzia pieno di litigi per i giocattoli, dove i bambini mi considerano una specie di dea benevola perché non voglio le loro bambole e i loro pezzetti di paglia e i loro cavallucci fatti di legnetti legati insieme?
«Poveretti, se sapessero! È cosi facile essere temperati quando non si apprezza nulla, essere buoni quando non si ama nulla, essere intrepidi quando la vita non è meglio della morte. Ed è così facile far progetti quando il successo non ha importanza.
«Non resterebbero sorpresi, mi domando, se sapessero quali erano i miei veri pensieri quando Thorfinn mi aveva puntato il coltello alla gola? Curiosità! Ma lui non lo avrebbe fatto, naturalmente: fa tutto ciò che fa per mettersi in vista. E loro penserebbero che sono due volte santa, perché non temo la morte.
«E allora perché non ti uccidi, empia suor Radegunde? È la tua religione a impedirtelo? Oh, vuoi dire i sacri pozzi, e gli alberi sacri, e i santi benedetti con le loro reliquie, e la stupidità che ha fatto vergognare suor Hedwic, e le promesse di salvezza che hanno fatto impazzire la povera Sibihd quando il corpo santissimo del suo Signore non l’ha protetta e l’amore benedetto della beata Vergine Maria non ha distolto un solo coltello? Ciarpame! Foglie e stecchi e canne che noi spazziamo via dai nostri pavimenti quando si accumulano troppo. Come se la santità avesse a che fare con tutto questo. Come se ogni luogo non fosse sacro come ogni altro, e ogni cosa non fosse santa come ogni altra, dalla merda nella pancia di Thorfinn ai sassi per terra. Come se tutti i luoghi e le cose non fossero nubi poste davanti ai nostri occhi deboli, per impedire che veniamo accecati dallo splendore eterno, dal fulgore che ci circonda, il torrente di luce che è tutto ed è in tutto! È questo che mi trattiene dal gettarmi nel fiume, ma non mi parla mai e non mi dice cosa fare, e per esso il bene e il male sono la stessa cosa… no, è qualcosa di diverso dal bene e dal male: è semplicemente… quindi non è Dio. Questo lo so.
«Quindi, gente, la vostra Radegunde è una strega o un demone? È piena d’orgoglio oppure è umile? Forse è una strega. Una volta, molto tempo fa, confessai al vecchio Gerbertus che potevo vedere a grande distanza chiudendo gli occhi, e glielo dimostrai, e lui pianse per me e mi diede grandi penitenze esclamando: “Se viene da sé può essere un dono di Dio, figliola, ma molto più probabilmente è opera di un demonio, quindi non farlo!” E allora pregammo e gli dissi che il potere mi aveva abbandonata, per tranquillizzare quel povero vecchio, ma non era vero, naturalmente. Potevo ancora vedere la Turchia con la stessa facilità con cui vedevo lui, e luoghi molto più lontani; gli uomini tozzi e selvaggi delle pianure sui loro cavalli, e gli strani uomini alti, ancora più lontani, con le loro grandi città e gli occhi bizzarri, con le palpebre oblique, e poi i mari con le grandi terre selvagge e le città piene d’oro più di Costantinopoli, e ancora altra acqua fino a quando si ritorna a casa, perché il mondo è un globo come dicevano gli antichi.
«Ma con il passare degli anni ho smesso. Radegunde non ne aveva mai il tempo, credo. E poi, quando aprivo quella porta c’erano soltanto figure, come in un libro, e dopo un po’ le avevo viste tutte e non m’interessavano più. È l’altra porta quella che mi attrae, quando si socchiude e si affacciano cose strane, come Ranulf, il figlio della sorella di Thorvald, e il nome del suo cavallo. È una buona porta, ma è molto pesante; dopo un po’ si richiude sempre. Dovrò essere sul letto di morte perché si apra completamente, credo.
«Il volpone dorme. È il più intelligente, finora; c’è qualcosa in lui, tanto che a volte quasi gli si può parlare. Ma è sempre un volpone, per la maggior parte. Forse col tempo…
«Vediamo: si, dorme. E la cagnolina Sibihd dorme, anche se fra poco farà un brutto sogno, credo, e il gattino Thorfinn dorme, pieno di paura come quando è sveglio, con gli artigli che entrano ed escono dalle zampette, per timore che qualcosa lo strangoli nel sonno.
Poi la badessa tacque e si avvicinò alla finestra chiusa come se guardasse fuori, e io pensai che stava guardando fuori, veramente, ma non con gli occhi, e vedeva tutta quella gente addormentata, ed era ciò che aveva fatto ogni notte della sua vita per accertarsi che tutti fossero sani e al sicuro. Ma non sapeva che io ero sveglio? Non dovevo cercare di riaddormentarmi prima che se ne accorgesse? Poi mi sembrò che sorridesse nel buio, anche se non potevo vederlo. Disse con lo stesso tono sommesso: — Dormi o vegli, Piccolo Messaggero? Per me è la stessa cosa. Non hai udito niente d’importante, soltanto la sciocca badessa che parla da sola, Radegunde che dice addio a Radegunde, Radegunde che se ne va… non piangere, Piccolo Messaggero, sono ancora qui. Ma, ecco, Radegunde se n’è andata. Io e il norvegese siamo simili sotto un certo aspetto: le nostre menti sono come grandi case con molte stanze chiuse a chiave. Ci affolliamo in poche stanze miserabili, come poveracci, quando potremmo muoverci liberamente in tutte, come principi. È il destino che ha rinchiuso sottochiave gran parte del norvegese… vedi, Piccolo Messaggero, non dico il suo nome neppure sottovoce, perché questo sveglia la gente… ma mi chiedo se a rinchiudere me non fu la stessa Radegunde, lei e il vecchio Gerbertus, al quale credevo, in parte… loro, e gli anni, tutti gli anni in cui ho dovuto essere Radegunde, e fare le cose che faceva Radegunde e fingere di avere i pensieri di Radegunde, e ripetere le innumerevoli, infinite menzogne che Radegunde doveva dire a tutti, e l’assoluta, incredibile solitudine di Radegunde.
Tacque di nuovo. Questa volta mi meravigliai dei discorsi della badessa: diceva che non c’era quando c’era, e che viveva rinchiusa in piccole stanze, mentre l’abbazia era sicuramente la casa più splendida di tutto il mondo, e la più grande, e come poteva sentirsi sola quando tutti le volevano bene? Ma poi lei disse, con voce così bassa che la sentii appena:
— Povera Radegunde! Così stanca di mentire e di ingannare gli uomini e le donne con il collare intorno al collo e l’offerta di un bocconcino se si comportano bene, e una tiratina del guinzaglio che loro neppure notano. E con il norvegese sarà lo stesso: menzogne e adulazioni e tutto un lavoro che non finisce mai e che nessuno vede mai, e alla fine Radegunde si sdraierà come una scimmia in gabbia, debole e sofferente per!a fame, e non si rialzerà più.