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Poi arrivò alla porta e accennò a suor Oddha, la portinaia, di scostarsi (la vecchia suora si buttò addirittura in ginocchio per supplicarla), e tutto questo, dovete capire, mi sembrava meraviglioso. Non avevo idea del pericolo come non l’avrebbe avuta un cagnolino. Ci fu un po’ di trambusto alla porta: credo che gli uomini con i tronchi cercassero di sbarrarle il basso. E la badessa Radegunde trasse dallo scollo della veste il crocifisso d’argento che aveva portato da Roma, e l’agitò spazientita sotto il naso di quelli che avrebbero voluto trattenerla. E così, naturalmente, la lasciarono passare.

Mi acquattai nel mio angolo accanto alla finestra, aspettandomi che il crocifisso della badessa facesse discendere la folgore di Dio su tutti quegli uomini alti e biondi che sfidavano il nostro Salvatore e la legge e che, si diceva, portavano le corna sulla testa, anche se loro non le avevano (e più tardi scoprii che non è vero, i norvegesi non le portano). Speravo che la badessa, o nostro Signore, aspettasse ancora un po’ prima di annientarli, perché volevo vederli bene prima che morissero tutti, capite? Rimasi un po’ deluso, perché portavano le brache e i gambali come gli uomini comuni, e anche i mantelli, anche se alcuni avevano spade e scuri e c’era un mucchio di scudi rotondi sulla spiaggia. Ma i capelli lunghi erano bellissimi, e i colori sgargianti dei vestiti, e i mostri che spuntavano dalle prue delle navi erano splendidi e spaventosi, anche se si capiva benissimo che erano soltanto dipinti come le figure dei libri della badessa.

Pensai che Dio mi aveva concesso un’edificazione sufficiente e che ormai poteva annientare gli empi stranieri.

Ma non lo fece.

Invece, la badessa si avviò tutta sola verso quegli uomini feroci, sulla riva sassosa del fiume, con calma come se andasse a fare una scampagnata con le sue ragazze. Cantava una canzoncina, una melodia graziosa che ripetei molti anni dopo, e un uomo che aveva viaggiato molto mi disse che era una ninnananna norvegese. Allora non lo sapevo: ma quei terribili uomini biondi, che avevano alzato la testa stupiti nel vedere una donna sola che usciva dall’abbazia (la porta dietro di lei era sbarrata, adesso), incominciarono a bisbigliare tra loro. Vidi lo sguardo della badessa girare in fretta dall’uno all’altro (spesso noi dicevamo che era capace di dire cosa si nascondeva nell’anima, con una sola occhiata), e poi raccolse la gonna con una mano, e si avviò tra i sassi verso uno degli uomini, più vecchio degli altri come seppi poi, anche se al momento non riuscivo a vederlo bene, e gli disse, nella sua lingua:

— Benvenuto, Thorvald Einarsson; che cosa ci fai tu, buon agricoltore, tanto lontano da casa tua, quando le messi sono mature e sul mare stanno arrivando le grandi tempeste dell’autunno? — (Forse vi domanderete come capissi quello che diceva, perché non sapevo il norvegese: la verità è che padre Cairbre, il quale non era sceso in cantina, stava guardando dalla mia stessa finestra, mentre io sbirciavo più in basso, e ripeteva ogni parola a quelli che erano presenti nella stanza, e che tacevano tutti.)

Vidi che i pirati erano confusi, nel sentirla parlare nella loro lingua, e ancora di più perché ne aveva chiamato uno di loro per nome; alcuni indietreggiarono e tracciarono strani segni nell’aria, e altri brandirono le scuri o le spade e corsero verso la badessa. Ma quel Thorvald Einarsson alzò la mano perché si fermassero e rise di cuore.

— Riflettete! — disse. — Non è una magia, ma soltanto astuzia… chi poteva evitare di sentire il mio nome, quando tutti voi non avete fatto altro che gridare «Thorvald Einarsson, aiutami con questo remo!», «Thorvald Einarsson, ho i gambali fradici fino alle ginocchia!», «Thorvald Einarsson, questo fiume è freddo come un inverno di Fimbul!»

La badessa Radegunde annuì e sorrise. Poi sedette sulla riva del fiume. Si grattò dietro un orecchio, come l’avevo vista fare quando era immersa nei suoi pensieri. Poi disse (e sono sicura che il dialogo si svolse a voce alta, apposta perché potessimo sentirlo anche noi dall’abbazia):

— Buon amico Thorvald, sei intelligente come diceva il figlio di tua sorella, Ranulf, dal quale ho imparato il norvegese quando ero a Roma; e per dimostrarti che era proprio lui, ti dirò che giurava sempre per il suo cavallo grigio, Piedezoppo, e aveva un impedimento della favella, e non riusciva a pronunciare i suoni come facciamo noi, e perciò ti chiamava «Torvald». Non è così?

Allora non me ne rendevo conto perché ero soltanto bambino, ma con quel discorso la badessa rivendicava i diritti dell’ospitalità dall’uomo, e per caso o per ispirazione aveva scelto il più intelligente tra quei ladroni, perché lui rispose:

— lo non sono il capo. Qui non ci sono capi.

La stava avvertendo che quelli non erano i suoi uomini e che non poteva controllarli, capite? E lei si grattò di nuovo dietro l’orecchio e si alzò. Come se non sapesse che cosa fare, incominciò ad aggirarsi dall’uno all’altro di quegli individui impacciati (alcuni arretrarono e tracciarono di nuovo segni nell’aria, e altri sguainarono i coltelli) e riprese a canticchiare la canzoncina, camminando lentamente, più curva e vecchia e inferma di quanto noi l’avessimo mai vista, una donna piccola e indifesa vestita di nero in mezzo a tutti quegli uomini feroci. Un giovane pirata le strappò la cuffia dalla testa, mentre gli passava vicino, e la lasciò con i corti capelli grigi scoperti nel vento; gli altri risero, e il giovane gridò:

— Nonna, non ti vergogni?

— Perché, buon amico? Di che cosa? — chiese la badessa in tono mite.

— Sei sposata con il tuo Cristo — disse lui, tenendo la cuffia dietro la schiena. — Ma il tuo sposo non può difenderti neppure dalla vergogna di restare con la testa scoperta! Se fossi sposata con me, invece…

Ci furono grandi risate. La badessa Radegunde attese che finissero. Poi si grattò la testa scoperta e accennò a voltarsi, ma all’improvviso si girò di nuovo verso il giovane, e la vecchiaia e l’infermità le caddero di dosso come un mantello. Sembrava più alta e maestosa, come se dentro le ardesse un grande fuoco. Lo guardò direttamente in faccia. Ciò che fece noi tutti l’avevamo già visto, naturalmente, ma loro no, e non avevano mai sentito quella voce grandiosa e solenne con la quale a volte ci leggeva le Scritture o ci parlava della collera di Dio. Credo che il giovane si spaventasse, nonostante la sua audacia. E oggi so quel che allora non sapevo: che i norvegesi ammirano soprattutto il coraggio e che, per essere franchi, tutti apprezzano una bella storia, soprattutto se si svolge davanti ai loro occhi.