Tutti gli stranieri annuirono, con l’aria di pensare: — Dopotutto, perché no?
— E chi parlerà per voi? — chiese la badessa.
Si fece avanti un uomo: riconobbi Thorvald Einarsson.
— Ah, sì — disse la badessa in tono asciutto. — Il gruppo non ha capi. Il gruppo senza capi è d’accordo? Manterrà l’impegno? Non voglio traditori, non voglio uomini che mancano alla parola!
Vi fu un borbottio generale. Thorvald (com’era grande e grosso, visto da vicino!) disse in tono conciliante: — Io non navigo con uomini del genere. Incominciamo.
Sedemmo tutti quanti.
— Ora — disse Thorvald Einarsson, inarcando le sopracciglia, — se conosco bene come vanno queste cose, incnT,ineerai tu. E se non sbaglio, incomincerai dicendo che siete molto poveri.
— Ma no — rispose la badessa. — Noi siamo ricchi. — Padre Cairbre gemette e un gemito generale gli rispose oltre le mura dell’abbazia. Soltanto la badessa e Thorvald Einarsson sembravano imperturbabili: era come se stessero facendo un gioco che nessun altro capiva. La badessa continuò: — Siamo molto ricchi. Là dentro c’è molto argento, molto oro, molte perle, molte stoffe ricamate e molti tessuti fini, molte sculture di legno, e molti libri con oro sulle pagine e gemme sulle copertine. Tutto questo è vostro. Ma abbiamo di più e di meglio: erbe e medicine, sistemi per impedire che il cibo vada a male, e la conoscenza per guarire i malati; tutto questo è vostro. E abbiamo di più e di meglio anche di questo: abbiamo la conoscenza del Cristo e la perfetta comprensione dell’anima, e anche queste sono vostre, se volete; non dovete far altro che accettarle.
Thorvald Einarsson alzò la mano. — Ci accontentiamo dei primi — disse. — E magari un po’ dei secondi. Così è più pratico.
— E sciocco — disse la badessa educatamente. — Come al solito. — Ancora una volta ebbi l’impressione stranissima che quei due stessero giocando un gioco che gli altri neppure immaginavano. Lei soggiunse: — C’è una cosa che non potrete avere, ed è la più preziosa di tutte.
Thorvald Einarsson la guardò con aria interrogativa.
— La mia gente. La loro sicurezza mi è cara più di me stessa. Non dovrete torcere loro neppure un capello, per nessuna ragione. Pensateci: potrete entrare abbastanza facilmente nell’abbazia con le armi, ma quelli là dentro hanno una gran paura di voi, e alcuni degli uomini sono armati. In una grande folla, anche un esperto guerriero si trova impacciato. Scivolerete e vi cadrete addosso senza volerlo e senza sapere ciò che fate. Date ascolto al mio consiglio. Perché fare i macellai quando potrete ricevere il tesoro come i re, senza dover far nulla? E poi ne avrete ancora altrettanto, quando vi condurrò ai nascondigli. Una montagna di tesori degni di un conte. Pensateci! E rinunciare a tutto questo per gli schiavi, metà dei quali si ammaleranno e moriranno prima che arriviate a casa… e che dovrete sfamare, se vorrete che servano a qualcosa. Vergogna a quelli di voi che non accettano i buoni consigli! Immaginate cosa direte alle vostre mogli e alle vostre famiglie: ecco alcune miserabili pezze di stoffa con macchie di sangue che non si cancellano, ecco perle e gemme ridotte in polvere nel combattimento, ecco un ricamo strappato che era intero fino a quando qualcuno non l’ha calpestato durante la battaglia, e avevo preso diversi schiavi ma sono morti di malattia, e ho sbattuto una suora giovane e graziosa, e volevo portarla con me, ma si è buttata in mare. E si, c’era ben di più, e tutto intero, ma abbiamo deciso di non prenderlo. Era troppo disturbo, vedete.
Era un discorso pittoresco, e i norvegesi si divertivano. Radegunde alzò la mano.
— Gente! — gridò in tedesco, e soggiunse: — Scorridori del mare, ascoltate ciò che vi dico: lo ripeterò nella vostra lingua. — (E così fece.) — Gente, se i norvegesi ci combattono, non difendetevi, ma fracassate tutto! Donne, prendete i vostri coltelli da cucina e fate a pezzi le stoffe preziose! Uomini, con le asce e i martelli distruggete gli altari e le sculture di legno! E tutti quanti, sbriciolate le perle e spaccate le gemme sui pavimenti! Rompete le bottiglie del vino! Calpestate gli oggetti d’oro e d’argento e rendeteli informi! Strappate i libri miniati! Staccate dai muri gli arazzi e bruciateli!
«Ma — continuò con voce improvvisamente blanda, — se questi uomini saranno così saggi da accettare i nostri doni, ammucchiamo tutto ciò che abbiamo ai loro piedi, senza nascondere nulla, perché i loro parenti ammirino con stupore la splendida ricchezza che porteranno, anche se a noi non resteranno altro che i nostri muri spogli.
Se qualcuno aveva mai dubitato che la badessa Radegunde fosse ispirata da Dio, ogni dubbio dovette dileguarsi in quel momento: chi poteva resistere al vigore ardente del suo primo discorso, o all’unzione benevola del secondo? I norvegesi erano rimasti a bocca aperta. Vidi che le guance di padre Cairbre erano rigate di lacrime. Poi Thorvald disse: — Badessa…
S’interruppe. Ritentò, ma s’interruppe di nuovo. Poi si scosse, come per liberarsi da un incantesimo, e disse:
— Badessa, i miei uomini sono senza donne da molto tempo.
Radegunde lo guardò con aria sorpresa. Sembrava non riuscisse a credere a ciò che aveva udito. Squadrò il pirata, perplessa, e poi gli girò intorno come per misurarlo. Lo fece più volte, guardando ogni parte di quel corpo colossale mentre lui diventava sempre più rosso. Finalmente indietreggiò, lo squadrò ancora una volta e, con le braccia conserte come una contadina, annunciò a gran voce, in norvegese e in tedesco:
— Cosa? Hanno perso l’uso delle mani?
A suo modo era irresistibile. I norvegesi risero. I nostri risero. Rise persino Thorvald. E risi anch’io, sebbene non sapessi di cosa stavano ridendo tutti. L’ilarità si smorzò, e poi ricominciò dietro le mura dell’abbazia, irresistibilmente, e si spense ancora e ancora ricominciò. La badessa attese fino a quando i norvegesi smisero di ridere e poi gridò in tedesco per imporre silenzio, fino a che si sentì solo qualche risatina qua e là. Poi disse:
— Questi bravi uomini… padre Cairbre, riferiscilo alla gente… questi bravi uomini mi perdoneranno la mia sciocca battuta. In verità non volevo dar scandalo od offendere qualcuno; ma l’ilarità fa bene, assesta le acque del corpo, come dicono i medici. E i miei sanno che non sempre sono solenne e buona come dovrei. Anzi, sono una grande peccatrice e causa di scandalo. Thorvald Einarsson, siamo d’accordo?
L’omaccione (che non era divertito quanto gli altri, posso assicurarvelo!) guardò i suoi e sembrò capire quello che voleva sapere. Disse: — Entrerò con cinque uomini per vedere che cosa avete. Lasceremo andare quella povera gente nel cortile, ma non quelli che stanno dentro l’abbazia. Poi cercheremo ancora. Le porte saranno chiuse e sorvegliate dai miei; se ci sarà qualche tradimento, il patto non avrà più valore.
— Verrò con voi — disse Radegunde. — È molto giusto e la mia presenza calmerà la gente. Vederci insieme li rassicurerà, e capiranno che non succederà niente di male. Sei un uomo buono, Torvald… perdonami, ti ho chiamato come faceva tanto spesso tuo nipote. Vieni, Piccolo Messaggero, resta con me.
«Aprite la porta! — gridò poi. — Non c’è pericolo! — E con i cinque uomini (uno era il giovane Thorfinn che aveva inveito contro di lei) attendemmo mentre i grandi tronchi venivano rimossi. All’interno c’era poco spazio, ma la gente si ritrasse alla vista dei terribili guerrieri e ci aprì un varco.
Mi voltai indietro. I norvegesi erano entrati e s’erano fermati appena all’interno del muro, ai due lati della porta, con le spade sguainate e gli scudi imbracciati. La folla si aprì più lentamente per lasciarci passare quando raggiungemmo la torre principale, mentre la badessa ripeteva di continuo: — State calmi, state calmi. Va tutto bene — e si rivolgeva a questo e a quello chiamandoli per nome. Fu molto più difficile quando la gente soffocò le grida nel sentire i grossi tronchi che si chiudevano con un rombo di tuono, e noi eravamo vicinissimi alla scala: le sentii dire qualcosa in quella strana lingua straniera; sembrava una frase di scusa. Qualcosa che probabilmente significava: — Mi dispiace, ma dobbiamo attendere. — Sembrò che passasse un secolo prima che la scala si sgombrasse in parte, e io capii ciò che aveva inteso la badessa quando aveva parlato dell’impaccio causato dalla gente: un uomo poteva mulinare l’arma in mezzo alla folla, ma non molto, e probabilmente avrebbe finito per cadere addosso a qualcuno. Raggiungemmo la grande sala con l’enorme crocifisso di legno dipinto e quello piccolo di oro e perle, e i drappi scarlatti ricamati di fili d’oro, dietro i quali avevo giocato tante volte ai briganti prima di scoprire cosa fossero i briganti veri: quegli uomini alti e spaventosi, i cui occhi luccicavano di avidità nel vedere ciò che immaginavano avesse ogni villaggio. Quasi tutte le suore erano rimaste nella grande sala; ma era meno affollata, perché tutti si erano raccolti intorno alle pareti all’ingresso dei norvegesi. Le ragazze più giovani erano tutte in un angolo, terrorizzate (si sentiva l’odore, come si può sentire sempre), e quando il giovane Thorfinn andò per prendere il piccolo crocifisso d’oro e di perle, suor Sibihd gridò con voce alta e spezzata: — È il corpo di nostro Signore! — e spiccò un balzo, staccandolo dalla parete prima che lui potesse afferrarlo.