— Che cosa? — domandò la badessa con voce impastata. — È morto?
— Morto? — esclamò il norvegese. — È guarito! Guarito! Il polmone è risanato e la ferita si è chiusa e le costole rotte si sono saldate! Persino i muscoli del petto stanno incominciando a rimarginarsi!
— Bene — disse la badessa, ancora semiaddormentata. — Lasciami in pace.
Thorvald la scosse di nuovo, e lei ripeté: — Oh, lasciami dormire! — Questa volta il norvegese la sollevò in piedi di peso e lei gridò: — La mia schiena, la mia schiena! Oh, per tutti i santi, i miei reumatismi! — E nello stesso istante una voce sofferente, sotto il panno di lana, una voce sofferente ma di un uomo, non di uno spettro, disse qualcosa.
— Sì, ti sento — disse la badessa. — Vuoi diventare subito seguace del Cristo Bianco, in questo momento. Ma, Domine noster, ti prego di far capire a queste teste cocciute che ho bisogno d’una tinozza d’acqua calda con dentro la menta romana! Sono troppo vecchia per dormire tutta la notte su una seggiola, e sono indolenzita dalla testa ai piedi.
La voce di Thorfinn divenne più forte.
— Riferiscigli — disse in tedesco la badessa Radegunde a Thorvald, — che non lo battezzerò e non lo assolverò fino a che non sarà cambiato. Quel ragazzino vuole soltanto qualcuno più potente del vostro dio Odin o del vostro dio Thor, che lo tolga dai guai alla prossima occasione. Chiedetegli questo: adotterà Sibihd come sorella? La pulirà quando s’insozza e l’imboccherà e le cingerà le spalle con il braccio, parlandole con affetto e gentilezza fino a quando sarà guarita? Il Cristo non cancella i nostri peccati solo perché li commettiamo daccapo; e questo è ciò che vuole e che voi tutti volete, un Dio che dona e dona e dona, ma Dio non dona: Dio prende e prende e prende. Toglie tutto ciò che non è Dio fino a quando non resta altro che Dio, e nessuno di voi lo capirà! Non esiste la remissione dei peccati; esiste soltanto il cambiamento, e Thorfinn deve cambiare prima che Dio lo accetti.
— Badessa, sei molto eloquente — disse Thorvald con un sorriso. — Ma perché tutto questo non glielo dici tu?
— Perché sono tutta dolorante — rispose Radegunde. — Oh, fatemi immergere nell’acqua calda! — E Thorvald la sostenne mentre lei usciva zoppicando. Quella mattina, dopo che ebbe fatto il bagno caldo (mi lasciarono stare davanti alla porta, quando piansi e gridai) incominciò a curare Sibihd, prima cullandola fra le braccia e parlandole per dirle che adesso era al sicuro e promettendole che presto i norvegesi se ne sarebbero andati; e poi, quando Sibihd si calmò un poco, la condusse a passeggiare nel bosco, con Thorvald che ci scortava per assicurarsi che non scappassimo via, e la piccola, bruna suor Hedwic, che era sempre rimasta con Sibihd ad assisterla. La badessa camminava per un po’ sotto il mite sole d’autunno, e poi sollevava verso l’alto il viso di Sibihd, toccandola gentilmente sotto il mento, e diceva: — Vedi? Il cielo di Dio c’è ancora — e poi: — Guarda, ecco gli alberi del buon Dio; non sono cambiati — e le diceva che il mondo era come prima e che Dio era ancora misericordioso, anche se alcune altre anime avevano raggiunto i beati ed erano più felici ad attenderci lassù in Paradiso di quanto noi avremmo potuto esserlo o illuderci di esserlo sulla povera Terra. Suor Hedwic teneva la mano di Sibihd. Nessuno mi prestava più attenzione che se fossi stato un cane, ma ogni volta che la povera suor Sibihd vedeva Thorvald si ritraeva, e si capiva benissimo che Hedwic non sopportava di guardarlo; ogni volta che lo scorgeva distoglieva il viso, chiudeva con forza gli occhi e si mordeva il labbro inferiore. Era una giornata serena, quasi calda, come capitano a volte in autunno, e la badessa trovò qualche fiorellino azzurro ritardatario in un angoletto riparato vicino a un tronco, e lo mise nelle mani di Sibihd, dicendo che Dio aveva fatto tante cose belle. Suor Sibihd aveva abbastanza presenza di spirito per tenere stretti i fiori, ma teneva gli occhi fissi, e sarebbe inciampata e caduta se Hedwic non l’avesse guidata.
Suor Hedwic disse timidamente: — Forse soffre perché è stata contaminata, badessa. — Aveva l’aria di vergognarsi molto. Per un momento la badessa guardò con occhi acuti la giovane suor Hedwic e poi ia povera Sibihd. Quindi disse:
— Cara figlia Sibihd e cara figlia Hedwic, ora vi dirò qualcosa di me stessa che non ho mai detto ad anima viva eccettuato il mio confessore. Sapete che da giovane studiai ad Avignone, e poi fui mandata a Roma, per imparare di più? Ebbene, ad Avignone lessi molto i nostri padri della Chiesa, ma anche i poeti pagani, perché ha detto giustamente Ermenrich di Ellwagen, come il letame sparso su un campo l’arricchisce perché dia un maggiore raccolto, così è impossibile produrre l’eloquenza divina senza gli scritti immondi dei poeti pagani. Ciò è vero, ma anche pericoloso; tuttavia io non la pensavo così perché ero molto orgogliosa e credevo che se le poesie pagane non mi facevano nessuna impressione, era così perché avevo ricevuto il dono della castità da Dio stesso, e disprezzavo i piaceri sensuali e coloro che ne erano tentati. Avevo dimenticato, capite, che la castità non viene donata una volta per tutte come un anello nuziale che vien messo per non essere mai tolto; è invece un giardino che ogni giorno dev’essere sarchiato, innaffiato e potato, altrimenti ben presto rimangono soltanto rovi e sterpi.
«Come ho scoperto, le parole dei poeti non mi tentavano, perché le parole sono soltanto segni sulla pagina e non hanno altra vita che quella che prestiamo loro. Ma a Roma non c’erano soltanto i vecchi libri, figlie mie; c’era ben di peggio.
«C’erano le statue. Ora, dovete capire che non sono come quelle che potete immaginare leggendo i nostri libri, come san Giovanni o la Madonna; gli antichi erano così abili nel lavorare la pietra che era come una magia. Tu stai davanti al marmo e trattieni il respiro, aspettandoti che si muova e parli. Non sono affatto statue, ma donne e uomini nudi e bellissimi. È una città piena di dei marini che versano l’acqua, figlia Sibihd e figlia Hedwic, di atleti che lanciano il disco, di corridori e lottatori e giovani imperatori e favoriti dei re: ma non camminano per le strade come uomini veri, perché sono tutti di pietra.
«C’era un Apollo, tutto nudo, e sapevo che non avrei neppure dovuto guardarlo, ma trovavo sempre qualche scusa con le mie compagne per passargli accanto: e quella statua, sebbene fosse lontana tre miglia dal luogo dove abitavo, mi attirava come per magia. Oh, era così bello! Più bello di qualunque giovane che oggi viva in Germania o in tutto il mondo, credo. E allora ricordai tutti i vecchi amori dei poeti pagani: Didone ed Enea, e Venere e Marte presi nella rete, l’amore della luna, Diana, per il pastore adolescente… e pensai che se la mia statua avesse preso vita, avrebbe pronunciato le dolcissime parole d’amore dei vecchi poeti, e sarebbe stato un essere saggio e valoroso, e quale donna avrebbe saputo resistergli?
A questo punto la badessa si fermò e guardò suor Sibihd, ma Sibihd continuava a fissare il vuoto e a tenere in mano i fiorellini azzurri. Invece suor Hedwic chiese, premendosi la mano sul cuore:
— Tu pregavi, badessa?
— Pregavo — disse Radegunde in tono solenne. — Ma le mie preghiere si trasformavano in qualcosa d’altro. Chiedevo d’essere liberata dalla tentazione che era nella statua, e allora, naturalmente, dovevo pensare alla statua, e mi dicevo che dovevo fuggire come la ninfa Dafne, per corazzarmi e ripararmi in una pianta di alloro; ma sembrava che i miei piedi fossero già radicati al suolo, e solo all’ultimo minuto riuscivo a fuggire e a riprendere le preghiere. Ma ogni volta diventava più difficile, e finalmente venne il giorno che non fuggii più.