— Al, mentre scendeva ha colpito un palo della luce — disse la radio in tono lamentoso. — Non vorrai che mi metta a frugare in quel macello per cercare i segni delle siringhe.
— Va bene. Arrivo tra un paio di minuti. — Werry chiuse il contatto radio e diede un’occhiata di traverso ad Hasson. — Se c’è di mezzo un cittadino americano, i giornali si metteranno a strillare. Non sono scalognato?
«Lui o tu?» pensò Hasson. Poi chiese: — Com’è la situazione con la droga?
— Le droghe tradizionali sono scomparse, a parte un certo traffico di LSD, ma l’empatina sta diventando un grosso problema. — Werry tese lo sguardo avanti, a scrutare l’orizzonte, e scosse la testa. — Questo non lo capisco proprio, Rob. Posso capire che dei ragazzi vogliano salire di giri, ma che poi vogliano entrare nelle teste degli altri, pensare i pensieri degli altri… Sai, certe notti ce li ritroviamo in ufficio e per un paio d’ore, finché la droga non smette di fare effetto, non sanno proprio chi sono. A volte due ragazzi ci danno lo stesso nome e lo stesso indirizzo. Uno dei due crede di essere l’altro! Perché lo fanno?
— È una faccenda di gruppo — disse Hasson. — L’identità di gruppo è sempre stata importante, e l’epidemia la rende possibile.
— Questa roba la lascio agli psichiatri. — Werry spense la sirena. Davanti a loro era apparso uno sciame di veicoli con le luci accese. Si erano lasciati alle spalle la periferia della città e adesso avevano attorno un paesaggio desolato, bianco, che sembrava abbandonato per l’eternità. Paralleli alla strada, ma più in alto di centinaia di metri, c’erano due tunnel aerei con l’imboccatura a campana, proiezioni bilaser color giallo e magenta, che guidavano i volatori in entrata o uscita dalla città. C’era un flusso continuo di viaggiatori lungo quei tubi impalpabili, ma molti altri veleggiavano a diversi livelli di aria calda, richiamati dall’attività a terra.
Werry fermò la macchina accanto alle altre, scese, s’incamminò sulla neve verso un gruppo di uomini che comprendeva anche due poliziotti in tuta da volo. Sul terreno, tra l’ammasso di gambe, c’erano due oggetti coperti da teli di plastica nera. Hasson distolse lo sguardo e pensò con tutta la sua forza al televisore, quando un uomo sollevò i teli per permettere a Werry di esaminare quello che c’era sotto. Werry parlò agli altri per un minuto, poi tornò alla macchina, spalancò la portiera posteriore e tirò fuori la sua tuta da volo.
— Devo salire un attimo — gli disse, infilandosi la tuta a isolamento termico. — Henry ha raccolto un paio di segnali sul radar e pensa che lassù ci sia ancora qualcuno di quei delinquenti.
Hasson fissò le nuvole che oscuravano tutto. — Sono matti, se stanno ancora lì.
— Lo so, però dobbiamo salire e accendere qualche faro e rimettere un po’ le cose a posto. I buoni cittadini devono vederci al lavoro. — Werry chiuse le ultime cerniere della tuta e cominciò a infilarsi il corpetto AG. Sembrava ancora una volta deciso e competente, mentre allacciava le diverse cinghie. — Rob, mi spiace chiedertelo, ma non potresti tornare indietro con la macchina e prendere Theo all’uscita della scuola?
— Penso di riuscirci, se mi indichi la strada.
— Non te lo chiederei, ma gli avevo promesso di andarlo a prendere.
— Al, non c’è problema — disse Hasson, chiedendosi perché mai l’altro fosse così diffidente.
— Un piccolo problema c’è. — Werry esitò. Sembrava stranamente imbarazzato. — Sai… Theo è cieco. Dovrai farti riconoscere.
— Oh. — Hasson non trovava le parole. — Mi spiace.
— Non è una cecità permanente — aggiunse subito Werry. — Tra un paio d’anni lo rimetteranno a posto. Starà benissimo, tra un paio d’anni.
— Come faccio a riconoscerlo?
— Non c’è problema. Non va ad una scuola differenziale. Cerca un ragazzo con un bastone a sensori.
— Benissimo. — Hasson si concentrò nell’assorbire le istruzioni per raggiungere la scuola, immaginò che tipo di rapporto fosse possibile con un ragazzo cieco. Nel frattempo, controvoglia, si trovò affascinato dai preparativi di Werry al volo, dai rituali istintivi che un professionista non trascurava mai prima d’avventurarsi in un ambiente pericoloso. Tutte le cinghie ben allacciate in posizione di sicurezza. Le luci alle spalle e alle caviglie che funzionavano. Le batterie in buone condizioni, che generavano il voltaggio necessario. Tutte le reti, le corde e i tascapane necessari a un poliziotto, presenti e riempiti a dovere. Impianto di comunicazione funzionante. Visiera abbassata e radar dell’elmetto funzionante. Generatore di campo AG riscaldato e comandi sul pannello della cintura nella posizione esatta.
Seguendo col cervello e con la mente i preparativi per il volo, Hasson si trovò per un attimo a immaginare quello che veniva dopo (il salto tranquillo che si trasformava in una salita verso l’alto, la sensazione di cadere in alto, i campi e le strade che rimpicciolivano sotto), e i muscoli del suo stomaco si contrassero, inviandogli un sapore di bile in gola. Deglutì a fatica e cercò di distrarsi mettendosi dietro il volante, esaminando il cruscotto.
— Ci vediamo a casa — disse Werry. — Tornerò appena posso.
— Ci vediamo — disse Hasson, flemmatico, rifiutandosi di prestare troppa attenzione a Werry che muoveva un comando sulla cintura e si sollevava nel cielo grigio, freddo, al centro di un’invisibile sfera d’energia: un micro-universo personale dove alcune leggi basilari della natura erano capovolte. Gli altri due poliziotti si alzarono in volo nello stesso istante, le gambe tese, la testa rivolta all’insù, e si addentrarono con cautela in uno spazio sovraffollato.
Hasson accese il motore, fece inversione di marcia in tre manovre e si avviò verso la città. Benché fossero le prime ore del pomeriggio, il cielo si era visibilmente oscurato con l’infittirsi delle nubi. Le colorate figure geometriche della rete controllo traffico di Tripletree spiccavano vivaci ai limiti della sua visuale. Arrivò al centro commerciale senza difficoltà, aiutato dal fatto che la struttura urbanistica della città consisteva in un semplice quadrato, e stava di nuovo per uscirne in direzione ovest quando all’improvviso gli tornò in mente il televisore che desiderava. Rallentò, cominciò a studiare i negozi che gli sfilavano accanto, e nel giro di pochi secondi identificò una rivendita di elettrodomestici. Parcheggiò a pochi metri di distanza dalla vetrina piena d’oggetti, godendo di una gioia tremula all’idea di trovarsi al sicuro per quella sera e per tutte le sere a venire. Quando impugnò la maniglia, la porta a vetri rifiutò di aprirsi.
Indietreggiò e fissò l’interno illuminato del negozio con occhi increduli, chiedendosi perché mai un negozio del centro, per quanto piccolo, fosse chiuso a quell’ora. Bestemmiò la sfortuna; si sentì sconfitto e perseguitato. Poi si accorse di un uomo che lo scrutava dalla vetrina di un negozio vicino. Ribellandosi all’idea di rinunciare al suo talismano elettronico quando lo aveva a portata di mano, entrò nell’altro negozio e scoprì che vendeva cibi naturali. Gli scaffali traboccavano di pacchetti e bottiglie, e l’aria sapeva di diversi odori in contrasto fra loro: lievito, malto, erbe. Dietro un banco disordinato c’era un uomo piccolo, sulla mezza età, di origine asiatica, che lanciò ad Hasson un’occhiata sagace, piena di simpatia.
— Il negozio vicino — disse Hasson. — Cosa succede? Perché non c’è nessuno?
— Ben è uscito cinque minuti. — L’omino aveva una voce asciutta. — Torna subito.
Hasson si rabbuiò, spostò il peso del corpo da un piede all’altro. — Non posso aspettare. Ho un appuntamento.
— Ben tornerà a minuti, forse a secondi. Non le creerà ritardi, signor Haldane.
Sorpreso, Hasson fissò l’altro. — Come fa a conoscere il mio…