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Hasson tentò di non soffermarsi su quel fatto. — È difficile essere presenti prima di un incidente.

— I miei coglioni, un incidente — grugnì Morlacher. — Quello non è stato un incidente. Quei fetenti di ragazzi pieni di droga uccidono e se la cavano. Noi gli permettiamo di cavarsela.

— È morto anche uno dei ragazzi.

— Credi che questo sistemi le cose?

— No. — Hasson fu costretto ad ammetterlo. — Però dimostra…

— La persona che è stata colpita non era uno qualunque, sai. Era un tipo importante in visita al nostro paese. Un tipo importante, e guarda cosa gli succede!

— Lo conosceva? — L’attenzione di Hasson fu distolta dall’argomento dal fatto che Pridgeon aveva teso una mano e la teneva a nemmeno un centimetro dal naso di Theo. Il ragazzo ne avvertì la presenza quasi immediatamente e spostò la testa all’indietro. La bocca di Pridgeon ebbe una smorfia di piacere sotto i baffi ispidi, e l’esperimento venne ripetuto, questa volta con la mano un po’ più lontana. Hasson fissò le proprie mani che stringevano il volante e cercò di capire quello che gli stava dicendo Morlacher.

— … Su tutti i giornali di stasera — stava tuonando l’omone — e lo sai quale sarà il messaggio? Te lo dico io quale sarà il messaggio. Diranno che non è sicuro volare a nord di Calgary. Diranno che questa è una zona da cowboy. Stammi a sentire, ce n’è abbastanza perché uno… — I denti affilati di Morlacher si chiusero con uno scatto secco, interrompendo il flusso di parole. La sua rabbia aveva oltrepassato i limiti dell’articolazione coerente.

Hasson lo guardò muto, disperato, sconfitto, chiedendosi cosa sarebbe successo, chiedendosi se quei due delinquenti avrebbero scelto la via della violenza su un uomo malato e un ragazzo cieco. Al suo fianco, Theo dondolava la testa da una parte e dall’altra, nello sforzo di sfuggire all’invisibile vicinanza della mano di Pridgeon.

— Quando vedi Werry digli che ne ho abbastanza — concluse Morlacher. — Digli che ne ho piene le scatole di faccende di questo tipo e che andrò a fargli visita a casa. Capito?

— Glielo dirò — rispose Hasson, sollevato nel vedere che la mano di Morlacher si era posata sui comandi della cintura.

— Andiamo, Starr. Abbiamo del lavoro da fare. — Morlacher mosse un comando e fu scaraventato in cielo, scomparendo dalla ristretta visuale di Hasson in una frazione di secondo. Dall’altra parte della macchina, Pridgeon fece schioccare sonoramente le dita davanti al viso di Theo, e il ragazzo indietreggiò. Poi passò a un trucco intimidatorio: fissò all’improvviso Hasson con un’occhiata dura, ostile. Si allontanò dalla macchina continuando a fissarlo, spiccò un balzo e scomparve. Il silenzio, adesso, era rotto solo dal vento che passava nella portiera spalancata della macchina.

Hasson uscì in una risata incerta. — Ma che diavolo sarà successo?

Theo serrò le labbra, si rifiutò di parlare.

— Sono stati gentili a venirci a trovare — disse Hasson, cercando di tramutare in allegria la sensazione di vigliaccheria e colpa. — La gente è molto aperta, dalle vostre parti.

Theo chiuse la portiera e scivolò sul sedile, lasciandogli capire che voleva tornare a casa. Hasson respirò a fondo, chiuse la sua portiera e ripartì. Uscirono dalla trincea. Da un lato divennero visibili poche case sparse, alcune con le luci già accese. In ogni altra direzione, una terra sconosciuta si perdeva nel buio di una neve grigia come il cielo. Hasson si sentiva completamente solo.

— Non sapevo di preciso cosa rispondere — disse. Sono in città da poche ore… Non conosco ancora nessuno… Non sapevo come reagire alla situazione.

— Non c’è problema — rispose Theo. — Lei ha reagito esattamente come avrebbe reagito mio padre. Hasson soppesò il commento e capi di essere stato insultato, ma decise di non tirare fuori scuse. — Non capisco perché Morlacher sia così sconvolto. È sindaco o qualcosa del genere?

— No. È solo il nostro caro gangster.

— E allora cosa gli ha preso?

— Sarà meglio che lo chieda a mio padre. Lavora per Morlacher, per cui dovrebbe saperlo.

Hasson guardò Theo e vide che la sua faccia era pallida, tesa. — Ti stai spingendo un po’ troppo in là, no?

— Crede? D’accordo, mettiamola così. — Theo parlava con tanta amarezza da sembrare una persona molto più anziana. — Il signor Morlacher ha dato il lavoro a mio padre, e glielo ha dato perché sapeva che sarebbe stato del tutto inefficiente. L’idea era che il signor Morlacher potesse fare tutto quello che gli pareva senza avere noie con la legge. Adesso la situazione è cambiata. Morlacher ha bisogno di qualcuno che lavori come si deve, e non c’è nessuno che sappia farlo. Sono certo che lei apprezzerà l’umorismo della situazione. L’intera città lo apprezza.

Le parole del ragazzo somigliavano a un discorso attentamente studiato e provato, ripetuto parecchie volte a parecchia gente, e Hasson capì di essere finito in una grande pozzanghera di difficili rapporti familiari. Per quanto scosso dal cinismo di Theo, decise di tirarsi indietro prima di trovarsi coinvolto dai problemi di altra gente. Era in Canada solo per riposarsi e recuperare energie, e al termine del periodo previsto se ne sarebbe andato tranquillamente, libero e felice come un uccellino. Aveva imparato che la vita era già abbastanza difficile…

— Credo che saremo a casa fra pochi minuti — disse. — Qui davanti c’è una strada che mi sembra la circonvallazione nord.

— Svolti a destra e poi prenda la terza a destra — replicò Theo. C’era un’inflessione strana nella sua voce, come se fosse deluso di scoprire che Hasson non reagiva alle sue provocazioni. Si spostò diverse volte sul sedile, e sembrava triste e ben consapevole. Dava l’impressione di essere tutt’altro che tranquillo.

— L’incidente di oggi pomeriggio è stato brutto? — chiese.

— Piuttosto brutto. Due morti.

— Come mai il signor Morlacher parlava di omicidio?

Hasson rallentò all’incrocio. — Per quanto ne so, qualche ritardato mentale è sceso a razzo all’imbocco est, con gli inevitabili risultati.

— Chi dice che sono inevitabili?

— Un certo Isacco Newton. Se qualcuno è matto a sufficienza da spegnere il campo mentre è su per aria, gli ci vogliono solo sette secondi per raggiungere la velocità limite di duecento chilometri l’ora, e se anche cerca di aggiungere dei vettori… — Hasson s’interruppe: gli occhi ciechi di Theo erano puntati su lui. — Cose del genere dobbiamo saperle, noi assicuratori.

— Immagino di sì — disse Theo, pensoso.

Hasson s’immerse nel silenzio, chiedendosi se potessero essere vere le storie che aveva sentito sulla straordinaria sensibilità di alcuni ciechi. Seguì le istruzioni di Theo e fermò la macchina davanti alla casa di Al Werry. Theo aggiustò i controlli del bastone, riportò in funzione i raggi laser, scese dall’auto e s’incamminò verso casa. Hasson raccolse il televisore e seguì il ragazzo, felice di voltare le spalle al mondo immerso nel buio.

L’ingresso sembrava ancora più piccolo del solito, perché Theo si stava togliendo il soprabito al centro della stanza, e questa volta il profumo del caffè si era aggiunto all’odore di cera per pavimenti e di canfora. Il livello di ansietà di Hasson aumentò alla prospettiva di dover entrare in una conversazione con un gruppo di persone quasi estranee. Balzò immediatamente sulla scala, respingendo a fatica l’impulso di fare gli scalini due alla volta prima che si aprisse la porta del soggiorno.

— Di’ ai tuoi che sono andato a disfare le valigie — disse a Theo sottovoce. — Poi mi darò una rinfrescata.

Arrivò al pianerottolo proprio mentre, da sotto, veniva il rumore d’una porta che si apriva. In preda al panico, si precipitò nella sua stanza, adagiò il televisore sul letto e chiuse la porta dietro di sé. Nel crepuscolo, la stanza era buia e strana. Le facce delle fotografie si fissavano tra loro, in silenziosa comunicazione, e avevano già deciso che bisognava ignorare l’intruso. Hasson tirò le tende, accese la luce e si diede da fare a sistemare il televisore su un tavolino accanto al letto. Poi lo accese, dando vita a un palcoscenico in miniatura sul quale minuscole figure umane si agitavano e discutevano in una perfetta simulazione di vita.