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— Lo diceva sempre anche lui, ma io l’ho sorpreso inventando una nuova polizza d’assicurazione contro il fatto di non essere assicurati.

Theo contrasse le labbra. — Una volta ho letto la storia di un tipo che si chiamava Nemo l’Innominato. Hasson sogghignò, impressionato dalla velocità con cui il ragazzo aveva catalogato le sue assurdità, e trovò la risposta giusta. — Mi sembri un personaggio di Stephen Leacock.

— No, non credo di averne mai sentito parlare.

— Ma era un umorista canadese! Il più bravo! — Hasson fu lievemente sorpreso di scoprire che poteva entusiasmarsi per argomenti letterari. Da mesi non riusciva nemmeno ad aprire un libro.

— Cercherò di ricordarmi il nome — disse Theo.

Hasson gli diede un colpetto sul dorso della mano. — Senti, ormai è ora che mi rilegga un po’ di Leacock. Se riesco a trovare un paio di libri, potrei leggerteli, magari. Che cosa ne dici?

— Per me va bene. Se lei ha tempo, naturalmente…

— Ho un sacco di tempo, per cui è deciso — rispose Hasson, riflettendo sul fatto che appena aveva pensato di fare qualcosa per qualcun altro, il suo stato d’animo era migliorato. Gli sembrava una lezione significativa. Sorseggiò il caffè, di tanto in tanto sobbalzando quando il liquido caldo gli sfiorava una delle ulcere alla bocca, e incoraggiò tacitamente Theo a raccontargli tutto quello che gli veniva in mente, purché non si parlasse del passato di Hasson e della sua parentela fasulla con Al Werry. L’interesse di Theo per il volo balzò presto in primo piano: parlò quasi subito di Barry Lutze e di una banda locale di fora-nuvole, i Falchi. Come il giorno prima, ad Hasson diede un grande fastidio la nota di ammirazione incondizionata che spuntò nella voce di Theo.

— Ci scommetto — commentò, decidendo di mettere in pericolo l’amicizia col ragazzo — che il capo della banda si chiama Falco Nero.

Theo parve sorpreso. — Come fa a saperlo?

— O è Falco Nero, o è Aquila Rossa. Tipi del genere devono sempre nascondersi dietro un’etichetta, ed è sorprendente quanto sia limitata la loro immaginazione. Tutte le città in cui sono stato hanno un Falco Nero o un’Aquila Rossa che di notte vola in giro a terrorizzare i ragazzi più giovani, e la cosa più buffa è che tutti, dal primo all’ultimo, credono di essere persone speciali.

Theo si alzò. Prima di rispondere gettò il piatto vuoto nel riciclatore e sedette di nuovo a tavola. — Se uno vuole volare sul serio deve tenere nascosto il proprio nome.

— Non è questa l’impressione che mi danno le pagine sportive dei giornali e la tivù. Qualcuno diventa ricco e famoso proprio perché vola sul serio. — Hasson capì, dall’espressione sul viso di Theo, che le sue parole non ottenevano effetto. La frase “volare sul serio”, stando a come l’usavano i giovani, significava volare in maniera illegale e pericolosa, lasciare da parte la legge e volare solo con l’istinto, volare di notte senza luci, giocare a nascondino aereo fra i canyon degli edifici urbani. L’inevitabile conseguenza di quel “volare sul serio” era una pioggia di cadaveri al suolo, quando le batterie non funzionavano più, ma è una caratteristica della giovinezza ritenersi immuni dai disastri. Gli incidenti capitano sempre a qualcun altro.

Una delle difficoltà che Hasson aveva incontrato, negli anni di lavoro con la polizia, era che tutti gli argomenti si basavano sull’emozione, non sull’intelligenza. Ormai aveva perso il conto delle volte che aveva parlato coi membri di un gruppo che avevano visto uno dei loro fracassarsi contro il fianco d’un edificio, o finire tagliato in due su un pilastro di cemento. Aveva sempre riscontrato una sensazione sotterranea simile alle superstizioni più antiche e alle credenze magiche dei primitivi: il morto aveva attirato su di sé la sfortuna perché aveva violato, in un modo o nell’altro, il codice di comportamento del gruppo. Aveva sfidato il capo, oppure tradito un amico, oppure dimostrato di avere perso l’autocontrollo.

La morte non veniva mai attribuita al fatto che il giovane volatore avesse infranto la legge, perché ammetterlo avrebbe significato spalancare le porte all’idea che i regolamenti erano necessari. Il volatore notturno votato alla morte, l’Icaro oscuro, era l’eroe popolare del secolo. In occasioni del genere Hasson aveva cominciato a chiedersi se il concetto stesso di polizia aerea, l’assumersi responsabilità per gli altri fosse ancora valido. Il corpetto AG, oltre a sobillare chi lo indossava a sfidare l’autorità, era utile perché regalava l’anonimato e una mobilità estrema. Un Falco Nero e la sua corte aerea potevano sorvolare in una sola notte migliaia di chilometri quadrati e poi scomparire senza lasciare tracce, come una pioggerellina sparsa caduta nell’oceano della società. In quasi tutti i casi, l’unico modo per riportare alla ragione un volatore irrequieto era inseguirlo e dargli letteralmente la caccia in cielo, attività difficile e pericolosa. Per di più, a quanto pareva, il numero dei cacciatori sarebbe sempre stato ridottissimo. E quando si trovava di fronte a un giovane innamorato del cielo come Theo, automaticamente predisposto a venerare l’eroe sbagliato, ad Hasson sembrava di avere sprecato tutta la vita.

— … Non gli sembra niente salire su di seimila o settemila metri e restarsene lì per ore — stava dicendo Theo. — Ma ci pensi. Arriva a sette chilometri di altezza e non gli sembra niente.

Hasson aveva perso il filo della conversazione, ma pensò che si stesse parlando di Barry Lutze. — Deve sembrargli qualcosa, se no non si sarebbe preso il disturbo di parlartene.

— E perché non dovrebbe esserne orgoglioso? È più di quello… — Theo s’interruppe, modificò la frase. — È più di quello che ha fatto tanta gente di qui.

Hasson ripensò al suo breve soggiorno ai margini dello spazio, a trenta chilometri d’altezza, ma non provò il desiderio di parlarne. — Non gli sembra un po’ infantile farsi chiamare Falco Nero?

— Chi ha detto che Barry è Falco Nero?

— Avete due grandi volatori dalle vostre parti? Barry Lutze e il misterioso Falco Nero? Non si scontrano mai? — Come faccio a saperlo? — chiese Theo con espressione di rimprovero, e cercò la caffettiera.

Hasson non lo aiutò. Sapeva che la sua colpa, agli occhi del ragazzo, era quella di essersi intromesso in cose che un adulto non avrebbe mai capito. Per la prima volta nella storia, i giovani potevano sfuggire alla sorveglianza degli anziani, ed era un privilegio cui non avrebbero mai rinunciato. La totale mobilità personale aveva reso più piccolo il mondo e ingrandito enormemente lo stacco fra le generazioni. Barrie aveva avuto una brillante intuizione quando aveva capito che non poteva esistere comunicazione fra Peter Pan e alcun membro del mondo adulto.

Hasson osservò un silenzio contrito mentre Theo, aiutato solo dalla memoria e dal sottile raggio di un anello a sensori sulla mano destra, trovava la caffettiera e si versava un po’ di caffè. Stava chiedendosi quale fosse il modo migliore per aprire un negoziato di pace quando Al Werry, in un turbine d’aria fredda, entrò in cucina dalla porta sul retro. Respirava affannosamente, probabilmente perché aveva spalato la neve. Hasson fu un po’ stupefatto nel vedere che si era messo l’uniforme anche per quei lavori casalinghi, ma scordò la propria idiosincrasia quando si accorse che Werry era stranamente agitato.

— Vai di sopra, Theo — disse il poliziotto, senza preamboli. — Sta arrivando gente per parlare d’affari. Theo piegò la testa con aria interrogativa. — Non posso finire la mia…?

— Di sopra — urlò Werry. — Muoviti.

— Vado. — Theo stava cercando il suo bastone a sensori, appoggiato al tavolo, quando si udì spalancare la porta d’ingresso. Subito dopo risuonarono passi pesanti. Un istante più tardi si aprì la porta della cucina, e apparvero nella stanza Buck Morlacher e Starr Pridgeon. Indossavano entrambi tute da volo e corpetti che rendevano più voluminosi i corpi e che facevano apparire estranea, ostile, la loro presenza nell’ambiente domestico. Macchie rosse risplendevano minacciose sulle guance paffute di Morlacher che avanzava verso Werry, mentre alle sue spalle Pridgeon esaminava il contenuto della stanza con interesse divertito, quasi fosse lui il proprietario. Hasson provò un insieme di rabbia, tristezza e panico.