Hasson, camminando con la cautela esagerata di uno scassinatore da film, abbandonò il bagno e si tuffò nel suo rifugio personale, chiudendo piano la porta a chiave. Scoprì che il suo cuore sbuffava come una vecchia automobile da museo e decise definitivamente di restare in camera il più a lungo possibile, evitando contatti diretti col resto dell’umanità. Sedette sull’orlo del letto, accese il televisore e cercò di entrare a far parte di quel mondo in miniatura, praticabile.
Era solo da una trentina di minuti quando bussarono alla porta. Andò ad aprire e vide Al Werry fermo sul pianerottolo. Smessa l’uniforme, indossava calzoni di stoffa grezza e un maglione nero, e quell’abbigliamento lo faceva sembrare più giovane.
— Hai un minuto, Rob? — gli chiese a voce bassa, in tono da cospiratore. — Vorrei dirti una parola. Hasson spalancò completamente la porta e fece cenno a Werry di entrare. — Di che si tratta?
— Non lo immagini?
Hasson evitò lo sguardo dell’altro. — Io sono qui solo di passaggio, Al. Non c’è bisogno che…
— Lo so, ma mi farebbe bene parlare con qualcuno. Che ne dici di andarci a bere un paio di birre?
Hasson guardò il televisore; ancora una volta, a causa dei diversi fusi orari, i programmi non erano quelli che lui desiderava. — I negozi di elettrodomestici sono aperti? Devo comperare un po’ di cassette.
— Possiamo fare anche questo, non c’è problema. Che ne dici d’una birra?
— Da ieri sera ho la gola secca — confessò Hasson, afferrando il soprabito. Werry gli diede una pacca sulla spalla, in un gesto che ricordava la sua consueta bonomia, e si avviò giù per le scale, agitando rumorosamente i tacchi. Un minuto dopo erano sull’auto della polizia, correvano lungo una strada, e l’asfalto nero sembrava un canale scavato nel mezzo di un campo di neve.
Coll’aumentare della velocità, le incrostazioni di neve accumulate sul tettuccio si staccarono e scivolarono, senza spezzare il silenzio, lungo il parabrezza. Hasson dedusse che la neve era piuttosto compatta e asciutta, diversa da quella che cadeva in Inghilterra. La macchina svoltò sulla strada principale e risalì un lieve pendio. Adesso aveva sotto gli occhi la città, pura come il ghiaccio artico e idilliaca sotto il sole generoso. I colori si erano fatti più vivaci, in contrasto al bianco che dominava il paesaggio, e le finestre delle case sembravano rettangoli nerissimi. A sud, il fantastico pilastro dell’Hotel Chinook svettava come un enorme spillo che tenesse uniti terra e cielo.
Hasson, già abbastanza pratico della topografia di Tripletree, studiava le sculture aeree della rete di controllo traffico e le usava come guida per rintracciare altri punti di riferimento. Tra un ammasso di edifici più bassi spiccava anche il negozio d’arredamento coi vetri marrone che il giorno prima Theo aveva utilizzato per indirizzarlo alla circonvallazione. Sul tetto del negozio, scintillante nonostante la concorrenza del sole, spiccava l’enorme proiezione bilaser di un letto matrimoniale. Hasson corrugò la fronte, e una stella color ambra prese ad accendersi sul pannello del computer che era la sua memoria.
— Proprio una bella insegna — disse, indicando il palazzo a Werry. — Ieri era una poltrona.
Werry sorrise. — È l’ultimo giocattolo del vecchio Manny Weisner. Cambia l’immagine due o tre volte la settimana, tanto per divertirsi.
— Allora non lo ha da molto?
— Tre mesi, o giù di lì. — Werry girò la testa e scrutò Hasson con una certa curiosità. — Perché me lo chiedi?
— Oh, così — rispose Hasson, cercando di spegnere la stella color ambra. Il giorno prima, l’insegna rappresentava una poltrona, e Theo Werry, che era cieco, aveva detto che rappresentava una poltrona. La spiegazione più ovvia era che in precedenza qualcuno gli avesse descritto l’insegna, quando l’immagine era quella della poltrona, senza dirgli che il proprietario aveva l’abitudine di cambiarla continuamente. Le poltrone sono fra gli articoli più comuni in tutti i negozi di mobili, per cui il fatto che Theo avesse indovinato non implicava un grado di coincidenza elevato. Hasson abbandonò quella linea di pensiero, irritato per la perenne abitudine di aggrapparsi a minuscoli brandelli d’informazione e cercare di costruirne enormi mosaici. Di più immediato interesse e importanza era sapere di cosa voleva parlargli Werry. Sperava di non dover udire il racconto di una corruzione. In passato aveva conosciuto altri poliziotti che si erano legati troppo strettamente a uomini come Buck Morlacher, e le storie di tutti loro ignoravano il lieto fine. Il pensiero di Morlacher gli portò, per associazione, il ricordo dell’umiliante incontro con Starr Pridgeon, e gli venne in mente che Morlacher e Pridgeon formavano una coppia stranamente assortita. Passò l’interrogativo a Werry.
— Un bell’esempio di criminale incallito che non è mai stato in galera — disse Werry. — Starr si è trovato coinvolto in ogni tipo di delitto, dallo stupro alla rapina a mano armata, ma le accuse della polizia avevano sempre qualche difetto legale. Oppure c’era un’epidemia di amnesia fra i testimoni. Ha un laboratorio per la riparazione di elettrodomestici giù a Georgetown, lavatrici, frigoriferi, roba del genere, ma passa quasi tutto il suo tempo in giro con Buck.
— E Morlacher cosa ne guadagna?
— La compagnia, immagino. Buck ha un carattere terribile, specie quando alza il gomito, e ha l’abitudine di sottolineare i suoi dispiaceri tirando colpi nelle palle agli altri. Se vedi in giro per Tripletree qualcuno che cammina a gambe larghe, non vuol dire che sia un cowboy. Lavorava per Buck, ecco tutto. In genere la gente gli sta lontano più che può, ma Starr va piuttosto d’accordo con lui.
Hasson annuì, leggermente perplesso dall’abitudine di Werry di chiamare tutti, anche uomini che aveva motivo di odiare o disprezzare, per nome. Dava l’impressione di considerare ogni difetto umano, dal più banale al più serio, con la stessa tolleranza indifferente, ed era una caratteristica che Hasson trovava difficile associare alla professione di poliziotto. Restò tranquillamente seduto, alle prese con dolorini alla schiena e ai fianchi, finché Werry fermò la macchina davanti a un bar nei pressi del centro commerciale di Tripletree.
— Il negozio d’olotronica di Ben è dietro l’angolo — disse. — Vai a prendere le tue cassette, intanto io ordino un paio di birre. — S’incamminò nella semioscurità grigiastra del bar: camminava con la straripante agilità di un pugile in forma perfetta. Non dava segno di avere tormenti spirituali. Hasson lo guardò scomparire e poi risalì la strada, nel chiarore riflesso della luce solare. Di secondo in secondo, quando un volatore si abbassava e atterrava sui tetti lisci degli edifici attorno, un’ombra gli attraversava la strada. I tetti lisci erano una caratteristica standard delle città moderne, perché i campi antigravità si spezzavano quando un oggetto consistente, ad esempio un muro, intersecava le loro linee di forza. Era per quel motivo che non esistevano aerei a propulsione antigravitazionale, ed era per quel motivo che gli edifici pubblici possedevano tetti lisci oppure erano circondati da ampie aree d’atterraggio. Ogni volatore che si avvicinasse troppo a un muro scopriva di non essere più un volatore: ridiventava un comune mortale, fragile e spaventato, e precipitava al suolo con un’accelerazione di circa mille centimetri al secondo quadrato. Lo stesso effetto si verificava quando due campi AG interferivano tra loro, ed era per quel motivo che il sergente della polizia dell’aria Robert Hasson era disastrosamente precipitato dall’alto della zona di pattuglia di Birmingham, aveva compiuto il volo interminabile e terrificante che per poco…