Выбрать главу

— Grazie. — Hasson scrutò pensieroso il negoziante. — Mi piacerebbe proprio sapere come ha fatto a indovinare che ho ulcere alla bocca.

Oliver sospirò, dolcemente esasperato. — Gli ospedali non imparano mai. Nemmeno ai nostri giorni imparano. Innaffiano i pazienti di antibiotici ad ampio raggio e distruggono i batteri intestinali che producono le vitamine B. Uno dei sintomi più comuni della mancanza di vitamine B è l’apparizione di disordini in bocca, come quelle piccole ulcere così dolorose, e allora cosa fanno gli ospedali? Ci crederebbe che alcuni ospedali le spalmano ancora di permanganato potassico? Che è del tutto inutile, ovviamente. Dimettono gente che sembra aver bevuto alla fontana sacra d’Ippocrene, con la bocca tutta sporca di rosso, incapace di mangiare, incapace di digerire quello che mangia. Carente d’energia. Depressa. Questi sono altri sintomi della mancanza di vitamine B, sa, però adesso sto tornando allo stesso tipo di discorso che prima le ha fatto infilare la porta.

— No, m’interessa. — Hasson passò qualche altro minuto a parlare con Oliver dei rapporti fra dieta e salute, impressionato e stranamente confortato dal fervore evangelico dell’altro, poi cominciò a pensare ad Al Werry che lo aspettava, solo, al bar. Infilò le due scatole nella borsa di plastica, sopra le cassette televisive, e lasciò il negozio dopo aver promesso a Oliver che sarebbe tornato all’inizio della settimana successiva. Al bar trovò Werry seduto a un separé d’angolo, con due boccali pieni di birra davanti, e parecchi altri vuoti.

— Mi piace bere all’ora di pranzo — disse Werry. — Fa un effetto quadruplo. — La sua voce era leggermente confusa, e Hasson capì d’improvviso che era stato lui a svuotare tutti quei boccali da mezzo litro in un tempo brevissimo.

— Si risparmiano soldi. — Hasson bevve dal boccale che Werry gli porse. La birra non gli sembrava un gran che, ma era fresca e dissetante, e questo gli fece molto piacere. Scrutò Werry da sopra l’orlo del boccale chiedendosi di cosa volesse parlare, sperando che non si aspettasse da lui risposte precise. Aveva l’impressione che, dopo l’arrivo a Tripletree, ogni conversazione non avesse fatto altro che aumentare i suoi stress, e quel processo non poteva continuare all’infinito, o per molto ancora.

Werry bevve una lunga sorsata di birra e si piegò in avanti, con un’espressione solenne in faccia. — Rob — disse, e la sua voce traboccava di sincerità — io t’invidio sul serio.

— Per i miei soldi o per la faccia? — ribatté Hasson, genuinamente sorpreso.

— Non sto scherzando, Rob. T’invidio perché sei un essere umano.

Hasson fece un sorriso storto. — E tu no?

— Esattamente. — Werry parlava con convinzione estrema, come un predicatore che tentasse di operare una conversione. — Io non sono un essere umano.

Hasson, per quanto perplesso, comprese dolorosamente che il tête-à-tête con Werry non sarebbe stato una faccenda facile. — Al, ti assicuro che sembri proprio un essere umano.

— Ma è l’unica cosa che faccio. Sembro un essere umano.

— Parlando da un punto di vista retorico — disse Hasson, augurandosi che Werry chiarisse l’idea in maniera più diretta.

Werry scosse la testa. — Può essere retorica, e può non esserlo. È giusto considerarsi umani se non si possiede nessun sentimento umano? Umano non significa “che possiede umanità”?

— Scusa, Al. — Hasson decise di mostrare una certa impazienza. — Non ho la più pallida idea di che diavolo stai parlando. Qual è il problema?

Werry bevve altra birra. I suoi occhi erano fissi su Hasson, e chissà come trasferivano a lui il peso della responsabilità. — Hai visto cos’è successo a casa mia, stamattina. Buck è entrato come se fosse lui il padrone e ha cominciato a insultarmi davanti a mio figlio, e io me ne sono stato quieto e ho accettato tutto. Tu cosa avresti fatto, Rob? Cosa avresti fatto nei miei panni?

— Difficile dirlo — rispose Hasson, giocherellando col boccale.

— D’accordo. Non ti saresti infuriato con Buck?

— Immagino di sì.

— Ecco, vedi. Io non mi sono infuriato perché in me c’è qualcosa che non va. Non provo nessuna sensazione. A volte sento questa vocina che mi dice che dovrei infuriarmi in una situazione del genere, ma non ha peso sul mio comportamento. Non ho paura di Buck, però non c’è nulla a cui io tenga abbastanza da spingermi a mettermi contro di lui. Nemmeno mio figlio.

Hasson si sentiva del tutto incapace di ricevere una confessione come quella.

— Non credo che nessuno di noi sia in grado di autoanalizzarsi come fai tu, Al.

— L’analisi non c’entra. Ti riferisco solo dei fatti — ribatté ostinatamente Werry. — In me c’è qualcosa che non va, qualcosa nel modo in cui sono fatto, e si riflette su tutte le mie azioni, piccole o grandi. Dimmi la verità, Rob. Ieri, quando ci siamo incontrati alla stazione, tu non ti ricordavi affatto di me, vero?

— Non ho una gran memoria — disse Hasson. Gli sembrava di avere perso il filo del discorso.

— Non importa che la memoria sia buona. Il punto è che tu sai benissimo di cosa puoi dimenticarti. Sai cos’è che non conta. lo ho talmente da fare a cercare di convincere la gente che sono uno dei loro, che ricordo tutto quello che succede, per cui posso sempre tirarlo fuori e raccontare a tutti quanto ci siamo divertiti, ma la verità è che io non mi diverto mai molto. Io proprio non esisto, Rob.

Hasson cominciava a sentirsi imbarazzato. — Andiamo, Al, credi che sia questo…?

— È la verità — lo interruppe Werry. — lo proprio non esisto. Vado quasi sempre in giro in uniforme, perché quando l’ho addosso posso convincermi che sono il capo della polizia di qui. Non ho nemmeno il senso dell’umorismo, Rob. Non so cos’è buffo e cosa non lo è. Non faccio altro che ricordare le cose che fanno ridere l’altra gente, e quando le sento mi metto a ridere anch’io, ma la prima volta che mi raccontano una barzelletta non so neanche se è una barzelletta.

«Non posso nemmeno discutere, perché appena sento il punto di vista di un altro quello diventa il mio punto di vista. Poi, quando incontro qualcuno che mi racconta il contrario, passo dalla sua parte.

«Non riesco nemmeno…» Werry s’interruppe per bere un po’ di birra, sempre fissando Hasson con sguardo attento, pensieroso. — Non riesco nemmeno a divertirmi col sesso. Ho letto dell’estasi dell’amore, ma non l’ho mai provata. Quando mi do da fare e si arriva al momento culminante… sai, quando uno dovrebbe sentirsi come se stesse bussando alla porta del paradiso… mi viene solo da pensare che forse ho lasciato la macchina coi fari accesi, oppure che ho freddo alla schiena. Cose del genere.

Hasson provò un improvviso, gelido desiderio di ridere. Prese su il bicchiere e studiò le bollicine che salivano verso la schiuma della birra.

— Questi sono alcuni dei motivi per cui Sybil mi ha lasciato — proseguì Werry. — Abbiamo litigato sulla cura per gli occhi di Theo, perché lei voleva fare subito l’operazione e io non volevo nemmeno sentirne parlare, ma penso che si sia stufata di vivere con qualcuno che non era nessuno. È per questo che vado d’accordo con May. È un’altra nessuno. L’unica ambizione della sua esistenza è andarsene in giro a far vedere quant’è bella, e non fa altro, per cui con lei so con chi ho a che fare.

Ci fu una pausa più lunga, e Hasson capi che Werry aveva terminato il discorso e che adesso toccava a lui trovare una risposta adatta. Gettò un’occhiata alla borsa di plastica che conteneva le cassette dei suoi sogni e desiderò trovarsi chiuso nella sua stanza, nell’oscurità morbida delle tendine tirate, col televisore che gli impartiva una dolce assoluzione. La terribile ingiustizia della situazione, avere di fronte un’altra persona che gli chiedeva cose impossibili, gli torturava il cervello.