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Anche il rapporto con Theo Werry divenne altrettanto stagnante e improduttivo, però in quel caso Hasson sapeva perfettamente cosa non andava. Il ragazzo possedeva tutto il rispetto naturale del giovane maschio per la forza e il coraggio, un rispetto forse aumentato dalla sua menomazione fisica, ed era facile capire l’opinione che si era formato di Hasson. Per di più, fra loro si era aperto uno stacco generazionale fin dalla prima volta che Hasson gli aveva raccontato cosa pensava degli angeli, e non bastava il comune interesse per la musica e la letteratura a superare l’abisso.

Hasson decise di andarci piano con Theo, di stare pronto a cogliere il primo segno d’incoraggiamento, ma il ragazzo si isolava, trascorreva quasi tutto il tempo libero in camera sua. Innumerevoli volte, passando sul pianerottolo buio, Hasson vide la porta della stanza di Theo rischiarata da brevi lampi di luce, ma tirò sempre dritto, si costrinse a ignorare quel richiamo angoscioso, perché sapeva che ogni tentativo di risposta sarebbe stato considerato un’intrusione. Una volta, molto dopo mezzanotte, gli parve di avere sentito una voce che usciva dalla stanza: esitò sulla soglia, chiedendosi se Theo avesse un incubo.

La voce scomparve quasi subito e Hasson riprese il suo cammino verso il televisore, rattristato all’idea che anche un cieco potesse sperimentare le visioni spurie dei brutti sogni.

I risultati della sua nuova vita si trasformarono in routine, e Hasson accettò di buon grado l’intorpidirsi delle percezioni. La monotonia era una droga cerebrale che gli entrò presto nel sangue, e lui trasse conforto dalla convinzione sempre più forte che non gli sarebbe accaduto mai più nulla di significativo, che il giorno e la notte avrebbero continuato a confondersi nel grigio immobile, riposante, dell’eternità.

Quindi fu colto di sorpresa da due miracoli che si verificarono a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro.

Il primo miracolo era esterno ad Hasson, e riguardava il tempo. Per una settimana circa ebbe la vaga percezione di grandi mutamenti che si andavano preparando nel mondo di fuori: la luce del giorno si ammorbidiva e l’aria diventava più calda, il suono dell’acqua che sgocciolava subentrava alla quiete notturna. La televisione diceva che in altre regioni del Canada pioveva a dirotto, e una volta, guardando fuori della finestra, Hasson vide adulti e bambini impegnati, in un giardino vicino, in una battaglia a palle di neve di stile inglese: dunque era mutata la consistenza della neve. Aveva smesso di essere farinosa, asciutta, era molto più malleabile, e quello era un segno premonitore che tra poco si sarebbe sciolta.

E poi, una mattina, Hasson si alzò e scopri che era iniziata la lunga estate dell’Alberta.

Abituato com’era alle stagioni prolungate, incerte, delle coste dell’Europa occidentale, alla ritirata riluttante dell’inverno e all’altrettanto esitante avanzata della stagione tiepida, non riuscì bene a capire quello che era successo. Era affacciato alla finestra, guardava un mondo tutto nuovo dominato dal verde e dal giallo, quando si accorse che si era verificato un secondo miracolo.

Non c’era dolore.

Si era svegliato ed era sceso dal letto senza dolore, accettando il fatto istintivamente, senza pensare, come una creatura dei boschi che si stirasse in risposta al chiarore dell’alba. Voltò le spalle alla finestra e fissò il proprio corpo, avvertendo il calore del sole sulla schiena, e fece qualche movimento sperimentale, come un atleta che si preparasse a una gara. Non ci fu dolore. Arrivò al letto, si sdraiò e si tirò su, per provare a se stesso di essere di nuovo un uomo nel vero senso della parola. Non ci fu dolore. Si toccò i piedi, poi ruotò il corpo da una parte e dall’altra, sfiorò il dorso dei talloni con le mani. Non ci fu dolore.

Hasson si guardò attorno nella stanza, respirò a fondo. D’improvviso si trovava a possedere ricchezze imprevedibili, e fece altre scoperte. La stanza gli sembrava più familiare, le fotografie incorniciate erano niente di più che segni del proprio passato, ma l’ambiente era diventato troppo piccolo. Era un ottimo posto per dormirci di notte, ma fuori si stendeva un enorme paese, inesplorato e affascinante, pieno di nuovi posti da visitare, di nuovi panorami da ammirare, di gente da conoscere, di cibo e bevande da godere, di aria fresca da respirare…

In un impeto di piacere e gratitudine, scopri di poter contemplare il futuro senza timori, senza che il fondo buio del suo animo si agitasse. Immaginava già di leggere, ascoltare musica, nuotare, partecipare a feste, incontrare ragazze, andare a teatro, forse anche infilare un corpetto AG e…

— No!

Il sudore freddo sulla fronte gli fece capire che si era spinto troppo in là. Per un attimo si era concesso di ricordare cosa significasse trovarsi in alto, su un’invisibile montagna di nulla; guardare gli stivali che portava ai piedi e vederli stagliati chiarissimi su uno sfondo di linee geometriche dai colori accesi; spostare il punto focale della sua visuale e trasformare quello sfondo in una minuziosa, dettagliata panoramica di quartieri cittadini e campi lontani chilometri e chilometri, con i fiumi che sembravano colate di piombo solcate da ponti, e le automobili ridotte a macchioline confuse, stagliate dalla lontananza sul cemento bianco. Scosse il capo, allontanò quelle immagini, e cominciò a progettare piani che non si estendessero oltre le sue capacità di creatura mortale.

Trascorsero diversi giorni in cui si accontentò di consolidare la sua nuova posizione, giorni in cui si tenne pronto a subire una ricaduta fisica e psichica. La sua camera, che un tempo era il rifugio più sicuro, adesso gli dava un leggero senso di claustrofobia. Ridusse il tempo che passava davanti al televisore a un’ora o due prima di coricarsi, e cominciò a fare passeggiate dapprima brevi, ma che ben presto arrivarono a tre o quattro ore.

Una delle sue prime spedizioni ebbe come meta il negozio di cibi naturali, dove Oliver Fan lo soppesò con un’occhiata veloce e, senza dargli tempo di parlare, disse: — Bene! Adesso che ha scoperto i primi vantaggi di una dieta equilibrata posso cominciare a spennarla come si deve.

— Calma — ribatté Hasson, ingenuamente felice che il suo stato di benessere fosse così evidente. — Ammetto di sentirmi meglio, ma come fa a essere così sicuro che il merito sia della sua roba? E io come faccio a sapere che non mi trovavo già sull’orlo di un miglioramento naturale?

— Lo crede proprio?

— Sto solo dicendo che deve esistere una tendenza naturale a…

— Superare malattie e scompensi? Certo. La faccenda di cui sta parlando si chiama omeostasi, signor Haldane. È una forza molto grande, ma noi possiamo favorirla oppure impedirla… Ad esempio, come nel caso di quei piccoli crateri dolorosissimi che aveva in bocca da mesi, e che ora non ha più. — Oliver alzò le spalle, comprensivo. — Ma se crede che il suo denaro vada sprecato…

— Non volevo dire questo — ribatté Hasson, infilando la mano in tasca.

Oliver sorrise. — Lo so. Voleva solo dimostrarmi che non ha più paura di me.

— Paura?

— Sì. Il primo giorno che è entrato qui aveva paura del mondo intero, me compreso. Per favore, cerchi di ricordarselo, signor Haldane, perché quando si fa un viaggio è molto importante sapere da dove si parte.

— Lo ricordo. — Hasson guardò per un attimo il piccolo asiatico, poi, d’improvviso, gli porse la mano. Oliver la strinse in silenzio.