Hasson restò in negozio per più di un’ora. Aspettò nel retrobottega che altri clienti fossero serviti, affascinato dai discorsi di Oliver sulla medicina alternativa. Alla fine non era ancora del tutto certo delle credenziali di Oliver e dei suoi aneddoti di guarigioni, però uscì con una borsa piena di nuove aggiunte alla sua dieta quotidiana. Le cose più importanti erano lo yogurt puro e i germi di grano. Si portò via anche la certezza di essersi fatto un amico sincero, e nei giorni che seguirono prese l’abitudine di fare spesso un salto in negozio, in genere solo per scambiare quattro chiacchiere. Nonostante lo spirito commerciale che sbandierava, Oliver parve piuttosto felice della cosa, e Hasson cominciò a sospettare di fornirgli materiale per un nuovo dossier dietetico. Il che non gli dava fastidio; anzi, dovette combattere la spinta a voler realizzare a ogni costo le profezie del cinese, badando a non esagerare i racconti di continui miglioramenti che faceva a Oliver.
I progressi, comunque, erano reali ed esaltanti. Di tanto in tanto si verificava qualche caduta psicologica, a ricordargli che l’esaltazione non è uno stato d’animo normale; ma, come aveva predetto il dottor Colebrook, Hasson scoprì che riusciva a padroneggiare le ricadute con maestria e autosufficienza sempre maggiori. Estese la durata degli esercizi fisici sino a passeggiate di sei o otto ore, percorrendo chilometri e chilometri del terreno collinoso che si stendeva a nord e a ovest della città. In quelle occasioni portava con sé cibo preparato dalle sue stesse mani, e durante la sosta per il pranzo leggeva e rileggeva una vecchia edizione di Literary Lapses di Leacock, acquistata in una libreria di Tripletree.
Aveva comperato il libro con l’intenzione di prepararsi a una riconciliazione con Theo, ma il ragazzo non aveva abbassato le sue barriere, e Hasson era troppo preso dalle proprie cose per cercare di accelerare il corso degli eventi. A mano a mano che migliorava, tornava a concentrarsi su se stesso in maniera ossessiva come quando stava male, badando al proprio benessere con un’avidità egoistica, e in quelle condizioni i problemi degli altri perdevano ogni importanza. Sapeva, a esempio, che il ritorno del bel tempo aveva reso molto più accogliente, di notte, quel fantastico palazzo che era l’Hotel Chinook, e che di conseguenza erano aumentate le attività dei giovani volatori che lo usavano come punto di ritrovo. Sentiva Al Werry parlare spesso di orge all’empatina nell’hotel, raccontare che erano sempre più frequenti le infrazioni che il gergo della polizia riduceva a un comodo elenco di iniziali (CA, collisione aerea; TOP, trasporto di oggetti pesanti; DA, defecazione aerea) e che rappresentavano una grave minaccia per la società, però gli sembravano tutte cose prive di significato. Era isolato dal resto dell’umanità, esattamente come quando volava alto ai limiti dello spazio esterno. Combatteva una sua guerra personale, e non aveva risorse per nient’altro.
Il suo massimo grado di coinvolgimento si verificò una mattina, mentre scalava un ripido pendio a ovest della città, dalla cui cima avrebbe potuto ammirare i laghi Lesser Slave e Utikuma. La terra era immersa in un silenzio profondo: l’estate era appena cominciata, non si udivano nemmeno le voci degli insetti. Non esistevano tracce di presenza umana e si poteva immaginare che lì il tempo scorresse più lento, che gli ultimi ghiacciai del pleistocene si fossero appena ritirati e che le prime tribù mongoliformi dovessero ancora superare lo Stretto di Bering.
Hasson aveva interrotto la salita e stava abituando gli occhi all’ampia panoramica che gli si offriva quando, senza il minimo segno premonitore, una fonte di luce vivida si accese in cielo, a nord. L’erba attorno a lui mandava riflessi simili a minuscole scimitarre, come se sopra la sua testa fosse sospeso un elicottero con un enorme faro acceso, ma il silenzio era ancora perfetto. Hasson si schermò gli occhi e cercò d’identificare l’oggetto, che però sembrava un’anonima fonte di luce circondata da un rosone di sottilissimi aghi di luce. Il cielo pulsava in cerchi blu.
Mentre lui osservava, un secondo punto abbagliante apparve accanto al primo, poi ne nacquero altri, finché si creò un anello di sei soli in miniatura che accecarono Hasson, chiudendolo all’apice di un cono di luce violentissima. L’erba ai suoi piedi divenne incandescente, quasi sul punto d’incendiarsi.
Ebbe un momento di terrore superstizioso, prima che giungesse a salvarlo la sua disciplina mentale. «Specchi» pensò. «Un gruppo di sei volatori. Dai cinquecento ai mille metri di altezza, quanto basta per renderli invisibili contro un cielo così chiaro. Infrazioni: TOP, per cominciare. Infrazioni che intendano presumibilmente compiere: tutto quello che gli viene in mente. Qui non c’è nulla che possa fermarli».
Abbassò lo sguardo e riprese a salire, tendendo le orecchie al minimo rumore (un fruscio d’aria, il suono di voci) che potesse indicargli di trovarsi coinvolto in qualcosa di più serio di un gioco da ragazzi. La luce continuò a traversargli il cammino per un minuto, poi scomparve bruscamente.
Proseguì la salita un altro minuto prima di fermarsi a scrutare l’emisfero del cielo. Non c’era nulla fuori del comune da vedere, ma lui non si sentiva più solo o lontano dal ventunesimo secolo. Il cielo possedeva occhi blu, intelligenti.
Poco dopo, mentre mangiava seduto su una roccia, fu colpito da un pensiero confortante, e si sentì quasi grato al gruppo di volatori invisibili. Nel corso dell’episodio si era sentito preoccupato, teso, apprensivo, ma non spaventato. Non troppo, almeno. C’era stato un certo gelo alla fronte, un vuoto allo stomaco, ma neanche uno della miriade di terribili sintomi che da qualche mese conosceva così bene. Forse aveva compiuto, sul cammino della guarigione, più strada di quanto non comprendesse.
Meditò un attimo su quel pensiero, portandolo alla logica conclusione, poi si alzò e si rimise in marcia in direzione di Tripletree.
— Ma certo! Prendi tutti i corpetti che vuoi. Ne abbiamo un sacco che stanno qui a far niente. — Werry rivolse ad Hasson un sorriso incoraggiante. — Vuoi usare la mia tuta di scorta?
— Non mi serve. Non salirò molto. — Hasson sorrise di rimando, cercando di non sembrare troppo indeciso. — Per un po’ farò solo dei giretti, sul serio. Devo vedere se riesco ad ambientarmi. Sai com’è…
— Credo di no. Pensavo che avessi la fobia dell’aria.
— Cosa te l’ha fatto pensare?
Werry si strinse nelle spalle. — Un’impressione. Non c’è mica da vergognarsi, sai. Un sacco di gente non riesce più a volare dopo un incidente.
— È vero, ma non nel mio caso — disse Hasson, chiedendosi perché sentisse il bisogno di mentire.
— Vuoi che venga su con te, tanto per restare sul sicuro? — Werry mise giù lo straccio che aveva usato per lucidarsi gli stivali e si tirò in piedi. L’uniforme lo faceva apparire estraneo alla tranquillità domestica della sua cucina. Di ritorno dalla passeggiata, Hasson lo aveva trovato solo in casa e aveva deciso di non porre tempo in mezzo alla realizzazione del suo esperimento.
— Ce la faccio da solo — rispose, incapace di dominare il tremito della voce.
— Okay, Rob. — Werry lo fissò con espressione dispiaciuta. — Non capisco mai dove finisce la gentilezza e dove comincia l’invadenza. Scusa.
— No, scusa tu. È solo che mi sentirei più a posto se…
— È quello che ti diceva Rob. Questa mattina, in ufficio, Henry Corzyn, uno dei miei uomini, quello grasso, ha cominciato a raccontare che questo mese è a corto di soldi, e Victor, quello più giovane, gli ha offerto un prestito. Henry ha detto che non era ancora arrivato a quel punto e che non voleva rubare denaro a nessuno. E sai cos’ha fatto Victor?
Hasson ammiccò. — Ha sospirato di sollievo?
— No. Il ragazzo ha preso un po’ di dollari dal portafoglio e li ha infilati nella tasca della camicia di Henry, ed Henry li ha lasciati lì. Aveva appena detto che non accettava prestiti da nessuno, e ha lasciato lì i soldi!