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— Si vede che voleva il prestito.

— È a questo che volevo arrivare — ribatté Werry, e nei suoi occhi c’era qualcosa che sembrava angoscia. — Voleva il prestito, però ha detto di no, e allora come faceva Victor a saperlo? Se fosse successo a me, avrei creduto a Henry, lo avrei piantato in asso, e probabilmente lui mi avrebbe tirato insulti fino al prossimo Natale. Oppure avrei capito male alla rovescia e lo avrei costretto ad accettare i soldi e avrei urtato i suoi sentimenti, e lui avrebbe finito lo stesso col maledirmi fino a Natale. È questo che vorrei sapere: come ha fatto quel ragazzino di Victor a capire cosa doveva fare?

— Si sarà imbottito d’empatina — buttò là Hasson.

— Impossibile! Nessuno dei miei… — Werry s’interruppe e rivolse un’occhiata solenne ad Hasson. — Immagino che fosse una battuta.

— Non era una gran battuta — si scusò Hasson. — Senti, Al, tu non sei l’unico. Certa gente è capace di capire gli altri per istinto, e noialtri possiamo solo invidiarli. Anche a me piacerebbe essere fatto così.

— Io non sono invidioso. Semplicemente perplesso. — Werry sedette di nuovo e ricominciò a strofinare la punta già lucidissima di uno stivale. — Ti va un barbecue, stasera?

Hasson rifletté sull’idea e la trovò attraente. — Mi sembra magnifico. Non sono mai stato a un vero barbecue.

— Vedrai che ti piacerà. Buck ha ospiti che vengono da fuori città, per cui puoi scommetterci l’anima che ci sarà un sacco di ottimo cibo e ottima roba da bere. Fa sempre le cose in grande.

Hasson capì solo allora. — Stiamo parlando di Buck Morlacher?

— Già. — Werry lo fissò con la calma innocenza d’un bambino. — Buck dà feste grandiose, sai, e non c’è problema. Posso portare tutti gli ospiti che voglio.

«In uno di noi due c’è qualcosa che non va» pensò Hasson, incredulo. «Al, tu qui dovresti rappresentare la legge».

— Viene anche May — disse Werry. — Andremo tutti e tre verso le otto e ci scoleremo tutto quello che troviamo. Okay?

— Non vedo l’ora. — Hasson tornò nell’ingresso, scelse un corpetto antigravitazionale fra i molti che si trovavano lì e controllò la batteria. Quel gesto familiare evocò una sensazione di disagio, e la fiducia che provava prima cominciò a svanire. Era possibile, dopo tutto, che si stesse spingendo troppo in là, che pretendesse cose assurde. Esitò un attimo, poi si mise il corpetto a tracolla e uscì. Il sole stava declinando verso ovest, cubi d’ombra riempivano gli spazi fra una casa e l’altra, e l’aria aveva brividi di freddo. Hasson stimò che gli rimanevano meno di due ore di luce, ma per i suoi scopi erano sufficienti.

Gli ci vollero quaranta minuti per raggiungere una zona deserta. Antiche miniere avevano sfigurato per sempre il terreno, al punto da rendere impossibile qualsiasi forma d’agricoltura. Di tanto in tanto spuntava in cielo un volatore che entrava o usciva da Tripletree, ma lui sapeva per esperienza che su un terreno del genere sarebbe stato praticamente invisibile a chi viaggiava in aria. Controllò l’area che aveva attorno, chiara e nitida nella luce rossastra, e cominciò ad allacciarsi il corpetto AG.

Era un modello standard, con cinghie troppo sottili per le sue dita. Nel volo normale non erano necessarie cinghie troppo pesanti, perché il campo antigravitazionale circondava sia il corpetto sia il volatore nella stessa maniera; non si verificavano le differenze tipiche dei paracadute più recenti o dei primi modelli per truppe da sbarco. I corpetti in dotazione alla polizia erano più pesanti e dotati di cinghie più robuste, per motivi che non avevano nulla a che fare con le leggi della fisica: lo scopo era garantire che il poliziotto non si staccasse dal corpetto AG nella lotta aerea che a volte si verificava durante un arresto. Hasson era abituato a cinghie e fibbie pesanti. Si sarebbe trattato di un supporto puramente psicologico, ma avrebbe preferito un corpetto da poliziotto per quella cruciale ascesa in cielo.

Terminò i preliminari di volo. Rimandare oltre era controproducente. Girò il comando principale della cintura sulla posizione d’avvio.

Non ci furono effetti percepibili. Hasson sapeva che era perché il terreno intersecava il campo antigravità, spezzandone le linee di forza, disposte come gli strati di una cipolla. Sapeva anche che gli bastava spiccare un balzo per alzarsi in aria, dove avrebbe fluttuato, in equilibrio geometrico, a breve distanza dall’erba ingiallita e polverosa.

Piegò le ginocchia e alzò un po’ i tacchi, preparandosi all’esplosione di energia muscolare che era l’unico requisito indispensabile per trasformarlo da semplice uomo a una specie di dio. Passarono i secondi. Passarono secondi terribili, col cuore che batteva forte, il sangue che rombava nelle vene, e Hasson era sempre attaccato alla terra, come le rocce nude che aveva attorno. Un allarme radio al suo polso cominciò a emettere un ronzio leggero ma insistente, per ricordargli che stava sprecando la batteria senza motivo. Le cosce gli dolevano per lo sforzo di restare immobili in quella che doveva essere solo una posizione momentanea. Eppure non riusciva a saltare. Il sudore gli colava sulla fronte e sulle guance, i muscoli dello stomaco erano serrati dalla nausea. Eppure non riusciva a saltare…

— All’inferno — disse, avviandosi nella direzione da cui era giunto, e in quel momento una parte della sua mente (la sfaccettatura più intollerante, più indomita del suo carattere, il suo lato che considerava la vigliaccheria il peggiore dei peccati) agì da sola. Quello che doveva essere un normalissimo passo diventò un balzo in aria su una gamba sola, e Hasson si trovò a veleggiare senza più nulla sotto i piedi.

Nauseato, perplesso e impaurito, tese la mano verso i comandi, deciso a spezzare il campo antigravitazionale. «Aspetta» urlò una voce muta. «Non sprecare questa possibilità. Adesso non sei più a terra, e stai bene, e puoi farcela. Sfrutta l’occasione al meglio. Vola, uomo, VOLA!»

Hasson non credeva a quello che gli stava succedendo: toccava il selettore d’altitudine, si alzava un poco più in alto per potersi spostare in orizzontale. Il terreno cominciò a rimpicciolire sotto di lui. Quello era il momento.

Doveva solo spostare il comando principale, e sarebbe volato verso il tramonto metallico, libero dalla terra e dai suoi limiti sciocchi, con nuovi orizzonti che avanzavano da ogni lato e niente sotto, attorno o sopra di sé se non la purezza delle correnti aeree…

No! No! Mai!

Spense il campo antigravitazionale e piombò sull’erba secca, rigido come un manichino di legno. Lacci verdastri gli imprigionarono i piedi. Cadde in avanti e rotolò di fianco, gridò per il dolore che gli investì i fianchi e il fondoschiena. La terra lo afferrò e lui si strinse alla terra, aspettando che tutte le sensazioni del volo abbandonassero il suo corpo.

Quando si rialzò, pochi minuti dopo, poteva muoversi benissimo, e di questo ringraziò il cielo. Aveva imparato una lezione impagabile al prezzo d’un breve periodo di confusione mentale e dolore fisico. Adesso che sapeva per certo che i giorni del suo volo erano finiti, sarebbe riuscito a preparare piani ragionevoli, realistici, per il futuro a lunga scadenza.

Doveva aspettarselo. Al Werry scese dabbasso, per andare al barbecue, in uniforme. Aveva perfino la pistola alla cintura. Trovò Hasson solo in soggiorno, gli lanciò un sorriso feroce e avanzò su lui a braccia spalancate, minaccioso come un granchio, menando complicati colpi per aria che terminarono in leggeri buffetti sulle guance di Hasson.

— Dov’è May? — sussurrò. — C’è tempo di scaldarci con qualcosa prima di partire?

Hasson indicò la cucina con la testa. — È lì dentro con due ragazzi che sono venuti a tenere compagnia a Theo.

— Allora c’è tempo per un bicchierino veloce. — Werry arrivò alla credenza e prese una bottiglia. — Va bene il whisky di segala? Siamo riusciti a rieducare i tuoi gusti?