— Va benissimo. Con molta acqua.
— Questo sì che è il ragazzo che conoscevo. — Werry riempì due bicchieri abbondanti e ne porse uno ad Hasson. — Com’è andata oggi pomeriggio? Sei finito tra le nuvole?
Hasson sorseggiò il liquore prima di rispondere. Quello era il primo momento cruciale della sua nuova vita. — È andata malissimo. Ho fatto un salto di pochi metri, e l’ho odiato.
— È naturale. Ti ci vorrà un po’ per riabituarti a tornare su.
— No, è una cosa molto più seria — disse Hasson, tenendo la voce bassa. — Ho finito di volare. Non tornerò più su.
— A ogni modo è un passatempo troppo sopravvalutato — rispose Werry, imbronciato, fissando il bicchiere. — Ti daranno un lavoro d’ufficio, no?
— Penso di sì. La fobia del volo è una malattia professionale prevista dalla legge.
Sulla faccia di Werry tornò l’espressione d’allegria. — Allora non è poi una gran tragedia. Bevi e dimentica. — Stava dando il buon esempio, quando May Carpenter spuntò dalla cucina. Indossava stivaletti dorati, pantaloni, e un maglione di lana color oro. Guardò Werry e chiuse di colpo la bocca.
— Mio Dio — disse — non vorrai uscire vestito così! Werry si guardò. — Cosa c’è che non va nel mio vestito?
— Cosa c’è che non va? — May diede un’occhiata ad Hasson, poi si rivolse nuovamente a Werry. — Al, è una festa in costume, oppure hai intenzione di arrestare tutti?
Werry agitò la destra, cercando di calmarla. — Tesoro, questo non è un semplice ricevimento. Buck ha ospiti molto importanti, o almeno pensa che siano importanti, e vorrà fargli vedere che è in amicizia col capo della polizia.
May sospirò, deliziosamente sconsolata. — Vai in cucina a dare la buonanotte a Theo.
— Non ce n’è bisogno — rispose Werry. — Non si accorge mai se sono in casa o fuori. Andiamo, gente. È assurdo rimanere qui a berci la nostra roba quando possiamo bere la roba di qualcun altro. Non è giusto, Rob?
Hasson mise giù il bicchiere. — Il tuo ragionamento è perfetto, dal punto di vista economico.
— Sono pronta — disse May. — Voliamo o andiamo in macchina?
— In macchina. — Werry spalancò la porta e fece uscire May con esagerata cortesia. — Rob non ti ha detto che non può volare?
— No — rispose May senza interesse, avviandosi alla porta d’ingresso.
— È vero, non posso più volare — disse Hasson alla schiena della donna, tanto per fare pratica di quella confessione. Lei parve non accorgersene. Quando salirono sull’auto della polizia, Hasson si sistemò sul sedile posteriore. Si sentiva solo in quel buio spazioso; desiderava avere con sé una donna. Più o meno gli andava bene una donna qualsiasi, bastava che gli tenesse compagnia. La macchina scivolava silenziosamente fra le strade buie e lui scrutava con nostalgia le finestre delle case che sorpassavano: rettangoli gialli, luminosi, dietro alcuni dei quali s’intuivano scene di vita familiare, con le figure immobilizzate a metà dei gesti perché ne coglieva solo visuali brevissime. Si distrasse cercando di inventare personalità e storie per quelle figurine come di cera, ma sentiva il profumo delicato di May, e i suoi pensieri tornavano di continuo a lei.
Settimane di osservazione discreta non gli avevano fatto capire più a fondo la personalità di May. Ancora non riusciva a comprendere cosa avesse spinto Werry e lei a mettersi assieme. Per quanto gli era dato di sapere, Werry offriva cibo e alloggio a May, talora anche a sua madre, e in cambio lei gli dava una mano nella conduzione della casa. Era da presumere che fra loro esistesse un rapporto sessuale, ma c’era una totale mancanza di affetto reciproco che Hasson trovava stupefacente e inquietante.
«È così che va la vita sulla terra?» si chiese. L’istinto lo aveva spinto a rifiutare il discorso di Werry, l’asserzione che lui e May fossero non-gente, figurine terribilmente realistiche che imitavano i movimenti della vita; e se quella fantastica ipotesi fosse stata vera? Pensieri insidiosi, vergognosi, presero a insinuarsi nella mente di Hasson. Perché non gettare a mare tutti gli idioti preconcetti sull’onore e la verità? Perché non considerare la situazione come un semplice problema di logica o matematica? X è un uomo tornato in salute, con una necessità sempre maggiore di una valvola di sfogo per le spinte biologiche. Y è un uomo incapace di provare amore, odio o gelosia. Z è una donna per la quale il concetto di fedeltà significa ben poco. La relazione attuale può essere espressa dalla formula X + (YZ), ma perché non operare una lieve manipolazione algebrica, del tipo di quelle che si fanno sempre, e trasformarla in Y + (XZ)?
Hasson osservò la figura di May, permettendosi per un attimo di considerarla una macchina per l’amore, un meccanismo umano che senza dubbio avrebbe risposto in un certo modo se solo lui avesse premuto i pulsanti esatti; poi un’ondata enorme di autodisgusto cancellò tutti i simboli dal suo cervello. Al Werry era un essere umano, non un’astrazione matematica, e se le cose che raccontava di sé erano vere significava che dalla vita aveva ottenuto ben poco, e che quindi bisognava proteggerlo, non tradirlo. Anche May era un essere umano, e se ai suoi occhi appariva bidimensionale doveva essere perché lui non riusciva a scorgerne le vere dimensioni.
La macchina aveva risalito un lieve pendio alla periferia ovest di Tripletree e adesso viaggiava lungo una strada privata, circondata da rododendri e altri arbusti che Hasson non conosceva. Dopo alcuni secondi di oscurità totale, emerse su una spianata da dove una casa illuminata dominava una fulgida visuale della città. Tripletree era una manciata di gioielli sparsi in giro, un ammasso di pietre preziose di ogni tipo e colore, circondato da collane di diamanti e topazi. In alto, le autostrade aeree brillavano di colori vivaci, generosamente disseminate delle luci dei volatori notturni, e ancora più sopra poche stelle di prima grandezza aumentavano quell’immensità di luce col loro paziente scintillio. In un patio a fianco della casa erano accesi lampioncini alla veneziana, si udiva il suono della musica, e figure umane si accalcavano attorno alla colonna di fumo di quella che sembrava una grande griglia a carbone.
— Dobbiamo avere sbagliato indirizzo — disse Hasson, ironico.
— No, è proprio la casa di Buck — ribatté Werry, fermando la macchina. — Conoscerò bene Tripletree, no?
Scesero dall’auto e s’incamminarono verso l’epicentro delle attività. May si aggiustava i capelli e Werry lisciava diverse parti della sua uniforme, sino alla perfezione. Hasson era rimasto un po’ indietro. Provava quel curioso insieme di esitazione e aspettativa che sentiva sempre arrivando a una festa già iniziata. Pensava che il loro ingresso sarebbe passato inosservato, e invece la figura alta, robusta di Buck Morlacher si avvicinò immediatamente. Aveva un grembiulino vecchio stile allacciato ai fianchi, reggeva una forchetta molto lunga, e il calore del carbone aveva incendiato i triangoli rossi delle sue guance. Si diresse subito verso May, mostrando di non vedere né Werry né Hasson. Le mise un braccio attorno alle spalle e mormorò in fretta nei suoi capelli biondi. May ascoltò un attimo e cominciò a ridere.
— ’Sera, Buck — disse Werry, accomodante. — Mi pare che la festa vada bene. Ho portato Rob per fargli vedere come facciamo certe cose noi dell’Alberta.
Morlacher lo guardò con occhi freddi, continuando a ignorare la presenza di Hasson, e disse: — Il liquore è vicino alla fontana.
Werry rise. — Non c’è bisogno di sapere altro. Vieni, Rob. — Afferrò Hasson per il braccio e lo guidò lungo il patio.
Hasson rifiutò di muoversi. — Forse May ha voglia di bere qualcosa.
— A May posso pensarci io — rispose Morlacher, piegando la testa per soppesare Hasson.