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— Non c’è di che vergognarsi — disse, con accento del nord.

— Cosa? — Hasson cominciò ad asciugarsi la faccia. — Non c’è di che vergognarsi. È quello che stavo raccontando a tutti. Certa gente non può usare i corpetti, ecco tutto.

— Credo che lei abbia ragione. — Hasson represse la voglia di raccontargli che aveva volato per moltissime ore, e che al momento la cosa gli era proibita per ragioni mediche. Se cominciava a giustificarsi col primo che incontrava, avrebbe continuato così per tutto il resto della vita. E poi c’era una bugia: non aveva alcun motivo fisiologico per evitare il volo.

— D’altra parte — continuò l’uomo dalla faccia rossa — certa gente affronta l’aria come un’anitra affronta l’acqua. Io avevo quasi quarant’anni quando mi sono preso il primo corpetto, e nel giro di una settimana volavo tra le nuvole come un uccello.

— Che meraviglia — rispose Hasson, allontanandosi.

— Sì, e continuo a volare in una zona pericolosa. I ragazzini non ci mettono niente ad arrivarti addosso apposta, e a farti cadere giù per venti o trenta metri. — L’uomo si interruppe per ridacchiare. — Comunque non mi preoccupo. Ho lo stomaco forte.

— Grande. — Hasson corse alla porta, poi gli venne in mente che un compagno di viaggio chiacchierone poteva proprio essere quello che gli occorreva per non pensare troppo durante la traversata dell’Atlantico. Si fermò e aspettò che l’altro lo raggiungesse. — Però va in Canada in idrovolante.

— Per forza — disse l’uomo, battendosi le mani sul petto. — I miei polmoni non sopportano più il freddo, se no mi risparmierei il prezzo del biglietto. Un furto bello e buono, ecco cos’è.

Hasson annuì, mentre rientrava in sala d’attesa col suo nuovo amico. Il volo personale era facile ed economico, e con l’avvento dei corpetti antigravità i metodi di trasporto aereo tradizionale avevano conosciuto un declino improvviso. All’inizio era stata solo una faccenda di risparmio, poi i cieli si erano riempiti di gente: milioni di persone liberate, irrefrenabili, scatenate, incontrollabili, che rendevano impossibile il volo agli aerei, se non in corridoi minuziosamente tenuti sgombri. Il traffico aereo sull’Atlantico del Nord, un tempo così redditizio, era stato sostituito da imbarcazioni da carico che trasportavano anche una manciata di passeggeri, senza voli frequenti, e il prezzo del biglietto era aumentato di conseguenza.

Raggiunti gli altri passeggeri, Hasson scoprì che l’uomo si chiamava Dawlish e che doveva andare a Montreal a trovare un cugino ammalato, forse nella speranza di ereditare un po’ di soldi. Hasson conversò con lui per dieci minuti, rassicurato dal senso di calma che si espandeva radialmente nel suo sistema nervoso per effetto delle capsule di Serenix. Anche il sapere che quella sensazione era prodotta artificialmente non la rendeva meno preziosa, e quando arrivò la lancia per trasportare i passeggeri del volo Bo 162 allo scafo, lui provava un’euforia silenziosa.

Durante il tragitto sulle acque increspate sedette vicino alla prua della lancia, piacevolmente eccitato al pensiero dei tre mesi all’estero che l’attendevano. L’idrovolante sembrava preistorico, con griglie sui tubi aspiranti della turbina e una corazzatura sui bordi del profilo aerodinamico, ma ormai Hasson nutriva la fiducia che la grande macchina sospesa sulla sua testa fosse in grado di portarlo dappertutto. Salì a bordo, respirando il caratteristico aroma di olio per motori, corde bagnate dall’acqua salmastra e cibo caldo, e sedette dalla parte del finestrino, quasi all’estremità della zona passeggeri. Dawlish gli si accomodò di fronte, con la schiena rivolta al divisorio mobile che permetteva di ampliare o ridurre lo spazio riservato alle merci secondo la necessità.

— Belle macchine, queste qui — disse Dawlish, con l’aria dell’intenditore. — E hanno una storia molto interessante.

Come Hasson prevedeva, Dawlish si lanciò in una dissertazione sulla travagliata storia degli idrovolanti. Da quel resoconto disordinato seppe che erano scomparsi dal mondo dell’aviazione negli anni Cinquanta, causa la difficoltà di pressurizzare lo scafo per le operazioni ad alta quota richieste dai motori a getto, e che erano ricomparsi nel ventunesimo secolo quando, di necessità, tutti i mezzi aerei dovevano volare a bassa quota e a velocità ridotta.

In un’altra occasione Hasson si sarebbe sentito annoiato o irritato, ma in quel momento Dawlish gli era d’aiuto. Riconoscente, si concentrò sul fiume di parole dell’altro, mentre i quattro motori si accendevano e la nave cominciava a rullare nel vento. Nonostante le capsule, ebbe un momento di panico: il decollo sembrava interminabile, le onde martellavano con rumore di tuono il fondo della carena, ma d’improvviso il rumore cessò e l’imbarcazione si alzò tranquillamente in volo. Hasson guardò il solido ponte sotto i suoi piedi e si sentì al sicuro.

— … Le turbine a propellente unico andrebbero bene anche ad alta quota — stava dicendo Dawlish — ma se si va a sbattere contro qualcuno a bassa quota è logico che il corpo sarà abbastanza tenero e le schermature di protezione reggeranno il colpo. Provi a immaginare il cozzo con un corpo congelato a quasi mille chilometri l’ora! Il Titanic non sarebbe… — Dawlish s’interruppe e sfiorò il ginocchio di Hasson. — Scusi, giovanotto. Non dovrei dire cose del genere.

— Sto benissimo — rispose Hasson, mezzo addormentato, accorgendosi d’improvviso che per un uomo distrutto come lui quattro capsule di Serenix erano troppo. — Continui pure. Scarichi il suo sistema.

— Cosa vorrebbe dire?

— Niente. — Hasson desiderava sinceramente essere diplomatico, ma ormai gli era difficile cogliere le sfumature di significato delle sue stesse parole. — Pare che lei ne sappia parecchio sul volo.

Apparentemente irritato dal tono di Hasson, Dawlish distolse lo sguardo. Teneva semisocchiuse le palpebre. — Certo che questo non è volare sul serio. Sguazzare tra le nubi, quello sì! È impossibile capire cosa significhi volare se non ci si infila un corpetto e non si sale di cinque, seicento metri, con niente sotto i piedi, solo aria. Vorrei tanto poterle raccontare com’è.

— Sarebbe… — Hasson rinunciò al tentativo di parlare. L’universo della coscienza si allontanò da lui a velocità vertiginosa.

Era sospeso a tremila metri al di sopra di Birmingham, la massima altezza raggiungibile senza un impianto speciale di riscaldamento della tuta, al centro di una sfera di chiarore lattiginoso creata dai suoi faretti… poco lontano, il corpo del suo compagno morto, Lloyd Inglis, fluttuava sostenuto dall’impianto di stabilità altimetrica, eseguendo una strana danza nell’aria… e, appena al di sotto del raggio dei faretti, era in agguato l’assassino di Lloyd…

Quando l’attacco iniziò, non ci furono voci umane: solo il sibilo sempre più forte dell’aria quando i campi antigravitazionali dei due corpetti si annullarono a vicenda, facendo precipitare come pietre i due uomini…

Ci volle un minuto per piombare giù da tremila metri, un minuto orribile, straziante, in cui l’urlo del vento a velocità limite diventò lo squillo delle campane dell’inferno. In quel minuto le corsie di bassa quota per pendolari, splendenti come la galassia delle luci d’individuazione di decine di migliaia di volatori, s’ingrandirono voracemente sotto di lui, aprendosi come un fiore carnivoro. In quel minuto, il dolore e lo spavento lo privarono della capacità di pensare, e la sua mente era ancora più sconvolta dall’osceno stridore del corpo dell’assassino psicopatico vicino a lui…

E poi, quando era così tardi, quando era così disperatamente tardi, riuscì finalmente a liberarsi, a guizzare via, e il corpetto cercò inutilmente di riportarlo verso l’alto… e l’impatto… l’impatto terrificante col suolo… le ossa che si fracassavano, la terribile esplosione delle vertebre spinali…