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— Lei ha da fare col cibo. — Hasson si rivolse direttamente a May. — Il solito? Whisky e birra?

— Io… — Lei lo fissò a occhi spalancati, agitata. — Non ho ancora sete.

Morlacher aumentò la presa sulla spalla di May. — Le servirò da bere io appena ne avrà voglia. Che fretta c’è?

Werry strinse più forte il braccio di Hasson. — Giusto, Rob. Qui ognuno fa da sé.

Morlacher annuì lentamente, e sul suo viso apparve un’imprevista aria di soddisfazione. — A proposito del fare tutto da sé, Werry, oggi ho fatto qualcosa a cui avrebbe dovuto pensare da un pezzo il capo della polizia.

— Sì? — Werry lasciò andare il braccio di Hasson. — Cosa?

— Sai quel mio cane nero? Quello che ho cercato di ammazzare l’anno scorso perché aveva, strappato un pezzo di gamba a Eddie Bennett?

— Lo hai sistemato?

— No. L’ho messo al lavoro. Oggi Starr e io siamo andati alla fattoria e l’abbiamo legato e l’abbiamo portato all’hotel e l’abbiamo sguinzagliato lì. I bastardi che ci andranno stanotte dovranno sparire maledettamente in fretta. — Morlacher rise, mettendo in mostra i suoi denti disumanamente forti.

Werry sembrava ammirato. — Le cose dovrebbero cambiare. Manderò tutti i giorni uno dei miei ragazzi a portargli da mangiare.

— No. Voglio che quella belva sia sempre affamata. D’ora in poi è a dieta di angeli. Capito?

— Ehi, questa sì che è buona — disse Werry ridacchiando. Si voltò e si allontanò lungo il patio, salutando a salamelecchi le persone che conosceva, dando l’impressione di essersi scordato di Hasson e di May. Hasson, tradito, lo seguì. Notò che Morlacher e May scomparivano in direzione della casa. Raggiunse Werry a un bar mobile, dove due camerieri in giacca bianca servivano il liquore in pesanti calici decorati da rubini falsi.

— Fammi un favore — disse Werry ad Hasson, appena ebbero ricevuto i loro drink — cerca di non far arrabbiare Buck. Serve solo a rendermi la vita difficile. Perché ti sei messo a discutere con lui, fra l’altro?

— Una buona domanda — rispose Hasson con voce gelida. — Ma penso di avere dimenticato la risposta.

Werry era perplesso. — Spero che non comincerai a prendermi per i fondelli, Rob. Io vado a fare un giro. Ci vediamo. — Si allontanò verso un gruppo di uomini e donne che stavano ballando in un angolo del patio.

Hasson lo fissò, esasperato, poi si chiese cosa poteva fare nelle quattro o cinque ore successive. In giro c’erano una trentina di persone. Molti indossavano vestiti da mezza stagione di varie fogge, per difendersi dal freddo di inizio estate, col risultato che l’atmosfera generale era un sorprendente insieme di party e di eroico picnic. Moltissimi ospiti portavano medaglioni d’oro, tutti identici. Hasson parlò con un uomo di mezza età, magro e scosso dai brividi, che ingurgitava premeditatamente un bicchiere dopo l’altro, con l’aria di chi vuole dimenticare l’occasione, e scoprì che gli ospiti facevano parte di un’associazione di camere di commercio dell’ovest americano. Stavano compiendo un giro di cortesia della confederazione canadese. L’uomo dava l’impressione di avere profondi rimpianti per il fatto di trovarsi così a nord della sua casa di Pasadena.

Hasson restò un po’ con lui, a discutere gli effetti della latitudine sul clima. Altri ospiti si unirono a loro, e quando sentirono l’accento inglese di Hasson la conversazione divenne un acceso dibattito sugli effetti della latitudine sul clima. Hasson, tutt’altro che annoiato, provava un grande piacere nell’essere di nuovo capace di mischiarsi e interagire con estranei. Bevve, ebbe cibo dai cuochi alla griglia, bevve ancora, danzò con diverse donne che avevano il medaglione d’oro, e fumò il primo sigaro dopo mesi.

Nel frattempo, osservò che Morlacher e May si erano assentati per quasi un’ora, ma ormai aveva raggiunto una condizione di ovattata benevolenza ed era disposto ad ammettere che May poteva essere andata a vedere la collezione di francobolli del loro ospite. E poi capiva chiaramente che i problemi degli altri non lo riguardavano. La vita, a quanto pareva, poteva essere perfettamente accettabile, purché si decidesse di vivere e lasciar vivere. L’idea colpì Hasson, ex poliziotto ed ex ficcanaso, con tutta la forza di un concetto filosofico nuovo di zecca, e ne stava esplorando le implicazioni quando la musica si spense all’improvviso e tutti vicino a lui si girarono a guardare qualcosa che stava cominciando a succedere al centro del patio. Si spostò in una zona libera per poter vedere meglio.

Buck Morlacher e altri due uomini stavano sistemando un proiettore bilaser a carrello. Frenarono le ruote, mossero qualche pulsante, e al di sopra della macchina apparve la scintillante immagine dell’Hotel Chinook. La rappresentazione tridimensionale era alta quasi tre metri e mostrava l’albergo come doveva essere stato concepito dalla mente dell’architetto, completo di ascensori laterali e tetto a giardini. Tra i presenti si levò un mormorio d’ammirazione.

— Dolente d’interrompere la festa, signore e signori, ma immagino sapeste già che doveva esserci il trucco — annunciò Morlacher, con un sorriso che oscillava fra il candido e il timido.

— Comunque non preoccupatevi, vi ruberò solo un minuto del vostro tempo, e credo vorrete ammettere che ne vale la pena. Sto per presentarvi alcune delle più fantastiche meraviglie che l’Alberta Centrale può offrire agli uomini d’affari interessati a conquistare nuovi clienti e nuovi mercati. Sì, lo so che il corridoio aereo occidentale s’interrompe a qualche centinaio di chilometri a sud di qui, ma questo è solo un particolare insignificante se pensate al potenziale di nuovi affari che la nostra zona offre.

Morlacher estrasse un foglio di carta e cominciò a leggere statistiche che avvaloravano la sua tesi. Parecchi degli ospiti sembravano piuttosto interessati, anche se diverse persone si allontanavano dai bordi del cerchio in direzione del bar. Hasson scoprì che il suo calice era vuoto. Si voltò per andare a fare rifornimento, ma si bloccò a metà strada. Ora si udiva un nuovo suono.

Era un suono inatteso, alieno, incomprensibile, un orribile incrocio fra un gemito e un urlo che evocava immediatamente spiacevoli pensieri di demoni e spiriti alfieri di morte, che raggelava il cuore. Morlacher smise di parlare. Il gemito crebbe di volume, prese a rimbombare su tutti loro come una sirena.

«Viene dall’alto» pensò Hasson, ma prima che riuscisse a sollevare gli occhi verso il cielo buio ci fu una specie d’esplosione molliccia al centro del patio, e parecchie donne urlarono d’orrore. Hasson si fece avanti e vide qualcosa di nero, d’incredibilmente insanguinato, spappolato a terra.

Per un istante non riuscì a identificare quella cosa macabra (poteva essere un folle, incomprensibile insieme di incubi cimiteriali), poi capì di avere sotto gli occhi il corpo spezzato, distrutto, di un grande mastino nero.

Rivoli rossi scendevano in tutte le direzioni. Dallo stato della carcassa del cane, stimò che fosse precipitato da parecchie centinaia di metri d’altezza.

«Per poco una volta non è successo a me» pensò stupefatto. «Ma adesso sto bene. Non m’importa di quel cane, perché adesso sto bene».

— Maledetti bastardi! — urlò Morlacher, balzando sulla piattaforma del proiettore bilaser. l suoi vestiti erano sfigurati da una striscia diagonale di macchie rosse. Agitò il pugno contro il cielo e contro i suoi invisibili abitanti, e il suo corpo, preso nel cono dei raggi laser, fece dissolvere e scomparire l’immagine dell’Hotel Chinook, come una diapositiva proiettata su uno schermo di fumo.

— Maledetti bastardi merdosi! — latrò Morlacher, e il suo corpo massiccio tremava di furia incontrollabile. — Questa ve la farò pagare.

Abbassò lo sguardo, parve ricordarsi della presenza degli ospiti stranieri, e fece un visibile sforzo per controllarsi.