Un silenzio stupefatto era sceso sul patio, interrotto solo dai deboli gemiti di una donna che piangeva. Morlacher prese un fazzoletto e cercò di ripulirsi, mormorando scuse alle persone più vicine. Scese dalla piattaforma e cominciò a fendere la folla muta, frugando qua e là con gli occhi. Hasson immaginò che stesse cercando Al Werry.
— Che scalogna, Al — mormorò tra sé Hasson, tornando al bar. — Il mestiere di poliziotto non è dei più allegri.
7
Avvolto in un bozzolo d’interesse egoistico, Hasson continuò a vivere il più tranquillamente possibile, dedicando ogni attenzione al proprio benessere.
In quello stato d’animo isolazionista e miope, l’importanza che attribuiva agli avvenimenti si riduceva su scala logaritmica, a seconda della loro lontananza dal centro del proprio essere. Le notizie degli affari del mondo e dei cambiamenti di strategie politiche, ad esempio, erano così insignificanti che quasi non arrivavano alla sua coscienza. Vide che, nei giorni successivi al barbecue, Al Werry aveva un sacco da fare, che passava lunghe ore a inseguire vagabondi dell’aria, ma anche quello era un fatto lontano dal cuore della realtà, e non gli interessava più delle azioni dei personaggi di una brutta olocommedia.
Gli avvenimenti davvero significativi nella vita di Hasson, gli eventi che riuscivano a risvegliare la sua immaginazione e a dominare i suoi pensieri, erano di tipo assolutamente diverso: la scoperta che gli si stava abbronzando la pelle, dopo le numerose sortite all’aria aperta; la capacità sempre maggiore di marciare per chilometri su terreni che prima l’avrebbero sfinito anche a passo normale; i piaceri epicurei che aveva imparato a trarre da arti nobili come la respirazione equilibrata e il buon sonno. Fece del vivere uno scopo assoluto, una meta raggiunta di continuo, e col passare dei giorni si sentì sempre più protetto, sicuro, inespugnabile…
Una passeggiata di cinque ore su campi ondulati aveva lasciato Hasson accaldato, impolveralo e stanco. Fece una doccia fredda e indossò vestiti puliti, poi si accorse che si era scordato di consumare la sua razione quotidiana di lievito.
Oliver Fan gli aveva promesso che a lungo andare il sapore di quella polvere marrone, aromatica, gli sarebbe piaciuto, e per quanto i progressi in quella direzione fossero scarsi, ne consumava coscienziosamente cinquanta grammi al giorno. Prese la scatola del lievito e scese al pianterreno, poi si fermò un attimo nel minuscolo ingresso quando udì una voce familiare, nasale, provenire dalla cucina. Ginny Carpenter doveva essere tornata dal suo soggiorno nella Columbia Britannica.
Entrando in cucina vide Werry e May Carpenter seduti al tavolo rotondo con due bicchieri di birra davanti, mentre Ginny, acida e vivace come sempre, stava appoggiata di schiena a uno scaffale, a braccia incrociate, e riferiva i particolari del suo viaggio.
— Toh, guarda chi c’è — disse. — Il nostro malato tranquillo.
— Sto benissimo, grazie — rispose cortesemente Hasson. — E lei come sta? — Si voltò, salutò Werry e May, poi prese un bicchiere da un credenzino.
Ginny lo esaminò con aria critica, ammiccò un poco, poi attaccò a parlare come se lui non fosse più lì. — Ha un aspetto un po’ più umano, se non altro. Ve l’avevo detto che aveva solo bisogno di buon cibo e d’una cucina genuina.
Hasson le sorrise. — È per questo che se n’è andata?
La faccia di Ginny si alterò. Guardò Werry con espressione scandalizzata, in cerca d’aiuto.
— È inutile che cerchi di prendertela con Rob — disse Werry, deliziato. — Di questi tempi taglia come un rasoio. Dev’essere per via di quella polvere strana che prende sempre.
— Che roba è? — Ginny osservò sospettosamente Hasson che inghiottiva una cucchiaiata di lievito e la mandava giù con l’acqua del rubinetto.
— Lievito. Lo prende al negozio di cibi naturali della Seconda Strada.
— Il negozio di Olly Fan? — Ginny uscì in un latrato di derisione. — Se uno va in un posto del genere ha bisogno di una ritoccata al cervello.
— Mamma! — esclamò May Carpenter. — Non è una cosa molto gentile da…
Ginny le fece cenno di stare zitta. — So tutto di quei cinesi. Li ho visti centinaia di volte ai loro negoziucoli d’angolo. Lo sai cosa fanno per passare il tempo?
— Ce lo hai già raccontato — le rispose stancamente May, con una breve occhiata al soffitto.
— Aprono le scatole di fiammiferi e tirano fuori un fiammifero da ogni scatola. Nessuno si accorge che manca un fiammifero, capisci. Sempre lì, di continuo, ad aprire scatole e a tirar fuori un fiammifero da ogni scatola. Noi non faremmo una cosa del genere, ma quando l’hanno fatto una cinquantina di volte si sono guadagnati il prezzo pulito di una scatola di fiammiferi. — Ginny si fermò, terminato il discorso, e guardò gli altri con un misto d’indignazione e trionfo. Cosa mi dite?
— Come li vendono? — rispose Hasson, pensando a Oliver e alla sua comprensione e alla sua partecipazione. Ginny si oscurò. — Cosa vuoi dire?
— Voglio dire, in cosa li vendono? Stando al suo racconto, hanno cinquanta fiammiferi in più, ma gli manca la scatola. — Hasson annuì in direzione di Werry. — Ti hanno mai venduto cinquanta fiammiferi in un sacchetto di carta?
— Ti ha beccato! — esclamò allegramente Werry, afferrando Ginny per i fianchi. — A questo non avevi mai pensato.
— Stammi e sentire, Al Werry, e ti dirò io che cosa fanno — scattò lei, allontanando la mano dell’uomo. Poi spalancò la bocca diverse volte, come per spingerla ad andare avanti, a trovare da sola una spiegazione. Alla fine, quando le fu chiaro che le parole adatte non sarebbero mai uscite, guardò Hasson con occhi velati d’odio.
— Non ho tempo di starmene qui tutta sera a muovere la bocca — disse. — Vado a preparare la cena. «L’arma finale» pensò Hasson, ma già si sentiva lievemente depresso per aver risposto a una donna così fragile, probabilmente aggressiva solo perché infelice.
— Perdoni la battuta sulla sua cucina — le disse, sorridendo. — Sono ansioso di mangiare quello che ci preparerà.
— Fatti una birra, Rob — intervenne Werry. — Stanotte sono di servizio, per cui più tardi non potrò bere con te. — Si alzò, prese una lattina di birra dal frigorifero e gli fece strada in soggiorno. Hasson strizzò l’occhio a Ginny, provocando un’espressione stupefatta sulla faccia di lei, e seguì Werry. Restarono seduti per un’ora, e Werry non fece altro che raccontare com’era difficile il lavoro di poliziotto e quanto si sarebbe trovato meglio con un altro mestiere. Era molto composto e perfettamente tranquillo, ma nei suoi occhi c’era una nuova sobrietà, segno che Buck Morlacher era riuscito a penetrare nella sua corazza mentale. Raccontò in dettaglio gli sforzi raddoppiati per precludere agli estranei l’ingresso all’Hotel Chinook. I suoi due pattugliatori aerei, Henry Corzyn e Victor Quigg, avevano l’ordine di controllare gli ultimi piani dell’hotel fin da prima del tramonto, per non lasciare entrare nessuno. Avrebbe partecipato anche lui al servizio notturno con turni di quattro ore, per cui aveva solo il tempo di cenare.
— Il guaio è che oggi ho avuto un sacco di lavoro in più — mugugnò, con un colpetto sul bicchiere per far gonfiare la schiuma. — È tornato il bel tempo e i ragazzi arrivano da tutte le parti. Il Chinook li attira come una calamita, capisci. Li facciamo tornare indietro, oppure gli schiaffiamo addosso qualche imputazione, però ne arriva sempre un altro gruppo, ed è impossibile fermarli tutti. Specialmente col buio.
«A volte mi sembra di avere per le mani una bomba e di doverla disinnescare da solo. Non è giusto che il novanta per cento delle forze di polizia della città debba fare la guardia a una proprietà privata».
— La faccenda può diventare pericolosa, se la trascurate — rispose Hasson. — Forse potresti ottenere l’ordine di abbattere l’hotel.