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— Forse, ma ci vorrebbero anni. — Werry uscì in un sospiro introspettivo. — Capisci bene che attrazione può esercitare su dei ragazzi. Li hanno un mondo tutto per loro, un mondo che nessun adulto riesce a vedere. Possono costruirsi una società loro, con regole diverse, senza genitori che rovinino tutto. I genitori possono trovarsi a due o trecento chilometri di distanza, o anche di più, senza nemmeno sapere dove sono i figli, ed è una brutta cosa, Rob.

— Lo so, però l’unica via per poter sperare di rinsaldare i vincoli sociali come esistevano prima del volo umano sarebbe trapiantare in ognuno un trasmettitore radio… E una faccenda del genere non è ancora prevista.

— Non so — disse Werry, abbattuto. — Credo che un giorno ci arriveremo. Lo credo proprio. — Scattò in piedi e recitò l’ormai familiare parodia del saluto militare: May era apparsa sulla soglia ad annunciare che la cena era pronta.

Hasson seguì Werry in cucina e notò che a tavola erano apparecchiati quattro posti. — Theo dov’è, stasera? — chiese, rendendosi conto che negli ultimi giorni aveva fatto ben poco per ricostruire i rapporti col ragazzo.

— Si è portato in camera un po’ di latte caldo e di carne — disse May. — Vuole ascoltare in pace la radio. — Oh? — Hasson ricordò una vecchia conversazione con Theo. — Non sapevo che gli piacesse la radio.

— Di notte l’ascolta spesso — spiegò Werry. — La radio gli è di grande aiuto.

May annuì. — Infatti. Per lui significa molto.

Hasson sedette, carezzandosi lentamente il mento, e rivolse l’attenzione al cibo che il suo stomaco reclamava a gran voce. Il piatto principale erano bocconcini di carne alle spezie, che trovò deliziosi. Ginny Carpenter rimase ancora più sconcertata ai suoi complimenti. Per dessert c’era gelato al ginepro con litchi, una combinazione che gli parve leggermente disgustosa, però chiese una seconda porzione, e quando gli servirono il caffè, si sentiva meravigliosamente a pancia piena.

— Quando ti dicono che devi rimetterti in sesto, non scherzi mica — commentò giovialmente Werry. — Mi sembra… — S’interruppe e borbottò qualcosa, irritato, quando l’apparecchio radio che aveva al polso emise un ronzio acuto. Un attimo di silenzio, Werry che scuoteva la testa, e poi la radio ronzò di nuovo.

— Scusatemi, gente. — Werry schiacciò un pulsante sull’apparecchio e avvicinò la bocca al polso. — Sono il Comandante Werry. Qual è il problema?

— Al, qui è Henry Corzyn — rispose la radio con voce sottile, agitata. — Sono al Chinook. Sarà meglio che tu arrivi il più presto possibile.

— Henry, ti ho detto che venivo alle nove. Non puoi aspettare che…?

— Questa faccenda non può aspettare, Al. C’è stata un’esplosione al primo piano dell’hotel, e credo che si stia sviluppando un incendio.

— Un incendio? — Werry girò gli occhi lungo la tavola con espressione accigliata. — Non c’è niente che possa bruciare, no?

— L’hotel è pieno di legname e impalcature e tramezzi di legno, Al. Il costruttore ha smesso di lavorare e ha lasciato qui un sacco di roba.

— Hai chiamato i pompieri?

— Li ha chiamati Victor, ma non servirà. L’hotel è alto quattrocento metri, e i pompieri non possono farci un bel niente.

— Hai ragione! La sai una cosa, Henry? Hai maledettamente ragione! — Sorprendentemente, un sorriso calmo, serafico, spuntò sul viso di Werry. — Credi che abbiamo qualche possibilità di dire addio al nostro monumento cittadino?

Ci fu una pausa prima che Corzyn rispondesse. La sua voce suonò curiosamente esitante. — Questo non lo so, Al. Ho visto solo un inizio di fiamma, e per quanto ne so potrebbe anche spegnersi.

— Speriamo in bene — disse Werry.

— È una faccenda seria, Al — replicò la voce alla radio. — C’è della gente conciata per le feste.

— Della gente? — Werry si rizzò a sedere. — Di che cavolo stai parlando? Che gente?

— Te l’ho detto che c’è stata un’esplosione, Al. Almeno, mi è sembrata un’esplosione. Un ragazzo è volato contro la tromba dell’ascensore ed è ridotto piuttosto male.

— Cristo onnipotente! — Werry balzò in piedi, gettando a terra la sedia. Afferrò la giacca da un’altra sedia e corse alla porta. Hasson vide che May lo fissava con le mani premute sulla bocca, poi si precipitò nell’ingresso, inseguendo Werry. Uscirono nell’oscurità ventilata, trapunta di stelle, che circondava la casa e balzarono verso l’auto di Werry, parcheggiata in strada.

Hasson si arrestò davanti alla macchina, colpito da un’idea debilitante. — Al, vai in auto o in volo?

— Pensavo di volare. — Werry lanciò un’occhiata alla tuta, adagiata sul sedile posteriore. — Al diavolo, faccio prima ad arrivare in macchina che a infilarmi la tuta. Salta su!

Hasson si accomodò sul sedile anteriore, e pochi secondi dopo imboccavano la via principale che portava al centro di Tripletree e alla periferia sud. Mentre correva sotto le luci scintillanti e le spire delle autostrade aeree, Werry chiamò Corzyn con la radio dell’auto.

— Sto arrivando, Henry — disse in fretta. — Raccontami un po’ di quel tizio che è volato giù dalla tromba dell’ascensore. È morto?

— No, Al. Un po’ di ossa rotte e commozione cerebrale. Ho già chiamato l’ambulanza.

— Ma se è caduto giù da quattrocento metri…

— No. Era su quando è avvenuta l’esplosione. Tra parentesi a me sembrava una bomba, Al, e da quello che ho capito è stato scaraventato contro la tromba dell’ascensore e ha sbattuto sulla parete. Fortunatamente il corpetto AG funzionava ancora, e lui è riuscito ad accenderlo. Stava fluttuando nel vento come una bolla di sapone quando Victor e io lo abbiamo trovato e riportato giù.

— Vedi d’identificarlo appena possibile. — Werry tamburellò le dita sul volante. — E com’è che è entrato, si può sapere?

Ci fu un silenzio imbarazzato. — Ecco… Victor e io avevamo freddo, e non vedevamo niente di male a fare un salto da Ronnie a bere una tazza di roba calda. Penso che sia riuscito a entrare in quel momento.

— È meraviglioso — disse Werry. — È proprio meraviglioso, Henry.

— Al, il Chinook ha quattordici maledetti piani e una circonferenza di quattro o cinquecento metri. Siamo solo in due. Al buio non possiamo controllare un posto del genere. Può anche darsi che ci sia una stramaledetta processione di gente che entra e che esce, per quello che ne sappiamo. — Corzyn sembrava ferito e umiliato.

— D’accordo, d’accordo. — Werry guardò Hasson e fece una smorfia. — E la storia della bomba?

— A me è sembrata una bomba, Al. Che altro potrebbe causare un’esplosione? Ho scoperto che alcuni piani sono pieni di barattoli di vernice abbandonata, ma quella al massimo brucerebbe, no? Non scoppierebbe mica.

— Forse hai ragione. Credi che il ragazzo rimasto ferito stesse facendo il cretino con degli esplosivi e sia saltato in aria per errore?

— Non può parlare, Al, ma ho l’impressione che non sia andata così.

— E allora cosa mi racconti? — Ci fu una pausa ancora più lunga, interrotta dalle scariche elettriche. — Stamattina Victor ha visto Buck Morlacher all’hotel.

— Accidenti, no — grugnì Werry, scuotendo la testa. — Henry, non dire cose del genere per radio. Anzi, non le dire proprio per niente. Forza. Arrivo tra un paio di minuti.

Werry sorpassò di corsa due vetture che andavano piano, e davanti a loro spuntò la forma buia del negozio di mobili di Weisner. Il proiettore bilaser sul tetto aveva creato un gigantesco tavolo da pranzo che brillava contro il cielo scuro. La proiezione risvegliò un ricordo spiacevole nella memoria di Hasson, ma i suoi pensieri erano completamente dominati dalla conversazione appena udita. La sera del barbecue, Morlacher gli era parso pericolosamente vicino al limite estremo di autocontrollo, e per quanto ne sapeva era perfettamente possibile che fosse arrivato al punto di disseminare di bombe la sua proprietà, per liberarla di quelli che considerava vermi.