— Questa faccenda non mi piace, Rob — disse Werry, pensieroso. — Non mi piace per niente.
Hasson gli lanciò uno sguardo comprensivo. — Credi che Morlacher sia capace di arrivare a tanto?
— Buck crede di cavarsela qualunque cosa faccia.
— Allora cosa farai?
— Chi dice che devo fare qualcosa? — chiese Werry, piegando le spalle come a schivare dei colpi. — Non sappiamo nemmeno se Buck c’entra. Mi pare che sia necessaria qualche prova, prima di decidere di arrestare un uomo come Buck.
— Questo è fuori discussione — disse Hasson, decidendo di chiudere il discorso. Le luci intermittenti di un’ambulanza crebbero poco per volta, inondando l’interno della loro macchina di una luce rossastra quando i due veicoli s’incrociarono. L’ululato della sirena dell’ambulanza si trasformò in un grugnito debole. Werry sterzò nella strada trasversale da cui era sbucata l’ambulanza, e apparve l’Hotel Chinook: una striscia verticale di luce grigia sormontata da un lieve bagliore.
Hasson, che si aspettava qualcosa di spettacolare, dovette ricordarsi che l’hotel sorgeva a quattrocento metri dal livello del suolo, che una persona affacciata al primo piano avrebbe potuto guardare dall’alto l’Empire State Building. Quella struttura fantastica, resa possibile solo dai materiali e dalle tecniche del ventunesimo secolo, era un monumento alla megalomania e all’arroganza di una famiglia. Poteva immaginare, e quasi perdonare, la rabbia velenosa che ribolliva nel cervello di Morlacher ogni volta che guardava l’edificio che aveva distrutto il patrimonio di suo padre e che, anziché ripagarlo con profitti e prestigio, aveva fatto di lui lo zimbello della città e aveva creato un rifugio perfetto per le bande giovanili che odiava così tanto. Era addirittura possibile immaginare che Morlacher arrivasse alla decisione estrema di distruggere il palazzo…
La loro macchina rallentò bruscamente: la strada era congestionata di altri veicoli e di gruppi di pedoni. Tutti, come in una migrazione animale, convergevano sull’hotel. Werry bestemmiò, abbassò il finestrino a un incrocio dove un poliziotto in uniforme dirigeva fiaccamente il traffico e scambiava battute con due ragazze.
— Arnold — urlò Werry — piantala di fare il cretino. Fai sgomberare questa strada fino all’ingresso dell’hotel. Mi senti?
Arnold gli fece un cenno di saluto. — Ti sento, Al. Un bel divertimento, eh?
— Guarda con che gente devo lavorare — borbottò Werry. Poi accese la sirena dell’auto e partì a velocità pericolosa verso l’hotel, superando la rete esterna di protezione. Diversi altri veicoli e due autopompe erano parcheggiati in un angolo libero lì vicino. I fari venavano l’erba di rosso. Werry parcheggiò lì a fianco e smontò, lisciandosi la giacca mentre alzava la testa verso l’hotel. Hasson lo raggiunse: stava parlando con Henry Corzyn, grande come un orso, con la pancia prominente.
— Non mi sembra che stia succedendo gran che — disse Werry.
— Non si vede niente finché non si sale in alto. — Corzyn abbassò la voce e andò più vicino a Werry. — Non ho fiatato con quelli della televisione, ma credo che ci sia ancora dentro un gruppo di angeli, Al. Sono andato il più vicino possibile alle finestre, ho puntato la luce dentro, e mi è sembrato di veder muovere qualcuno. Però non ne sono certo.
— Perché non escono? Non hanno paura di finire arrosto?
— Chi lo sa cosa passa in quelle testoline idiote? — Corzyn cambiò posizione, voltò le spalle a un uomo con la telecamera puntata verso il cielo. — D’altra parte, se lassù c’è qualche morto…
Werry lo fissò a occhi socchiusi. — Stai cercando di farmi sentire meglio?
— È stata un’esplosione terribile, Al. Da questo lato sono saltati quasi tutti i vetri del primo piano, e quei ragazzi non vanno in giro da soli, lo sai. Può darsi che un intero gruppo si sia trovato imprigionato d’un colpo.
Werry si allontanò da Corzyn, rimase per un attimo con la mano sulla fronte, poi tornò indietro. — È un po’ improbabile, no? Gli altri avrebbero chiesto aiuto. Corzyn si strinse nelle spalle.
— C’è qui Terry Franz della stazione TV, e ha un faro potentissimo. Forse riuscirà a vedere più di quello che ho visto io.
— È meglio che tu vada su con lui, Henry. Cerca di controllare tutto l’hotel. Portati un megafono.
— Ce l’ho già. — Corzyn batté la mano sul taschino, indicando la forma quadrata di un megafono elettronico, poi spostò le dita sul pannello di comando del corpetto AG. Hasson si girò, terrorizzato, incapace di osservare il decollo del poliziotto. Aspettò un attimo, e quando alzò gli occhi al cielo, le spalle e le caviglie di Corzyn erano minuscoli razzi di segnalazione che volavano veloci verso il bersaglio oscuro dell’hotel. La cena appena consumata diventò, nello stomaco di Hasson, un peso indesiderato.
— Dov’è Quigg? — strillò Werry, avviandosi verso il gruppo di spettatori più vicini. — Qualcuno ha visto Victor Quigg?
— Sono qui, Al. — Quigg, magro e giovanissimo anche in tuta da volo, si staccò da un gruppo di persone ferme accanto a un trasmettitore televisivo portatile. Werry lo afferrò per il braccio e lo tirò in disparte con Hasson.
— Victor — chiese tranquillamente — stai rilasciando dichiarazioni non autorizzate ai signori della stampa?
Quigg lanciò un’occhiata ad Hasson, ovviamente chiedendosi quale fosse il suo ruolo. — Mi conosci, no, Al?
— Okay. Hai raccontato a nessuno di avere visto Buck all’hotel, oggi?
— Solo a Henry. L’ho detto solo a lui.
— Sei certo che fosse proprio Buck?
Quigg annuì vigorosamente, scuotendo la visiera d’ingrandimento del suo elmetto. — Era Buck, senza dubbio. L’ho guardato un paio di volte perché aveva un sacco di contenitori, e in genere non gli va di bardarsi a quel modo. Stava portando qualcosa nell’hotel.
Werry fece schioccare la lingua. — Ma non hai cercato di scoprire cosa.
— È roba sua, Al — disse tranquillo Quigg. — Pensavo che ne avesse il diritto.
— Hai fatto bene. — Werry lanciò un’occhiata truce al giovane poliziotto. — Voglio che tu tenga tutto per te finché non sarà il momento di parlare. Okay?
— Certo, Al. Fra l’altro, nessuno si è ancora messo in contatto coi genitori di Lutze. Vuoi che ci pensi io? Werry si accigliò. — Lutze?
— Già. Il ragazzo che s’è fatto male. Henry non te l’ha detto?
— Barry Lutze?
— Non abbiamo avuto tanta fortuna — rispose Quigg. — Suo cugino Sammy. La famiglia vive dalle parti di Bettsville. Probabilmente non sanno nemmeno che stasera non era in cortile.
— Probabilmente — convenne Werry. — Chiama la centrale e manda qualcuno ad avvisare i Lutze. Voglio che tu resti qui e…
— Ehi, Al! — Uno degli uomini della televisione fece cenno a Werry. — Vieni qui a dare un’occhiata, per l’amor di Dio. Il vecchio Henry sta cercando di entrare nell’hotel.
Werry borbottò un’oscenità e corse verso il gruppo di uomini radunati attorno ai monitor. Hasson, che cominciava a sentirsi stupefatto, si affrettò a seguirlo. Il mobile che conteneva le apparecchiature televisive era illuminato da una luce verdastra, e dentro c’erano tre pozzi di buio che ospitavano monitor tridimensionali. Al centro si vedeva una vivida immagine di Henry Corzyn che si muoveva sullo sfondo della facciata dell’hotel, illuminato in maniera irregolare. La ripresa era un po’ instabile, perché la telecamera era sorretta da un uomo in volo, ma si vedeva chiaramente una finestra con le sbarre segate. L’apertura era abbastanza grande da permettere l’ingresso di un uomo.