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Hasson, cercando d’ignorare la nausea che saliva dallo stomaco, osservò affascinato Corzyn che si avvicinava alla finestra. Il poliziotto accelerò, entrò nel campo d’interferenza gravitazionale del muro e prese immediatamente a cadere. Hasson si portò le nocche delle dita alle labbra. Corzyn si tese verso la finestra, riuscì ad afferrarla e interruppe la caduta.

— È il secondo tentativo che fa — commentò qualcuno, ammirato. — Chi avrebbe mai detto che il vecchio Henry ne fosse capace?

La minuscola figura di Corzyn rimase un attimo attaccata alla finestra, respirando forte, poi si spinse dentro l’hotel attraverso l’apertura. Un secondo dopo riapparvero la sua testa e le spalle: il poliziotto agitò la mano in direzione della telecamera, sorridendo come un idolo dello sport. Hasson levò la testa in alto e cercò di vedere la scena coi propri occhi, ma nel buio distingueva solo un debole scintillio, come di stella.

Werry si portò alle labbra la radio da polso. — Henry, cosa credi di fare? Ti ho mandato su per controllare l’hotel, non per ridurti a pezzi.

— Va tutto bene, Al. Sto benissimo. — Corzyn era senza fiato, ma trionfante. — Questa finestra è al secondo piano, per cui il fuoco non può raggiungermi. Non sembra un grande incendio, fra l’altro. Magari riesco a spegnerlo.

— Non è compito tuo.

— Calma, Al. Faccio un giro in fretta per vedere se l’hotel è vuoto. Avrò tutto il tempo che voglio per uscire, se l’incendio peggiora. Ci vediamo!

Werry abbassò la radio da polso e fissò con aria d’accusa l’uomo che l’aveva chiamato al monitor televisivo. — È colpa tua, Cec. Henry è troppo vecchio e obeso per questa roba da ragazzini. Non ci avrebbe mai provato se non ci fossi stato tu.

— Andrà tutto bene — replicò Cec, indifferente. — Quando torna giù gli faremo un’intervista in diretta. Lo facciamo diventare l’eroe del giorno.

— Hai proprio un gran cuore. — Werry si allontanò dal gruppo, portandosi dietro Hasson, e guardò il cielo buio: avevano cominciato a radunarsi spettatori aerei, che sembravano tante lucciole.

— Ecco lì — disse Werry. — I soliti maledetti ficcanaso, famosi per l’abitudine di trovarsi a frotte sul luogo degli incidenti, di gridare come animali e stare sempre tra i piedi. Fra un paio di minuti ci sarà tutta quanta la città.

Hasson parlò a voce bassa, scegliendo le parole con estrema cura. — Spicca l’assenza di un certo cittadino. — È quello che stavo pensando anch’io. — Werry si grattò la nuca, un gesto che in quella luce incerta lo rese giovane e bello. — Rob, non c’è via d’uscita, no?

Hasson scosse la testa. Si sentiva spaventosamente responsabile. — Dopo quello che hai sentito, il minimo che tu possa fare è parlare a Morlacher.

— Prima o poi doveva succedere. — Werry diede un’occhiata all’hotel. — Mi pare che sia tutto tranquillo. A parlare con Buck ci vado adesso. — Si voltò, si allontanò tra una miriade di luci dorate, proiettando ombre multiple sul terreno irregolare.

Hasson restò a guardarlo scomparire, ripetendosi a uno a uno i motivi per cui non doveva lasciarsi coinvolgere, poi si incamminò verso l’auto della polizia.

8

Durante il viaggio verso la casa di Morlacher, Al Werry tirò fuori il berretto a punta dell’uniforme (doveva essere un berretto di scorta che teneva in macchina per i casi d’emergenza) e se lo sistemò in testa con grande cura, piegandosi di lato per guardarsi nello specchietto retrovisore.

Ad Hasson, che lo osservava in silenzio, parve che il berretto lustro gli desse più sicurezza della pistola alla cintura.

Quando emersero dal tunnel d’alberi e si fermarono davanti alla porta a pannelli della casa, non si vedevano altre macchine, ma i raggi di luce che uscivano dalle alte finestre indicavano che c’era qualcuno. Hasson scese dall’auto con Werry e si fermò un attimo a guardarsi attorno.

La vista che si godeva da lì era identica a quella che conosceva già. L’Hotel Chinook non era nemmeno visibile oltre le luci ammassate della città ma, per la sua immaginazione, l’atmosfera era del tutto diversa. Provava la piacevole sensazione di sentirsi osservato.

— Credi che sappiano che siamo qui? — chiese.

— Senz’altro. Buck è grande, nei sistemi di sorveglianza. — Werry s’incamminò verso i gradini di pietra, stirando, lisciando, sistemando l’uniforme in un modo che ricordò ad Hasson il pavone quando dispiega le piume. Hasson lo seguì ma si tenne un po’ indietro, improvvisamente conscio che il proprio abbigliamento, maglione e calzoni sportivi, avrebbe sciupato lo spettacolo rituale d’autorità messo in scena da Werry. Il poliziotto suonò il campanello e aspettò che la porta si aprisse. Hasson gli rivolse un sorriso incoraggiante, Werry lo fissò con gli occhi freddi, vuoti, d’un estraneo e rimase così finché non sentirono scorrere un chiavistello. La porta si spalancò di pochi centimetri. Apparve la faccia barbuta di Starr Pridgeon. Guardò Werry e Hasson per un attimo, senza parlare, maliziosamente divertito.

— Voglio parlare con Buck — disse Werry.

— Buck non vuole parlarti. Ciao, Al. — Pridgeon chiuse la porta, ma Werry infilò tra i battenti uno stivale lucido e impedì la chiusura totale. La porta si apri di nuovo, e questa volta la faccia di Pridgeon era piena di risentimento.

— Al, perché non fai un favore a tutti quanti e non la smetti di comportarti come un poliziotto vero? — chiese, con calma beffarda. — Non la dai a bere a nessuno. Perché non salti sulla tua macchinina e torni da dove sei venuto?

Werry avanzò di poco. — Ti ho detto che voglio parlare con Buck.

Qualcosa brillò negli occhi di Pridgeon. — Immagino di non poterti impedire di entrare, però ricordati che non ti abbiamo invitato. — Indietreggiò e aprì del tutto la porta.

Hasson sentì risvegliarsi l’istinto. Ebbe l’impressione che Pridgeon avesse ripetuto una frase fatta, come un giovane avvocato che ripassi una certa sentenza, e al tempo stesso notò lo strano movimento quasi di valzer che fece nel ritirarsi; tre passi ad angolo retto che tennero i suoi piedi lontani dall’area appena oltre la soglia. Balzò avanti, cercando d’afferrare il braccio di Werry, ma arrivò in ritardo d’una frazione di secondo.

Werry attraversò la soglia. Ci fu un secco slap che segnava uno scatenarsi d’energia, e Werry cadde in ginocchio. Rimase così forse per un secondo, scuotendo la testa, poi cadde sul parquet. Il suo berretto rotolò via sui tasselli di legno lucido.

— Santo Cielo — disse Pridgeon, ridendo. — Santo Cielo! Che disdetta! Qualcuno deve aver lasciato acceso lo schermo di protezione. — Tirò diritto, senza fare nulla per aiutare il poliziotto caduto. Nell’ingresso si aprì una porta e ne uscirono tre uomini. Uno reggeva un boccale di birra. Ridacchiando, avanzarono verso Pridgeon. Sembravano pieni d’aspettativa e poco coscienti di sé.

— Cos’è successo al vecchio Al? — chiese uno. — Si è fatto una delle sue bevute?

— Dev’essere la stagione buona — rispose Pridgeon, scatenando una marea di risate, poi puntò il suo sguardo truce su Hasson. — Tu! Cugino d’Inghilterra di Al! Portalo via. Sporca tutto.

Hasson avanzò, si fermò sulla soglia. — Mi invitate dentro, e avete spento lo schermo di protezione?

— Questo qui non corre mai rischi — disse Pridgeon voltando la testa, poi si girò verso Hasson. — Lo schermo è spento. È stato un incidente puro e semplice che Al ci sia finito dentro. Diglielo, quando si sveglia.

Hasson s’inginocchiò a fianco di Werry e lo guardò in faccia. Il poliziotto era in stato di coscienza, però i suoi occhi erano appannati, e bolle di saliva gli uscivano agli angoli della bocca. Hasson sapeva che aveva subito un neuro-choc fortissimo, tanto da paralizzargli le sinapsi cerebrali e renderlo momentaneamente impotente, e che solo di li a un minuto o due sarebbe riuscito a camminare da sé. Infilò le mani sotto le ascelle di Werry, lo trascinò a una sedia a schienale alto in un angolo della stanza, lo depose lì.