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— Fuori — ordinò Pridgeon. — Ti ho detto di portarlo fuori di qui.

— Non è ancora in grado di camminare. — Inginocchiato accanto alla sedia, Hasson diede dei buffetti sulle guance di Werry con la sinistra, mentre con la destra, di nascosto, slacciava il cinturino di sicurezza della fondina. — Il minimo che possiate fare è dargli un bicchiere d’acqua.

Pridgeon strinse le labbra. — Do a tutti e due dieci secondi per uscire di qui.

— E poi cosa fate? Chiamate la polizia? — Hasson rinnovò gli sforzi per ridare a Werry il controllo del corpo, e si accorse che l’altro cominciava a muovere gambe e braccia. Werry agitò la testa da una parte e dall’altra, poi mise a fuoco lo sguardo sul viso di Hasson.

— Mi spiace, Rob — disse debolmente. — lo… Sarà meglio che mi riporti in macchina.

Hasson si chinò in avanti e avvicinò la bocca all’orecchio di Werry. — Al — sussurrò con decisione — lo so quanto stai male. Lo so che adesso non vuoi sentire discorsi del genere, però, se esci da questa casa senza parlare a Morlacher, come ufficiale di polizia sei finito. Troppa gente ha visto quello che è successo. Ne parleranno in tutta la città, e tu sarai finito.

Werry quasi sorrise. — E se non me ne importasse?

— Ma te ne importa! Senti, Al, non devi nemmeno fare niente. Non devi neanche alzarti in piedi. Parla a Morlacher come avevi deciso. Poi possiamo andarcene. Okay?

— Okay, ma chi…?

— Basta! Ne ho abbastanza di voi due cretini. — I passi di Pridgeon risuonarono alle spalle di Hasson. — Nessuno potrà dire che non vi avevo avvisato.

Hasson si alzò, lo fissò. — Il Comandante Werry mi ha autorizzato ad agire in vece sua… E vogliamo parlare col signor Morlacher.

— Ha autorizzato te! — Pridgeon guardò Hasson a bocca spalancata, poi sorrise e chiuse gli occhi, come provando un piacere atteso da molto tempo. — Ecco cosa penso di te, storpio.

Lentamente e delicatamente, come se dovesse sollevare un vaso inestimabile, levò le mani verso le orecchie di Hasson. Hasson appoggiò una mano al centro del petto di Pridgeon e gli diede una spinta che lo colse assolutamente impreparato. Pridgeon scivolò all’indietro troppo in fretta per riuscire a mantenere l’equilibrio. Cadde di schiena sul parquet lucido, volando a gambe all’aria. Uno dei tre uomini uscì in un latrato di derisione.

Pridgeon scattò in piedi, bestemmiando velenosamente, e si lanciò verso Hasson, questa volta a piena velocità, le spalle abbassate e gli occhi socchiusi, deciso a prendersi una rapida, sanguinosa rivincita per l’offesa appena subita. Fece una finta di sinistro, di destro, poi lasciò partire un pugno di destro indirizzato alla gola di Hasson.

Hasson, pieno di adrenalina, ebbe il tempo di analizzare i tre movimenti e seppe subito di avere davanti un avversario istintivo e troppo sicuro di sé, il tipo d’uomo che affrontava spavaldamente la lotta fisica forse una volta l’anno, vincendo a forza di rabbia e ferocia, e che su quella base si era illuso di essere un lottatore bravissimo, imbattibile. Hasson deviò senza sforzi il pugno con l’avambraccio sinistro e vide il corpo di Pridgeon, immobile davanti a lui, come un atlante anatomico, con tutti i centri nervosi segnati in rosso, e scoprì che non aveva nessuna voglia di chiudere la lotta in modo pulito, scientifico. Pridgeon lo aveva insultato e umiliato e fatto vergognare di sé. A Pridgeon piaceva tormentare ragazzi ciechi che non potevano assolutamente reagire. A Pridgeon piaceva usare i muscoli su uomini che riteneva storpi. Per tutto quello, e per un migliaio di altri motivi che gli erano ignoti, Pridgeon doveva pagare un prezzo molto alto, ed era giunta l’ora…

Hasson cambiò mira e scagliò il primo pugno sulla bocca di Pridgeon, esultando al secco scricchiolio dei denti. Poi lo buttò contro il muro a pannelli, per non concedergli nemmeno il sollievo di scivolare a terra, e lo colpì tre volte di seguito, mirando ogni volta al viso, colpendo duro, facendo ogni volta sprizzare sangue. La rabbia che si era impadronita di lui sbollì immediatamente quando, con l’angolo dell’occhio, colse un movimento fra i tre uomini alla sua sinistra. Lasciò cadere a terra Pridgeon e si girò a fissare gli uomini. Avanzavano verso di lui per circondarlo, e sulle loro facce c’era un’espressione che Hasson aveva già visto molte volte: la rabbia oltraggiata che un vigliacco sente sempre quando la vittima ha il coraggio di ribellarsi. L’uomo col boccale di birra, un rosso tarchiato in camicia a quadretti, aveva vuotato il bicchiere e lo reggeva col fondo appoggiato al palmo della mano.

Hasson tornò accanto a Werry e sollevò le sue mani come un vigile, segnalando ai tre di fermarsi. — Prima che vi troviate coinvolti — disse, sforzandosi di parlare con voce sicura e tranquilla — è bene sappiate che il Comandante Werry è qui per svolgere indagini su un omicidio. Qualcuno ha messo una bomba ad alto esplosivo nell’Hotel Chinook, e poco fa è scoppiata in mezzo a un gruppo di ragazzi. Forse c’è più di un morto, non siamo sicuri, ma quello che è sicuro è che qui c’è qualcuno che passerà molto, molto tempo in galera. Ora tocca a voi decidere se volete sporcarvi le mani con roba del genere, o no.

Hasson s’interruppe. Respirava piano e con regolarità, per calmare i battiti nel petto. I tre uomini si guardarono. Non credevano ad Hasson e non sapevano cosa fare. Le sue parole avevano ottenuto un effetto inferiore alle aspettative, e Hasson aveva la spiacevole sensazione di trovarsi di fronte un gruppo di individui che possedevano la classica incapacità criminale di soppesare le conseguenze future.

— Era ora che qualcuno sistemasse quei bastardi che vanno su nell’hotel — disse l’uomo col boccale di birra. — Sono solo schifosissime zanzare.

— Sì, ma avete qualche motivo per rendervi complici dell’omicidio?

L’uomo non pareva convinto. — Per me è tutto un mucchio d’idiozie. Non so niente di omicidi, ma so che non mi piace vedere dei poliziotti che picchiano un mio amico.

— Giusto — approvò un altro, avanzando un poco.

— Provate a metterla così — disse Hasson. — Voi stasera siete venuti qui per bere qualcosa in santa pace e magari farvi una partitina a carte. Giusto? Non siete venuti per trovarvi coinvolti in un processo per omicidio. È una brutta faccenda, e potrebbe diventare ancora più brutta se ci aggiungete altre complicazioni.

Si chinò e tolse dalla fondina la pistola di Werry, stringendola fra pollice e indice come se provasse un profondo disprezzo per quell’oggetto. Lasciò che i tre la studiassero per diversi secondi, poi la rimise nella fondina.

— Non voglio mettermi a puntarvi una pistola in faccia, e magari far partire un colpo per sbaglio — disse. — È una cosa che mi farebbe proprio schifo, e forse a voi farebbe schifo anche di più, per cui perché non ve ne tornate a casa e lasciate fare il suo dovere al Comandante Werry?

— Il mio amico sta dicendo che vi conviene andarvene intanto che ci riuscite ancora — intervenne Werry, alzandosi in piedi. — È un buon consiglio.

— Se lo dici tu, Al — mugugnò uno degli uomini. I tre raccolsero i loro corpetti AG e le tute da volo, sparpagliate su una cassapanca di legno, e scomparvero nella notte. L’ultimo che uscì sbatté la pesante porta.

Hasson annuì in direzione di Werry, che stava provando a muovere le spalle. — Grazie, Al. Non credo che ci sarei riuscito da solo.

— Non metterti a ringraziarmi, Rob. Non sono mica stupido. — Werry si ripulì l’uniforme, raccolse il berretto e lo infilò. — Forse non ho fegato, ma non sono stupido. Okay?