— Vado subito — rispose Quigg. — E tu quando torni, Al?
— Presto. — Gli occhi di Werry, freddi e spietati, erano fissi su Morlacher. — Prima devo sistemare una faccenda.
— Usciamo — disse Morlacher con un tono che ricordava il suo solito comportamento, avvicinandosi alla porta. — Devo andare all’hotel.
Werry gli sbarrò la strada, scuotendo la testa. — Tu verrai al mio hotel, Buck. Ho un paio di stanze comunicanti prenotate per te e per Starr.
Morlacher gli puntò contro un indice tremante. — Hai perso un buon lavoro.
— Per la seconda volta in una sola serata — disse Werry, calmissimo. Tolse di tasca un rotolo di cerotti poliadesivi e lo gettò ad Hasson. — Dietro la schiena, Rob, se non ti spiace. Non voglio correre rischi.
Hasson annuì. Si avvicinò a Morlacher e gli unì le mani dietro la schiena. Tolse la carta di protezione da un cerotto blu, lo sistemò fra i polsi di Morlacher e poi li spinse l’uno contro l’altro, creando un legame indissolubile. Pridgeon si sottopose allo stesso cerimoniale quasi di buonagrazia, per dimostrare che credeva nella collaborazione con la giustizia.
— Adesso possiamo andare — disse Werry. Spalancò la porta d’ingresso, rimettendo in comunicazione l’interno della casa con l’universo esterno, e questa volta l’Hotel Chinook fu immediatamente visibile: ardeva, a sud, come un pianeta rosso colpito dalla sventura.
9
Werry l’aveva predetto: la zona attorno all’hotel era affollata di spettatori, sia a terra sia in aria. Le strade che circondavano l’hotel rigurgitavano di automobili, come infestate da insetti mostruosi, e il cielo splendeva delle costellazioni mobili che erano le luci dei volatori. Un proiettore bilaser scriveva a mezz’aria, a enormi lettere scarlatte: «Attenzione! C’è pericolo di ulteriori esplosioni! Il vetro cadrà su una zona molto ampia! Sgomberate!» E, altissimo, centro immobile di tutto quel caos, l’hotel rimaneva invisibile, tranne che per deboli sprazzi di bagliori arancioni.
— Quasi mi dispiace di aver messo dentro Buck — disse Werry scendendo dall’auto. — Doveva venire qui a godersi lo spettacolo.
Hasson piegò la testa all’indietro, cercando di assorbire ogni dettaglio della scena. — Per quanto tempo credi che resterà dentro?
— I suoi avvocati dovrebbero tirarlo fuori in un’ora.
— Allora non valeva la pena di arrestarlo.
— Per me, sì. Glielo dovevo. — Werry sorrise con aria di vendetta. — Vieni. Voglio vedere come se l’è cavata Henry. — Lo guidò su quel terreno accidentato fino alle imponenti autopompe dei vigili del fuoco, parcheggiate accanto ad altri veicoli. L’impianto televisivo continuava a funzionare, circondato da un gruppetto di uomini e donne che usavano i monitor per scrutare quello che stava succedendo in un altro mondo, quattrocento metri al di sopra delle loro teste. Mentre Werry e Hasson si avvicinavano, la figura snella di Victor Quigg si staccò dagli altri e andò loro incontro. La tensione aveva reso più grandi e più scuri i suoi occhi, conferendo alla sua faccia immatura qualcosa che ricordava gli animali notturni.
— Tutto bene? — chiese Werry. — Dov’è Henry?
— È ancora su, Al. Non sono riuscito a scovarlo.
— Cioè è ancora dentro l’hotel?
— Penso di sì. Se fosse uscito, se ne sarebbe accorto qualcuno. Doveva tenersi in contatto. — Quigg era stanco e spaventato.
— Quel vecchio matto… — Werry si alzò in punta di piedi per guardare sul monitor televisivo l’immagine dell’hotel. — Mi sembra che l’incendio stia per arrivare al secondo piano. Come farà a uscire?
— È quello che vorrei sapere. Al, se gli succede qualcosa…
Werry alzò la mano e ridusse al silenzio il giovane poliziotto. — L’hotel ha un’altra uscita? Com’è il tetto?
— Deve esserci una via d’uscita e d’ingresso sul tetto, perché è da li che dovevano entrare i ragazzi, ma non l’ho trovata. È una specie di città, Al. C’è pieno di macchinari e serbatoi d’acqua e roba del genere.
— Be’, possiamo farci dare le chiavi, oppure buttare giù una porta. — Werry s’interruppe, pensieroso. — Solo che… Se entriamo e cominciamo a scendere, potremmo finire su una di quelle maledette bombe di Buck. Forse ci toccherà correre il rischio.
— Henry doveva tenersi in contatto.
— E le finestre? — intervenne Hasson. — Non può romperne una abbastanza grande con un mattone?
Werry scosse tetramente la testa. — È tutta roba moderna, a prova di proiettile, a tasselli… A prova di proiettile, che ridere… Dovrebbe servire a rendere più accettabili da un punto di vista psicologico gli edifici così alti, o qualcosa del genere.
— Capisco. — Hasson si avvicinò ai monitor televisivi e scrutò l’immagine trasmessa dall’operatore in volo. L’architetto dell’Hotel Chinook aveva utilizzato l’idea dei tasselli su tutta la superficie esterna, trasformando muri e finestre in un unico mosaico. Da un punto di vista puramente estetico l’edificio era meraviglioso, e non era giusto aspettarsi che un architetto prevedesse una situazione del genere: gente che voleva lanciarsi fuori dalle stanze, affidarsi alle implacabili correnti d’aria che correvano sopra e sotto l’Empire State Building. L’immaginazione di Hasson, cogliendolo alla sprovvista, lo immerse nella situazione che aveva immaginato, e il terreno prese a ballargli sotto i piedi. Distolse lo sguardo dal monitor, nauseato, e stava ancora cercando di riprendere a respirare normalmente quando vide una giovane donna arrivare dalla direzione della strada.
In quelle circostanze insolite, in un ambiente così strano, sul momento gli fu difficile identificare May Carpenter. La donna corse verso lui, pallidissima e sconvolta, e si fermò a fianco di Al Werry.
Werry le mise un braccio attorno alle spalle e la girò in direzione della strada. — Non puoi stare qui, tesoro. È pericoloso, e adesso dovrò…
— Theo è scomparso — rispose lei con voce fioca, infelice. — Non riesco a trovarlo.
— Sarà uscito coi suoi amici — la calmò Werry. — Gliene parlerò più tardi.
May si liberò dalla stretta dell’uomo. — Ho cercato dappertutto. In tutti i posti dove va solitamente. Stasera non l’ha visto nessuno.
— May — chiese Werry, impaziente — non vedi che ho da fare?
— È lassù. — Le parole di lei erano misurate senza emozioni, svuotate dal peso della certezza. — È lassù nell’hotel.
— Che stupidaggine. Voglio dire… È proprio stupido.
May si portò il dorso di una mano alla fronte. — Certe notti va fuori a volare con Barry Lutze, e vengono sempre qui, all’hotel.
— Non sai cosa stai dicendo — disse Werry. — È vero.
— Se tu lo sapevi e non me ne hai mai parlato — rispose Werry, con un’espressione disumana — lo hai ucciso.
May chiuse gli occhi e scivolò a terra. Hasson scattò avanti e la afferrò, contemporaneamente a Werry. La sorressero tutti e due, la spostarono di qualche metro, la misero a sedere sul predellino di un camion lì vicino. Diversi uomini la fissarono incuriositi e cercarono di avvicinarsi, ma Quigg spalancò le braccia e li allontanò.
— Mi spiace, mi spiace, mi spiace — mormorò May. — Mi spiace tanto.
Werry le prese il viso tra le mani. — Non dovevo dire una cosa del genere. È solo che… È solo che… May, perché non me l’hai detto? Perché non me l’hai fatto sapere?
— Ho provato, ma non ci sono riuscita.