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— Non riesco a capirlo — disse Werry, come fra sé. — Non riesco a capirci niente. Se si trattasse di un altro, ma Theo…

Hasson senti risvegliarsi qualcosa nel suo subconscio. — Prende droghe, May? L’empatina?

Lei annuì, e sulle sue guance apparve un rivolo di lacrime.

— E perché, May? — chiese Hasson, mentre le idee si andavano cristallizzando nel suo cervello. — Riesce a vedere, con l’empatina?

— Non lo capivo — disse lei, aprendo gli occhi, guardando Werry con infinita tristezza. — Una notte l’ho visto che usciva dalla finestra del bagno, e volevo dirtelo, ma lui mi ha supplicato di stare zitta. Mi ha detto che quando è con gli altri ragazzi, e prendono l’empatina, a volte riesce a vedere quello che vedono gli altri. Ha detto che succede a sprazzi. Mi ha parlato di telepatia e cose del genere, Al, ed era così disperato, e significava tanto per lui, e una volta ti ho sentito dire che l’empatina e la gestaltina e sostanze del genere non fanno nessun male…

— L’ho detto proprio io? — chiese lentamente Werry, tirandosi su. La radio al suo polso cominciò a ronzare, ma lui parve non accorgersene. — Immagino che tutti possano commettere uno sbaglio.

May lo fissò, supplicante. — Odia vivere al buio.

— Lo sai cos’è successo qui? — disse Werry aggiustando l’angolatura del berretto, tornando al suo ruolo consueto. — Stiamo saltando alle conclusioni. Stiamo facendo un salto maledettamente lungo alle conclusioni. Non abbiamo prove che nell’hotel ci sia qualcuno. A parte Henry Corzyn, naturalmente.

Victor Quigg si avvicinò, agitando la mano per attirare l’attenzione di Werry. — Al, vuoi rispondere alla radio? Credo che sia successo qualcosa.

— Ci siamo — esclamò Werry, trionfante. — Sarà Henry che mi comunica di avere controllato tutto.

— Non credo che sia Henry — mormorò Quigg, mortalmente pallido.

Werry gli lanciò un’occhiata interrogativa e sollevò la radio alle labbra. — Qui è il Comandante Werry.

— Non dovevi farlo, Werry. — La voce che usciva dalla radio era affaticata. Le parole arrivavano a blocchi compatti, come se fosse necessario esaminare e valutare il significato di ognuna di esse prima d’inserirla nel messaggio globale. — Oggi hai fatto delle brutte cose.

Hasson abbassò un poco il polso e fissò la radio, stupefatto. — Sei Barry Lutze?

— Non importa chi sono. Voglio solo farti sapere che tutto quello che è successo stasera è colpa tua. Sei tu l’assassino, Werry, non io. — Sentendo quelle parole e frasi pronunciate con tanta fatica, Hasson immaginò che chi parlava fosse seriamente ferito. E pensò che a una situazione già da incubo si stesse aggiungendo un nuovo elemento di minaccia.

— Assassino? Cos’è questa storia dell’assassino? — Werry graffiò il fianco del camion. — Aspetta un attimo! C’è lì Theo? È ferito?

— Era qui quando è scoppiata la tua bomba. Non te lo aspettavi, eh, signor Werry?

— Sta bene?

Ci fu un silenzio lungo, pulsante.

— Sta bene? — urlò Werry.

— È qui con me. — La voce era piena di rancore. — Sei fortunato. Sta bene.

— Sia ringraziato Iddio — sospirò Werry. — E il mio uomo, Corzyn?

— È qui con me anche lui, però non sta troppo bene.

— Cosa vuoi dire? — Gli occhi di Werry erano colmi d’interrogativi.

— Voglio dire che è morto, signor Werry.

— Morto? — Werry alzò gli occhi sull’hotel, che adesso sembrava un disco nero circondato da un sottile alone colorato, come una luna che eclissasse un sole rossastro. — Cosa ci fai con la radio di Corzyn, Lutze? Lo hai ucciso?

— No, lo hai ucciso tu. — La voce cominciava a essere agitata. — È colpa tua se hai mandato un vecchio grassone come questo a prendermi. L’ho colpito una volta sola, e… — Ci fu un attimo d’interruzione. Quando riprese a parlare, la voce era di nuovo monocorde, disumana. — Dovevi venire su tu a fare il tuo sporco lavoro, Werry. Non mi sarebbe dispiaciuto far fuori te. Nemmeno un po’.

— Calma, Lutze. Cerchiamo di cavare un senso da questa conversazione prima che sia troppo tardi — rispose Werry. — Cosa dovrei aver fatto, stanotte? Perché ce l’hai con me?

— La bomba, signor Comandante Werry. La bomba! Werry batté i piedi a terra. — Che razza di scherzo idiota è questo? Stai ancora buttando giù pastiglie di droga, Lutze? È stato Morlacher a mettere la bomba, e tu lo sai benissimo.

— Che differenza c’è? Tu lavori per lui, no?

— Io non lavoro per lui. — Werry si sforzò di controllare la voce. — L’ho appena sbattuto in cella.

— Bell’affare — sogghignò la voce. — Ci resterà un’ora, con venti minuti di condono per buona condotta. Da come la vedo io, mi sembra un po’ poco per aver ucciso mio cugino e avermi fatto a pezzi le costole.

— Sammy non è morto. È all’ospedale, ma non è morto.

Ci fu un silenzio prolungato, una pausa nel duello verbale, poi l’interlocutore invisibile fece la mossa più logica. — Il poliziotto grasso è morto.

Werry respirò a fondo. — Stammi a sentire, Barry. Se non avevi l’intenzione di ammazzare Henry Corzyn, le cose cambiano. Possiamo parlarne più tardi. Per ora devo solo pensare ad assicurarmi che nessun altro resti ferito o ucciso. Mi ascolti?

— Ti ascolto.

— Devi sapere che Buck ha sparso una ventina di quelle bombe per tutto l’hotel. Ce ne sono ad ogni piano, e hanno spolette speciali che le fanno esplodere appena qualcuno si avvicina. Adesso dove sei?

— Al terzo piano.

— Bene. Devi riportare Theo alla finestra del secondo piano, quella con le sbarre segate. Cammina soltanto nei punti che hai già percorso oggi. Uscite dalla finestra, e poi ci penseremo noi.

— Ci penserete voi! — La radio al polso di Werry emise una risata fredda, che terminò in un sibilo. — Non faccio fatica a crederci. Ti piacerebbe, eh?

— Non hai scelta — rispose Werry. — È l’unica cosa che tu possa fare.

— Non se ne parla nemmeno, Werry. Non sono neanche sicuro di riuscire a raggiungere quella finestra. L’ambiente si sta facendo piuttosto caldo. E anche se ci arrivassi, non credo di riuscire a saltare tanto da liberarmi del campo di gravità del muro. Cadrei più in basso del primo piano prima di ricominciare a salire.

— Nessuno ti darà il minimo fastidio. Voglio solo tirare fuori Theo di lì. Te lo giuro. Te lo giuro, Barry. Ti darò tutte le garanzie che vuoi.

— Risparmiati il fiato, Werry. Saliamo sul tetto. Da lì sarò sicuro di poter scappare, e domani sono in Messico.

— Non puoi farlo — disse Werry, poi cominciò a passeggiare freneticamente in cerchio. Hasson provava pena a guardarlo. — Usa il cervello.

— È quello che ho intenzione di fare — assicurò la voce. — Per quanto ne so, le altre bombe non esistono, e se anche esistono, qui c’è molto spazio, e poi ho un’ottima guida. Theo mi precederà.

Werry smise di passeggiare. — Ti avverto. Non farlo.

— Andiamo, non voglio che ti preoccupi, signor Werry. — La voce era esaltata, nervosa, beffarda. — Theo e io ci faremo una bella camminata fino al tetto. Con un po’ di fortuna, puoi venirtelo a prendere lì fra cinque minuti. Stai attento che nessuno cerchi di prendere me, è tutto. Ho la pistola del grassone, e la so usare.

— Lutze! Lutze! — Werry scosse lo strumento che aveva al polso, quasi per costringerlo a rispondere, ma il contatto radio era interrotto. May Carpenter si coprì la faccia e uscì in un singhiozzo soffocato. Werry si passò l’indice sul petto, tracciò la forma d’un corpetto AG, e spinse Quigg in direzione della sua macchina. Quigg annuì e corse via. Werry si avvicinò alla postazione televisiva, e il gruppo di uomini si aprì per farlo passare.