— Verrò su con te. — Morlacher cominciò a stringere le cinghie del suo corpetto.
— Basta che non ti porti dietro quel fucile — disse Werry, severo. — Non possiamo permettere che tu spari come ti pare alla gente.
Morlacher continuò a rivolgersi a Pridgeon. — Mi porterò su il fucile, e se vedo qualcuno gli sparo.
— Be’, non so come state voialtri, ma io ho fame — disse Werry, girandosi verso Hasson, improvvisamente allegro e gioviale. — Andiamo, Rob. May diventerà una furia se non arriviamo in tempo per quelle bistecche.
Tornò alla macchina e si accomodò dietro il volante, facendo sobbalzare le sospensioni. Hasson, che aveva appena scoperto di potersi muovere senza pericolo, risalì in macchina e chiuse la portiera. Abbassò le mani sulle ginocchia e restò a fissarle. Werry accese il motore, tracciò un semicerchio sulla neve compatta e ritornò in strada. Un minuto di silenzio fu il massimo che Hasson riuscì a sopportare.
— Al — chiese tranquillamente — quand’è che chiami gli altri?
— Gli altri? — Werry sembrava davvero sorpreso. — E perché?
— Hai colto Pridgeon in flagrante. Volava col fucile in spalla. E Morlacher ha intenzione di fare lo stesso.
— Non c’è troppo da preoccuparsi. Per di più, eravamo sulla proprietà privata di Buck.
— Questo non conta, per i regolamenti aerei.
Werry rise. — Calma, Rob. Questa non è l’Inghilterra. Qui la gente non sta gomito a gomito. Abbiamo milioni di chilometri quadrati di terreno aperto, e lì potresti far cadere interi quartieri senza che nessuno se ne accorga.
— Ma… — Hasson strinse più forte le ginocchia con le mani, e le ossa delle nocche si tesero sotto la pelle come collinette immacolate, ognuna solcata da una sottile linea rosa. Adesso capiva perché non ricordava il primo incontro con Werry: aveva creduto che Werry fosse un uomo di un certo tipo, un uomo che invece non esisteva.
— Pridgeon ha fatto apposta a farti cadere, sai — disse. Capiva benissimo che non erano affari suoi, ma non riusciva a stare zitto.
— Ne combina sempre una delle sue — rispose Werry, indifferente. — Crede di essere spiritoso. Ma non significa niente.
«È qui che ti sbagli» pensò Hasson. «Il simbolismo significa tutto». — Da quello che ho visto…
— Credevo che non avessi visto niente — lo interruppe Werry. — Quando Starr te l’ha chiesto, hai detto di non aver visto niente.
— Sì, ma… — Hasson si sentì colto sul vivo dalla risposta di Werry, soprattutto perché non poteva negare i fatti, e si abbandonò a un silenzio vergognato, colpevole. Entrarono nel cuore di Tripletree e lui cominciò a studiare le sagome sconosciute dei negozi, degli uffici; ritirandosi in se stesso, cogliendo particolari che non gli erano familiari, notando i molti modi in cui era possibile combinare finestre, pareti e porte, paragonando con una punta di nostalgia quello che vedeva all’architettura familiare dei villaggi rurali inglesi. Le strade erano affollate di acquirenti, e molti indossavano, come protezione contro il freddo, tute da volo dai colori sgargianti. Due poliziotti (uno grasso e sulla mezza età, l’altro poco più che adolescente) rivolsero cenni di cortesia a Werry quando la macchina si fermò a un incrocio. Werry li gratificò di una parodia di saluto d’ordinanza, poi sorrise, di nuovo perfettamente a suo agio nella propria parte. Il poliziotto grasso mimò i gesti di chi impugna coltello e forchetta. Werry annuì, e immediatamente i due uomini girarono sui tacchi, infilandosi in una tavola calda.
— Mangiano sempre, quei due — commentò Werry. — Però, se non altro, so dove trovarli.
Hasson, sorpreso dal tono informale dei rapporti di Werry coi suoi uomini, decise che quello era un altro segno: era solo, abbandonato, orfano in un mondo sconosciuto. Si stava di nuovo cullando nei meravigliosi recessi dell’autocommiserazione, quando scoprì che la macchina si addentrava in un’altra zona residenziale, dopo aver superato solo tre o quattro strade periferiche.
— Quante persone abitano a Tripletree? — chiese guardandosi attorno con una certa sorpresa.
— Ventiseimila, stando all’ultimo censimento. — Werry gli lanciò un’occhiata divertita. — Comunque noi continuiamo a chiamarla una città. Quando le province sono diventate autonome e hanno ottenuto di governarsi da sé, ogni buco del Canada ha voluto diventare una città a tutti gli effetti, per cui adesso siamo pieni di città. Qui nell’Alberta non ci sono villaggi o paesi. Solo città. A centinaia. — Werry rise e tirò su il berretto. Sembrava che gli fosse tornato tutto il buonumore.
— Capisco. — Hasson cercò di digerire l’informazione. — E quanti uomini hai a disposizione?
— In servizio attivo, quattro. I due che hai visto entrare da Ronnie son metà delle mie forze. L’altra metà si occupa del traffico aereo.
— Non mi sembrano sufficienti.
— Me la cavo, e poi questo lavoro comporta la carica di capo della polizia. Se mi trasferiscono in una grossa città, sarà come capo della polizia.
Hasson cercò d’immaginare come fosse possibile svolgere un effettivo lavoro di polizia con soli quattro uomini, ma la sua immaginazione si arrese. Era sul punto di fare altre domande quando Werry rallentò in un corto viale con case rustiche dipinte di bianco. Lì, a differenza della via principale, la neve, non spalata, si ammassava sulle banchine in mucchi sporchi di fango. Quando capì che erano arrivati a casa di Werry e che stava per incontrare la sua famiglia, il cuore cominciò ad accelerare i battiti. L’auto si fermò a metà del viale, davanti a una casa in parte nascosta da giovani abeti.
— Eccoci qua — disse allegramente Werry. — Rob, tra un attimo avrai i piedi sotto la tavola.
Hasson tentò di sorridere. — Ricorda — gli aveva detto il dottor Colebrook. — Una persona che ha subìto un esaurimento nervoso ed è riuscita a sconfiggerlo può affrontare la vita molto meglio di chi non è mai passato attraverso un’esperienza del genere. La battaglia per riacquistare l’autocontrollo mette a nudo forze interiori e risorse che altrimenti non si scoprirebbero mai. — Ricordando quelle parole, Hasson cercò di trarne conforto mentre, timoroso di guardare la casa e di poter incontrare occhi di estranei, apriva la portiera e appoggiava i piedi a terra. Scoprì che la sosta di pochi minuti prima all’hotel gli era servita a riportare alla normalità la spina dorsale e i muscoli lombari, e che stava in piedi benissimo. Felice di quel sollievo, insistette e strappò due delle sue valigie dalle mani di Werry, e le trasportò lungo il sentiero che conduceva alla casa.
Werry spalancò giovialmente la porta esterna e quella interna e lo fece entrare in un’atmosfera calda, che sapeva di cibo, di cera per pavimenti, e di canfora. Una scala partiva sulla destra del piccolo ingresso, e lo spazio era ulteriormente ridotto da un attaccapanni vecchio stile che rigurgitava di indumenti pesanti, tute da volo imbottite e corpetti AG. Ai muri erano appese fotografie incorniciate e alcuni pastelli molto dilettanteschi, che davano un senso d’intimità domestica. Hasson si sentì più che mai straniero in terra straniera, perché la casa che ospitava quegli oggetti non era casa sua.
Si stava guardando attorno, depresso e paralizzato, quando una donna sulla trentina aprì la porta all’estremità della parete. Era d’altezza media, bionda, coi fianchi piccoli ma il corpo pieno, e lo stesso identico tipo di labbra piene, di vivace sensualità, che Hasson aveva visto in centinaia di vecchi film bidimensionali proiettati ai cineclub. Quella, pensò, era la ragazza del saloon contenta del proprio lavoro, l’amica del gangster, l’amante che viveva alle spalle del pezzo grosso, la cameriera del caffè lungo la strada per i cui favori i camionisti si picchiavano a colpi di sedia. Era vestita in maniera adatta alle diverse parti: scarpe coi tacchi alti, calzoncini da toreador, e maglietta bianca a T, aperta. Hasson non riuscì a sostenere lo sguardo.