Almeno, poteva costringerlo a mantenere le distanze.
Gli sarebbe servito proprio tanto, pensò, amareggiato. Ma passò lo stesso un’ora, e anche quella successiva, a raccoglier pietre di dimensioni ridotte, adatte al lancio, disponendole in parecchi mucchi ordinati, accanto al suo lato della barriera.
Ora la gola gli ardeva come se vi bruciasse un fuoco, e Carson faticava a pensare a qualcosa di diverso, salvo l’acqua. Ma doveva pensare ad altre cose. Ad attraversare quella barriera, sotto o sopra di essa, ad attaccare quella sfera rossa e ad ucciderla, prima che il calore e la sete uccidessero lui.
La barriera si stendeva fino alla parete, su entrambi i lati, ma quanto in alto, o quanto sotto la sabbia?
Per un attimo la mente di Carson fu troppo confusa per elaborare un modo per scoprire l’una o l’altra di queste cose. Oziosamente, seduto sulla sabbia scottante, e non riusciva a ricordarsi di essersi seduto, osservò una lucertola azzurra che strisciava fuori da sotto un cespuglio per rifugiarsi sotto un altro.
La creatura lo guardò da sotto il secondo cespuglio.
Carson le rivolse un sorriso. Forse cominciava ad essere un po’ stordito, poiché ricordò all’improvviso la vecchia storia di quei coloni nel deserto di Marte, variante di una storia ancora più antica dei deserti della Terra: «Ben presto vi sentirete così soli che comincerete a parlare alle lucertole, e poi, non molto dopo, scoprirete che le lucertole vi rispondono…»
Sì, certo, avrebbe dovuto concentrarsi sul modo di uccidere il Rotolante, ma invece sorrise alla lucertola, e le disse: — Ciao.
La lucertola fece alcuni passi verso di lui. — Ciao, — rispose.
Carson la fissò sbigottito per un attimo, poi rovesciò indietro la testa ed esplose in una risata ruggente. E ridere così non gli fece neppure male alla gola; non era poi tanto assetato.
Perché no? Perché mai l’Entità che aveva elaborato quel posto allucinante non avrebbe potuto possedere il senso dell’umorismo, insieme a tutti gli altri poteri? Lucertole parlanti in grado di rispondergli nella sua lingua, se si fosse rivolto a loro… un tocco simpatico, raffinato.
Sorrise alla lucertola e le disse: — Vieni qui da me. — La lucertola si girò e fuggì via, correndo da un cespuglio all’altro, finché non scomparve.
Tornò ad essere tormentato dalla sete.
E doveva fare qualcosa. Non avrebbe certo vinto quel duello restandosene seduto lì, tutto sudato e avvilito. Doveva fare qualcosa… ma che cosa?
Attraversare la barriera. Ma non poteva attraversarla, né scavalcarla con un salto. Ma era proprio certo di non poter passare sotto ad essa? E, a pensarci bene, a volte non si trovava l’acqua, scavando? Due piccioni con una fava…
Tutto dolorante, Carson raggiunse zoppicando la barriera e cominciò a scavare, tirando fuori la sabbia a due manciate per volta. Era un lavoro lento e difficile, poiché la sabbia scorreva indietro dai bordi della buca, e più scendeva in profondità, più ampio doveva essere il diametro della buca. Quante ore gli ci vollero, non avrebbe saputo calcolarlo, ma a un metro e trenta di profondità raggiunse un letto di roccia. Un letto di roccia perfettamente asciutto: nessuna traccia d’acqua.
E il campo di forza della barriera scendeva dritto fino a quel letto di roccia. Niente da fare. Niente acqua. Niente.
Strisciò fuori dalla buca e giacque ansante. E poi, sollevò la testa e guardò dall’altra parte per vedere cosa stesse facendo il Rotolante. Certo, stava combinando qualcosa, laggiù.
Infatti. Stava costruendo qualcosa col legno dei cespugli legato insieme coi viticci. Un’intelaiatura di forma strana, alta all’incirca un metro e trenta, e press’a poco quadrata. Per veder meglio, Carson salì in cima al mucchio di sabbia che aveva scavato fuori dalla buca, e restò lì, aguzzando gli occhi.
C’erano due lunghe leve che sporgevano da dietro quella struttura, una con un affare a forma di tazza all’estremità. Sembrava una specie di catapulta, pensò Carson.
E infatti il Rotolante stava sollevando una pietra di considerevoli dimensioni; la depositò nella tazza. Uno dei tentacoli manovrò poi l’altra leva, poi spostò l’intera incastellatura, come per prendere la mira, e il braccio con la pietra scattò fulmineo in alto e in avanti.
La pietra descrisse un arco parecchi metri sopra la testa di Carson, così lontana da lui che neppure dovette abbassare la testa per schivarla. Però, valutò la lunghezza del lancio e fischiò sommesso tra sé. Lui non sarebbe mai riuscito a lanciare una pietra di quel peso, e per quella distanza. Neppure alla metà. E anche ritirandosi in fondo al suo territorio, non si sarebbe posto fuori portata da quella macchina, se il Rotolante l’avesse avvicinata alla barriera.
Un’altra pietra gli passò sopra, fischiando. Molto più vicina, questa volta. I lanci si stavano facendo pericolosi. Avrebbe fatto meglio a escogitar qualcosa per fermarli.
Continuando a muoversi avanti e indietro lungo la barriera, per impedire alla catapulta di prender bene la mira, le scagliò contro una dozzina di pietre. Ma vide subito che non sarebbe servito a niente: dovevano esser pietre leggere, altrimenti non sarebbe riuscito a scagliarle. Ma allora, anche quando colpivano il bersaglio, rimbalzavano via innocue. E il Rotolante non aveva alcuna difficoltà, a quella distanza, a scansarsi tutte le volte che una pietra minacciava di centrarlo.
Inoltre, il braccio di Carson cominciava a stancarsi. Tutto il corpo gli doleva per la tremenda stanchezza. Se soltanto avesse potuto riposarsi un po’ senza dover schivare le pietre lanciate da quella catapulta a intervalli non più lunghi di una trentina di secondi…
Tornò, barcollando, in fondo all’arena. Poi vide che anche questo non gli serviva a nulla. Le pietre arrivavano fin lì, solo che c’erano intervalli più lunghi fra i lanci, come se ci volesse più tempo per caricare il meccanismo, qualunque fosse, della catapulta.
Stancamente, tornò a trascinarsi fino alla barriera. Cadde molte volte e a stento riuscì a rialzarsi per proseguire. Era, lo sapeva, ormai allo stremo. Eppure, neppure adesso osava smettere di muoversi, ostinatamente deciso a mettere fuori uso, se vi fosse mai riuscito, quella catapulta. Se si fosse addormentato, non si sarebbe svegliato mai più.
Una delle pietre lanciate dalla catapulta gli diede il barlume di un’idea. Colpì uno dei mucchi di pietre che aveva eretto accanto alla barriera per usarle come munizioni, e dall’urto sprizzarono scintille.
Scintille. Fuoco. L’uomo primitivo aveva fatto il fuoco provocando scintille, e con alcuni di quei cespugli secchi e friabili come esca…
Per sua fortuna, un cespuglio di quel tipo era proprio accanto a lui. Spezzò dei ramoscelli, li portò accanto al mucchio di pietre, poi, pazientemente, sbatté una pietra contro l’altra finché una scintilla colpì il legno sbriciolato. E subito questo s’infiammò, così in fretta che gli bruciacchiò le sopracciglia, riducendosi in cenere in pochi istanti.
Ma ora aveva afferrato l’idea. Nel giro di pochi minuti aveva acceso un focherello al riparo della montagnola di sabbia che aveva eretto scavando la buca, un’ora o due prima. Il legno simile all’esca l’aveva iniziato, e ramoscelli d’altro tipo l’avevano alimentato, bruciando più lenti ma con fiamma costante.
I viticci duri, simili a fil di ferro, non bruciavano subito; ciò rese più facile confezionare bombe incendiarie e lanciarle: le fece avvolgendo una piccola fascina intorno a una pietra, per darle massa, e legando il tutto con dei viticci, tenuti lunghi per far roteare il proiettile prima di lanciarlo, dandogli velocità.
Ne fece una mezza dozzina prima di accendere e scagliare il primo. Cadde assai lontano, e il Rotolante iniziò una rapida ritirata, tirandosi dietro la catapulta. Ma Carson aveva pronti gli altri, e li scagliò in rapida successione. Il quarto s’incastrò nella struttura della catapulta, e fece l’effetto voluto: il Rotolante tentò disperatamente di spegnere le fiamme che si diffondevano rapide buttandoci sopra della sabbia, ma i suoi tentacoli riuscivano a raccoglierne troppo poco per volta, e i suoi sforzi furono inutili. La catapulta bruciò.