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Lloyd sospirò, poi si guardò in giro, cercando di capire se qualcuno avesse da obiettare a che lui proseguisse. Nessuno lo fece. «Il nome Jacob Horowitz le dice niente?»

«Io non… oh, aspetti. Ma certo. Certo, certo. Ecco chi mi ricordava. Già, era Jacob Horowitz, ma, accidenti, avrei dovuto prendermi un po’ più cura di lui. Sembrava invecchiato di qualche decennio da quando l’ho visto l’ultima volta.»

Antonia emise un rantolo soffocato. Lloyd sentì che il cuore gli batteva più forte.

«Senta» disse la Tompkins. «Voglio accertarmi che tutti i miei familiari stiano bene. I miei genitori sono a Winnipeg… devo muovermi.»

«Possiamo richiamarla fra un po’?» chiese Lloyd. «Vede, qui con noi c’è Jacob Horowitz, e la sua visione sembra molto simile… in un certo senso. Ha detto che si trovava in un laboratorio…»

«Sì, esatto. Era un laboratorio.»

L’incredulità si fece strada nella voce di Lloyd. «Ed era in mutande?»

«Be’, non più, alla fine della visione… Senta, io devo andare.»

«Grazie» disse Lloyd. «Arrivederci.»

«Arrivederci.»

Il segnale tipico delle linee telefoniche svizzere risuonò dall’altoparlante. Theo allungò la mano e lo mise a tacere.

Jacob Horowitz appariva ancora decisamente imbarazzato. Lloyd fu lì lì per dirgli che probabilmente la metà dei fisici che conosceva lo avevano fatto in un laboratorio, prima o poi, ma il ragazzo rischiava di avere un crollo nervoso se qualcuno avesse appena provato a dire qualcosa. Lloyd tornò a far scorrere lo sguardo sul cerchio dei presenti. «Va bene» disse. «Va bene. Lo dirò io, perché so che lo pensate tutti. Qualunque cosa sia successa, ha provocato una sorta di effetto temporale. Le visioni non erano allucinazioni, erano vere e proprie immagini del futuro. Il fatto che Jacob Horowitz e Carly Tompkins abbiano entrambi visto la stessa cosa è un forte sostegno a questa ipotesi.»

«Ma la visione di Raoul era psichedelica, non l’ha detto qualcuno?» disse Theo.

«Già» confermò Raoul. «Come un sogno, o qualcosa del genere.»

«Come un sogno» ripeté Michiko. I suoi occhi erano ancora rossi, ma almeno stava reagendo agli stimoli del mondo esterno. Fu tutto ciò che disse, ma dopo un attimo Antonia colse il significato di quelle parole e lo elaborò. «Michiko ha ragione» disse la donna, che era un fisico anche lei. «Non c’è nessun mistero… in qualsiasi punto del futuro avvengono le visioni, Raoul doveva essere addormentato, e stava facendo un sogno vero e proprio.»

«Ma tutto questo è assurdo» obiettò Theo. «Insomma, io non ho avuto nessuna visione.»

«Quale è stata la tua esperienza?» gli domandò Sven, che non aveva sentito Theo parlarne prima.

«Era… non so, come una discontinuità, direi. All’improvviso è stato due minuti più tardi: non ho avuto la sensazione del passare del tempo, e niente che assomigliasse minimamente a una visione.» Theo incrociò le braccia sul petto ampio con aria di sfida. «Come lo spieghi?»

C’era una gran calma, nella sala. Le espressioni addolorate di un buon numero di volti fecero capire a Lloyd che anche loro erano giunti alla stessa conclusione, ma nessuno se la sentiva di esprimerla a voce alta. Lloyd scrollò appena le spalle. «Semplice,» disse al suo brillante, baldanzoso, ventisettenne collega di vecchia data, «fra vent’anni… o il giorno a cui appartengono le visioni…» Fece una pausa, poi allargò le braccia. «Mi dispiace, Theo, ma fra vent’anni tu sarai morto.»

5

La visione che Lloyd desiderava ascoltare più di ogni altra era quella di Michiko. Ma la donna era immobile e silenziosa — e lo sarebbe rimasta certamente per lungo tempo — completamente estraniata dalla situazione. Quando giunse il suo turno, Lloyd la saltò. Avrebbe voluto portarla a casa, ma era senza dubbio meglio che lei non restasse sola, e non era possibile che Lloyd, o chiunque altro, si assentasse per farle compagnia.

Nessuna delle altre visioni riferite dal piccolo campionario di persone riunite nella sala convegni coincideva con un’altra: non c’era nessuna indicazione che si riferissero allo stesso tempo o alla stessa realtà, anche se sembrava che quasi tutti fossero in vacanza, o in un giorno di libertà. Ma c’era la questione di Jake Horowitz e Carly Tompkins… separati da quasi mezzo pianeta eppure apparentemente in contatto fra loro. Naturalmente poteva trattarsi di una coincidenza. Eppure, se le visioni corrispondevano, non solo a grandi linee, ma nei minimi dettagli, quello era un aspetto significativo.

Lloyd e Michiko si erano ritirati nell’ufficio di lui. Michiko si era raggomitolata in una delle poltrone, e si era messa addosso la giacca a vento di Lloyd a mo’ di coperta. Lloyd prese la cornetta del telefono che si trovava sulla scrivania e compose un numero. «Bonjour» disse. «La polke de Genève? Je m’appelle Lloyd Simcoe; je suis avec CERN.»

«Oui, monsieur Simcoe» rispose una voce maschile, e passò all’inglese; gli svizzeri lo facevano spesso quando riconoscevano l’accento di Lloyd. «Che cosa possiamo fare per lei?»

«So che siete terribilmente occupati…»

«Un’affermazione riduttiva, monsieur. Siamo, come dite voi, impantanati.»

Con l’acqua alla gola, lo corresse mentalmente Lloyd. «Ma spero che uno dei vostri funzionari addetti alla raccolta delle deposizioni sia libero. Abbiamo una teoria a proposito delle visioni, e ci serve l’aiuto di qualcuno che sappia come raccogliere una testimonianza.»

«La collego con l’ufficio competente» disse la voce.

Mentre Lloyd aspettava, Theo si affacciò alla porta dell’ufficio. «Su World Service della BBC sostengono che molte persone hanno avuto visioni coincidenti» disse. «Per esempio, molte coppie sposate, anche se non si trovavano nella stessa stanza nel momento in cui si è verificato il fenomeno, hanno riferito esperienze simili.»

Lloyd annuì a quel frammento di informazione. «Però credo che ci sia sempre una possibilità di collusione, per qualche motivo, oppure, nonostante Carly e Jake, che la sincronizzazione delle visioni sia stata un fenomeno localizzato. Ma…»

Non finì la frase… in fin dei conti era a Theo che stava parlando, a colui che non aveva avuto visioni. Ma se Carly Tompkins e Jacob Horowitz — lei a Vancouver, lui dalle parti di Ginevra — avevano visto davvero la stessa identica cosa, allora non c’erano più dubbi: le visioni appartenevano allo stesso futuro, tessere di un mosaico del domani… un domani che non comprendeva Theo Procopides.

«Mi descriva la stanza in cui si trovava» disse l’esperta in deposizioni, una ispettrice svizzera di mezza età. Aveva un’agenda elettronica di fronte a sé, e indossava una maglietta polo piuttosto abbondante; di moda l’ultima volta alla fine degli anni ottanta, e ora tornata ciclicamente in voga.

Jacob Horowitz chiuse gli occhi per concentrarsi, tentando di ricordare ogni dettaglio. «È una specie di laboratorio. Pareti gialle. Luci fluorescenti. Banconi con il piano in formica. Una tavola degli elementi appesa al muro.»

«E c’è qualcun altro nel laboratorio?»

Jake annuì. Dio, perché avevano mandato un ispettore di sesso femminile? «Sì. C’è una donna… Una donna bianca, con i capelli neri. Dimostra sui quarantacinque anni.»

«E che cosa indossa questa donna?»

Jake deglutì. «Niente…»

L’ispettrice svizzera se ne era andata, e adesso Lloyd e Michiko stavano confrontando i rapporti delle visioni di Carly e di Jacob; Carly aveva accettato di farsi esaminare in modo analogo dalla polizia di Vancouver, e il risultato di quella deposizione era stata inviato al CERN per posta elettronica.

Nelle ore successive alla morte della figlia, Michiko si era un po’ ripresa. Stava chiaramente cercando di mettere a fuoco, di riprendersi, di fronteggiare una crisi più forte, ma ogni pochi minuti si ritraeva in se stessa e i suoi occhi si riempivano di lacrime. Tuttavia riuscì a leggere le due pagine trascritte senza inumidire troppo la carta.