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«Non c’è dubbio» disse. «Coincidono in ogni particolare. Si trovavano nella stessa stanza.»

Lloyd tentò un debole sorriso. «Ragazzi» disse. Conosceva Michiko solo da due anni; non avevano mai fatto l’amore in laboratorio… ma nei suoi giorni di preparazione al dottorato, Lloyd e la sua ragazza di allora, Pamela Ridgley, avevano di certo riscaldato più di un bancone da lavoro. Poi, però, scosse la testa, stupito. «Un’occhiata sul futuro. Affascinante» Fece una pausa. «Immagino che qualcuno ci si arricchirà.»

Michiko scrollò appena le spalle. «Alla fine, forse. Quelli che hanno letto i listini di borsa del futuro potranno diventare ricchi… ma passeranno decenni. È un tempo molto lungo da attendere, perché ti ripaghi di tutto.»

Lloyd tacque per un po’, quindi disse: «Ancora non mi hai raccontato quello che hai visto tu… qual è stata la tua visione.»

Michiko distolse lo sguardo. «No» replicò. «Non te l’ho raccontato.»

Lloyd le sfiorò la guancia, ma non disse nulla.

«Nel momento… nel momento in cui avevo la visione, mi è sembrata magnifica» cominciò lei. «Voglio dire, ero disorientata e confusa, non capivo quello che stava succedendo. Ma la visione in sé era piena di gioia.» Riuscì a concedersi un pallido sorriso. «Solo che adesso, dopo quello che è accaduto…»

Lloyd non la sollecitò nemmeno questa volta. Rimase a sedere tranquillo, almeno esteriormente.

«Era notte fonda» disse alla fine Michiko. «Ero in Giappone; sono sicura che fosse una casa giapponese. Mi trovavo sul lettino di una bambina, seduta sul bordo. E questa bambina, forse di sei o sette anni, era seduta sul letto e parlava con me. Era bellissima, ma non era… non era…»

Se le visioni appartenevano a qualche decennio nel futuro, ovviamente non era Tamiko. Lloyd annuì dolcemente, risparmiandole di dover finire il racconto. Michiko tirò su col naso. «Ma… ma era mia figlia; era mia figlia senza dubbio. Una figlia che non ho ancora. Mi teneva la mano e mi chiamava okaasan; è la parola giapponese per mamma. Ho avuto l’impressione che la stessi mettendo a letto, augurandole la buonanotte.»

«Tua figlia…» disse Lloyd.

«Be’, nostra figlia, ne sono certa» disse Michiko. «Tua e mia.»

«Che ci facevi in Giappone?»

«Non lo so; una visita ai miei familiari, immagino. Mio zio Masayuki vive a Kyoto. A parte il fatto che avevamo una figlia, non ho avuto affatto la sensazione che la cosa si svolgesse nel futuro.»

«Questa bambina, lei aveva…»

Lloyd si interruppe. Quello che voleva chiederle era rozzo e volgare. «Aveva gli occhi a mandorla?» 0 magari si sarebbe ripreso in tempo e avrebbe riformulato la domanda in modo più elegante: «Aveva le pieghe epicantiche?» Ma Michiko non avrebbe capito. Avrebbe pensato che dietro le parole di Lloyd si nascondesse qualche pregiudizio, qualche sciocco equivoco sulla mescolanza razziale. Ma non era così. A Lloyd non interessava se i loro eventuali figli avrebbero avuto un aspetto orientale od occidentale. Potevano avere facilmente l’uno o l’altro, o anche, logicamente, un insieme dei due, e lui li avrebbe amati allo stesso modo, presumendo…

Presumendo, naturalmente, che fossero i suoi figli.

Le visioni sembravano appartenere a un tempo lontano nel futuro forse due decenni. E nella sua visione, di cui ancora non aveva messo a conoscenza Michiko, lui si trovava da qualche parte, forse nel New England, insieme a un’altra donna. Una donna bianca. E Michiko era a Kyoto, Giappone, con una figlia che poteva essere asiatica o caucasica, o una via di mezzo, a seconda di chi era il padre.

Questa bambina, lei aveva…

«Aveva che cosa?» chiese Michiko.

«Niente» rispose Lloyd, distogliendo lo sguardo.

«Che mi dici della tua visione?» gli domandò Michiko. «Che cosa hai visto?»

Lloyd respirò a fondo. Immaginava che prima o poi avrebbe dovuto dirglielo, e…

«Lloyd, Michiko… venite giù nella sala convegni, ragazzi.» Era la voce di Theo, che aveva fatto di nuovo capolino. «Abbiamo appena registrato qualcosa sulla CNN che vi farà piacere sentire.»

Lloyd, Michiko e Theo entrarono nella sala, dove c’erano già altre quattro persone. Lou Waters, con i suoi bianchi capelli, saltellava in alto e in basso sullo schermo: il videoregistratore della sala era piuttosto antiquato — lo scarto di qualche funzionario — e la funzione di pausa era difettosa.

«Ah, bene» disse Raoul mentre entravano. «Guardate questo.» Toccò il tasto pausa del telecomando, e Waters si mise subito in azione.

«…David Houseman ha qualcosa di nuovo da raccontarci su questa storia. David?»

L’immagine cambiò, mostrando David Houseman, della CNN, in piedi davanti a una parete di orologi antichi. Perfino di fronte a una vicenda drammatica come quella, la CNN non rinunciava a ricercare le inquadrature più insolite.

«Grazie, Lou» disse Houseman. «Gran parte delle visioni della gente, naturalmente, non hanno nessun riferimento temporale, ma un certo numero di persone si è trovato all’interno di stanze con orologi o calendari alla parete, o a leggere giornali elettronici — pare che non esistano più quelli cartacei — tanto da consentirci di ipotizzare una data. A quanto sembra le visioni si riferivano a un tempo successivo di ventuno anni, sei mesi, due giorni e due ore rispetto al momento in cui hanno avuto luogo: riproducono il periodo fra le 2.21 e le 2.23 del pomeriggio, ora della costa orientale, di mercoledì 23 ottobre 2030. Le occasionali divergenze sono spiegabili: sembra che qualcuno leggesse giornali del giorno prima, o magari anche più vecchi… forse rileggevano vecchie edizioni. E i riferimenti cronologici, naturalmente, dipendono in gran parte dal fuso orario. Noi presumiamo che fra vent’anni la maggioranza delle persone vivrà ancora nella stessa fascia oraria in cui vive oggi, e quindi coloro che riferiscono orari diversi di parecchie ore da quelli che ci aspettiamo devono essersi trovati in altre fasce…»

Raoul premette di nuovo il tasto pausa.

«Ci siamo» disse. «Un numero consistente. Qualsiasi cosa abbiamo scatenato oggi, ha fatto sì che l’intera razza umana, chissà come, vivesse consapevolmente due minuti della sua vita di ventuno anni dopo.»

Theo tornò al suo ufficio, dalla cui finestra risaltava il buio della notte. Tutto quel parlare di visioni era seccante… soprattutto perché lui non ne aveva avute. Lloyd poteva avere ragione? Theo poteva essere morto, ventuno anni dopo? Aveva solo ventisette anni, per l’amor del cielo; fra vent’anni non avrebbe nemmeno raggiunto i cinquanta. Non fumava… affermazione di scarsa rilevanza per un qualsiasi nordamericano, ma significativa per un greco. Si teneva in esercizio regolarmente. Perché mai doveva morire così presto? Se non aveva avuto visioni, doveva esserci un’altra spiegazione.

Il suo telefono fece bip. Theo sollevò la cornetta. «Pronto?»

«Pronto» disse una voce femminile, in inglese. «Parlo con, ehm, Theodosios Procopides?» Inciampo sul nome.

«Sì.»

«Mi chiamo Kathleen DeVries» disse la donna. «Mi sorto domandata a lungo se chiamarla o no. Telefono da Johannesburg.»

«Johannesburg? Intende dire nel Sudafrica?»

«Per il momento, almeno» replicò lei. «Se si deve credere alle visioni, entro i prossimi ventuno anni verrà denominato ufficialmente Azania.»

Theo attese in silenzio che la donna proseguisse. Dopo un attimo lo fece. «E proprio per le visioni che la sto chiamando. Vede, la mia riguardava lei.»