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L’esperimento del grande collisore al quale lui e Lloyd avevano lavorato per anni avrebbe dovuto produrre il bosone di Higgs; se lo avessero prodotto, ne sarebbe certamente seguito il Nobel. Invece non avevano raggiunto quell’obiettivo.

Quell’obiettivo… come se avessero potuto accontentarsi di un solo obiettivo.

Morto fra ventuno anni. Chi lo avrebbe ricordato?

Era tutto così assurdo. Così incredibile.

Lui era Theodosios Procopides, per l’amor di Dio. Era immortale.

Certo che lo era. Certo che lo era. Chi non lo era, a ventisette anni?

Una moglie. Dei bambini. Di certo il necrologio li menzionava. Di certo, se la signora DeVries avesse premuto il tasto giusto, avrebbe letto i loro nomi, e magari la loro età.

Ma un attimo… un attimo!

Quante pagine ci sono in un giornale tipico di una grande città? Duecento, diciamo. Quanti lettori? La circolazione media di un quotidiano importante può essere di circa mezzo milione di copie. Naturalmente la DeVries aveva detto di aver letto il giornale di ieri, ma non poteva essere stata l’unica a leggere quell’articolo durante l’incursione di due minuti nel futuro.

Per di più, Theo sarebbe stato ucciso, a quanto sembrava, proprio in Svizzera — l’articolo parlava di Ginevra — eppure la vicenda era apparsa su un giornale sudafricano. Il che significava che doveva essere apparsa anche su altri giornali e newsgroup in tutto il mondo, magari con differenti resoconti dei fatti. Certamente la Tribune de Genève avrebbe pubblicato un servizio più dettagliato. Dovevano esserci centinaia — forse migliaia — di persone che avevano letto la notizia della sua morte.

Poteva mettere un annuncio per contattarle, su Internet e sui giornali più diffusi. Scoprire di più… e accertarsi al di là di ogni dubbio se quello che aveva detto la DeVries era vero.

«Guardi qui» disse Jake Horowitz, sbattendo l’agenda elettronica sulla scrivania di Lloyd; mostrava una pagina Web.

«Che cos’è?»

«Materiale dall’Ufficio geologico degli Stati Uniti. Letture dei sismografi.»

«Ah, si?»

«Guardi le prime letture di oggi.»

«Santo Dio!»

«Proprio così. Per quasi due minuti, con inizio alle 17.00, ora dell’Europa centrale, i sensori non hanno registrato niente. 0 indicano disturbo zero — cosa impossibile, perché la Terra trema sempre leggermente, anche per semplici interazioni di marea con la Luna — oppure non hanno registrato dati. Proprio come le videocamere: nessuna registrazione di ciò che è accaduto veramente durante quei due minuti. E ho controllato anche i diversi servizi nazionali di previsioni meteorologiche. I loro strumenti di misurazione — velocità del vento, temperatura, pressione dell’aria e via dicendo — non indicano niente per tutta la durata del Cronolampo. E anche la NASA e l’ESA segnalano periodi morti nella telemetria dei loro satelliti durante quei due minuti.»

«Come può essere?» domandò Lloyd.

«Non lo so» rispose Jake, passandosi una mano sui capelli rossi. «Ma chissà come, ogni telecamera, ogni sensore, ogni strumento di registrazione in qualsiasi parte del mondo è diventato semplicemente inattivo per tutta la durata del Cronolampo.».

Theo sedeva alla scrivania del suo ufficio, con un Paperino di plastica che lo guardava dalla sommità del monitor, pensando a come trasformare in un testo quello che voleva dire. Decise di essere semplice e immediato. In fondo quello che gli occorreva era rendere 1 informazione disponibile sotto forma di un annuncio da inserire nella piccola pubblicità di centinaia di giornali di tutto il mondo; se non fosse stato conciso gli sarebbe costata una fortuna. Aveva tre tastiere: una francese del tipo AZERTY, una inglese del tipo QWERTY, e una greca. Si servì di quella inglese.

Theodosios Procopides, nato ad Atene, dipendente del CERN, verrà ucciso il 21 ottobre 2030. Se la tua visione ha qualche riferimento a questo delitto, per favore contatta procopides@cern.ch

Pensò di lasciarlo così, poi aggiunse una frase finale: ‘Sto cercando di prevenire la mia morte’.

Poteva tradurlo in greco e in francese da solo; in teoria il suo computer poteva farlo per lui in qualsiasi altra lingua, ma se c’era una cosa che la sua vita al CERN gli aveva insegnato era che le traduzioni del computer erano spesso inadeguate… ricordava ancora lo sgradevole incidente del banchetto di Natale che era diventato banco di Natale. No, avrebbe richiesto l’aiuto dei diversi dipendenti del CERN, anche per farsi consigliare quali fossero i giornali più importanti dei vari paesi.

Una cosa, però, poteva farla subito: trasmettere il suo annuncio ai diversi newsgroup. Lo fece prima ancora di andare a casa a dormire.

Finalmente, all’una del mattino, Lloyd e Michiko se ne andarono dal CERN. Anche questa volta lasciarono la Toyota di lei nel parcheggio: accadeva spesso che chi lavorava fino a tardi rimediasse un passaggio da un collega.

Michiko lavorava per la Sumitomo Electric. Era un ingegnere specializzato nella tecnologia dell’acceleratore superconduttore, assegnata al CERN con contratto a lungo termine; lo stesso CERN aveva acquistato dalla Sumitomo diversi componenti per il grande collisore. Il suo datore di lavoro aveva procurato a lei, e a Tamiko, uno splendido appartamento sulla rive droite di Ginevra. Lloyd era pagato meno bene e nessuno gli aveva assegnato un appartamento; abitava nella cittadina di St. Gems. A lui piaceva vivere in Francia, benché lavorasse quasi sempre in Svizzera; il CERN aveva un permesso speciale che consentiva ai suoi dipendenti di passare da una nazione all’altra senza mostrare il passaporto alla frontiera.

Lloyd aveva preso in affitto l’appartamento già ammobiliato; anche se lavorava al CERN da due anni, non lo considerava casa sua, e l’idea di acquistare dei mobili, che poi gli sarebbe costato una fortuna portare in Nord America, per lui non aveva alcun senso. L’arredamento era un po’ antiquato, ma almeno ben coordinato: legno scuro, tappeto color arancio bruciato, pareti rosso cupo. Dava una sensazione di intimità e di calore, anche se l’ambiente sembrava più piccolo di quanto non fosse realmente. Ma Lloyd non aveva nessun legame emotivo con il suo appartamento… non era mai stato sposato, né aveva vissuto con qualcuno dell’altro sesso e, negli ultimi venticinque anni, da quando aveva lasciato la sua città, aveva avuto undici residenze diverse. Eppure quella sera non c’era il minimo dubbio che dovessero recarsi a casa sua, e non in quella di Michiko. Nell’appartamento di lei ci sarebbe stato troppo di Tamiko, troppo perché lei fosse in grado di affrontarlo subito.

L’appartamento di Lloyd era situato all’interno di un palazzo vecchio di quarant’anni, riscaldato con radiatori elettrici. Sedettero sul divano. Lui le mise un braccio sopra la spalla e cercò di consolarla. «Mi dispiace» le disse.

Il volto di Michiko era ancora gonfio. Aveva dei momenti di calma, ma all’improvviso scoppiava a piangere, e sembrava che non dovesse mai smettere. Michiko annuì appena.

«Non c’era modo di prevedere tutto questo» disse Lloyd. «Nessun modo per evitarlo.»

Ma Michiko scosse la testa. «Che razza di madre sono?» disse. «Ho portato mia figlia dall’altra parte del mondo, lontana dai suoi nonni, da casa sua.»

Lloyd non disse nulla. Che poteva dire? Che gli era sembrata una cosa meravigliosa da fare? Venire a studiare in Europa, anche se solo all’età di otto anni, sarebbe stata un’esperienza fantastica per qualunque bambino. E certo portare Tamiko in Svizzera era stata una giusta idea.

«Dovrei provare a chiamare Hiroshi» disse Michiko. Hiroshi era il suo ex marito. «Accertarmi che abbia ricevuto la mia email.»