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I fisici che studiavano le particelle non erano famosi per la loro eleganza nel vestire, e fino a poco tempo prima Lloyd non aveva fatto eccezione. Ma qualche mese prima aveva deciso di donare il suo intero guardaroba alla sede ginevrina dell’Esercito della salvezza, e di lasciare che la sua fidanzata scegliesse per lui dei capi completamente nuovi. Per dire la verità quegli abiti erano un po’ troppo vistosi per i suoi gusti, ma doveva riconoscere di non avere mai avuto un aspetto così distinto. Oggi indossava una camicia beige, una giacca color corallo, pantaloni marroni con sacche esterne al posto delle tasche e, in ossequio a una moda piú tradizionale, un paio di scarpe nere italiane di pelle. Lloyd aveva anche fatto propri un paio di status symbol universali che, guarda caso, appartenevano alla tradizione locale: una penna stilografica Mont Blanc, che teneva infilata nel taschino della giacca, e un buon orologio svizzero analogico.

Seduta alla sua destra, davanti alla consolle dei rivelatori, vi era la responsabile in carne e ossa della trasformazione, la sua fidanzata, l’ingegner Michiko Komura. Dieci anni piú giovane di Lloyd, Michiko aveva un nasino piccolo all’insù, e capelli neri e lucidi pettinati alla paggetto, secondo la moda del momento.

Alle sue spalle sedeva Theo Procopides, il ricercatore collega di Lloyd. Aveva ventisette anni, diciotto meno di Lloyd e non erano mancati i buontemponi che avevano paragonato il tradizionale, maturo Lloyd e il suo impetuoso collega greco alla coppia di genetisti Crick e Watson. Theo aveva i capelli ricci, neri e folti, gli occhi grigi e la mandibola prominente. Indossava quasi sempre dei jeans di cotone rosso — a Lloyd non piacevano, ma ormai nessuno sotto i trent’anni portava piú i bluejeans — e una delle sue tante magliette con personaggi dei cartoni animati di tutto il mondo; oggi esibiva quella con il venerabile Titti il canarino. Alle rimanenti consolle erano sistemati una dozzina di altri scienziati e ingegneri.

Risalendo lungo il cubo…

A parte il regolare mormorio dell’aria condizionata e il debole ronzio delle ventole di raffreddamento, la sala di controllo era assolutamente silenziosa. Tutti erano tesi e nervosi, dopo una lunga giornata trascorsa a mettere a punto l’esperimento. Lloyd si guardò intorno, poi respirò a fondo. Il suo polso era accelerato, e nel suo stomaco sembrava ci fosse un turbinio di farfalle.

L’orologio alla parete era analogico, come quello sulla sua consolle digitale. Entrambi si stavano rapidamente avvicinando alle 17:00… quelle che per Lloyd, anche dopo due anni che si trovava in Europa, erano ancora le cinque del pomeriggio.

Lloyd era il direttore di un gruppo di lavoro di quasi mille fisici che usavano il rivelatore ALICE (A Large Ion Collider Experiment). Lui e Theo avevano trascorso due anni a progettare la collisione delle particelle prevista per oggi… due anni per svolgere un lavoro che avrebbe potuto richiedere due vite intere. Stavano tentando di ricreare livelli di energia che non erano esistiti fino a un nanosecondo prima del Big Bang, quando la temperatura dell’universo era di dieci milioni di miliardi di gradi. Nel procedimento speravano di scoprire il santo Graal della fisica della massima energia, il bosone di Higgs così tanto ricercato, la particella le cui interazioni fornivano massa ad altre particelle. Se il loro esperimento avesse funzionato, avrebbero finalmente avuto il bosone, e il premio Nobel, che con ogni probabilità sarebbe stato assegnato a chi lo avesse scoperto.

L’intero esperimento era automatizzato e calcolato al secondo. Non c’erano interruttori da abbassare, né levette nascoste sotto coperchi a molla da premere. Sì, Lloyd aveva progettato e Theo aveva codificato i moduli basilari del programma per questo esperimento, ma adesso era tutto sotto il controllo di un computer.

Quando l’orologio digitale raggiunse le 16:59:55 Lloyd cominciò il conto alla rovescia a voce alta insieme a esso. «Cinque.»

Guardò Michiko.

«Quattro.»

Lei lo ricambiò con un sorriso di incoraggiamento. Dio, quanto l’amava…

«Tre.»

Spostò lo sguardo sul giovane Theo, il wunderkind… il genere di stella nel fiore della giovinezza che Lloyd aveva sempre sperato di essere e non era mai stato.

«Due.»

Theo, sempre sfacciato, gli fece un cenno sollevando i due pollici.

«Uno.»

Dio, ti prego… pensò Lloyd. Ti prego.

«Zero.»

E poi…

* * *

E poi, all’improvviso, tutto fu diverso.

Vi fu un cambiamento immediato nell’illuminazione… la fioca luminosità della sala di controllo fu sostituita dalla luce del sole che entrava da una finestra. Ma non vi fu nessuna correzione, nessun disagio… e nessuna sensazione che le pupille di Lloyd si stessero contraendo. Fu come se fosse già abituato a una luce più forte.

Eppure Lloyd non riusciva a controllare i suoi occhi. Voleva guardarsi intorno, vedere ciò che stava succedendo, ma i suoi occhi si muovevano come guidati dalla propria volontà.

Si trovava a letto… nudo, così sembrava. Poteva sentire le lenzuola di cotone scivolargli lungo la pelle mentre si sollevava su un gomito. Mentre la sua testa si muoveva, Lloyd colse l’immagine fugace di alcuni lucernari, che a quanto pareva si affacciavano dal secondo piano di una casa di campagna. Si vedevano degli alberi, e…

No, non poteva essere. Quelle foglie erano diverse, di un rosso vivo e freddo. Ma oggi era il 21 aprile… primavera, non autunno.

Lo sguardo di Lloyd continuò a spostarsi e, improvvisamente, in quello che avrebbe potuto essere un sussulto, si rese conto di non essere solo nel letto. Insieme a lui c’era qualcun altro.

Si ritrasse.

No… no, non era esatto. Fisicamente non reagì affatto; fu come se il suo corpo si fosse separato dalla sua mente. Ma provò la sensazione di ritrarsi.

L’altra persona era una donna, ma…

Che diavolo stava succedendo?

Era vecchia, grinzosa, con la pelle traslucida, i capelli simili a una ragnatela bianca. Il collagene che un tempo aveva riempito le sue guance si era sedimentato come bargigli sui lati della bocca, una bocca che adesso sorrideva, le linee di quel sorriso perse in mezzo alle rughe permanenti.

Lloyd tentò di rotolare via da quella megera, ma il suo corpo si rifiutò di collaborare.

In nome di Dio, che stava succedendo?

Era primavera, non autunno.

A meno che, naturalmente, non si trovasse nell’emisfero meridionale. Trasportato chissà come dalla Svizzera all’Australia…

Ma no. Gli alberi che aveva scorto al di là della finestra’ erano aceri e pioppi; doveva essere il Nord America o l’Europa…

La sua mano si protese. La donna indossava una camicia blu scuro. Non era la parte superiore di un pigiama, però; aveva delle spalline sbottonate e diverse tasche… un capo d’abbigliamento di tipo militare, in tela di cotone, del tipo che si può acquistare da L. L. Bean o da Tilley, quello che potrebbe indossare una donna pratica del giardinaggio. Adesso Lloyd sentì le sue dita che accarezzavano la stoffa, che ne saggiavano la morbidezza, la flessuosità. E poi…

E poi le sue dita trovarono il bottone, duro, di plastica, riscaldato dal corpo di lei, traslucido come la sua pelle. Le dita strinsero senza esitazione il bottone, lo sospinsero verso l’esterno, lo fecero scivolare di lato attraverso la cucitura in rilievo intorno all’asola. Prima che la camicia si aprisse del tutto, lo sguardo di Lloyd, che ancora agiva di iniziativa propria, tornò a sollevarsi sul volto della vecchia, e si fissò sui suoi pallidi occhi azzurri, le cui iridi erano circondate da anelli spezzati di bianco.

Sentì le sue stesse guance contrarsi mentre sorrideva. Le sue mani scivolarono sotto la camicia della donna, trovarono il suo seno… Ebbe nuovamente voglia di ritrarsi, di tirare indietro la mano. Il seno era morbido e avvizzito, la pelle flaccida e pendula, come un frutto andato a male. Le dita si unirono, seguendo i contorni del seno, trovando il capezzolo.