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No, il suo assassino doveva essere qualcuno che poteva entrare al CERN. Qualcuno con cui Theo potesse incontrarsi faccia a faccia. E qualcuno che non lo voleva solo morto, ma che doveva chiaramente dare sfogo alla sua rabbia repressa, imbottendo di proiettili il corpo di Theo.

Lloyd e Michiko si erano spostati sul divano in soggiorno; i piatti potevano aspettare.

Dannazione, pensò Lloyd, perché doveva succedere tutto questo? Tutto andava così bene, e adesso…

E adesso sembrava che ogni cosa dovesse cadere a pezzi.

Lloyd non era giovane. Non avrebbe mai voluto sposarsi così tardi, ma…

Ma il lavoro era venuto prima di ogni altra cosa, e…

No. No, non era così. Siamo onesti. Guardiamo in faccia la realtà.

Lui pensava a se stesso come a un uomo buono, dolce e gentile, ma…

Ma, per dire la verità, non era educato, non era sciolto; era stato facile per Michiko migliorare il suo guardaroba perché, naturalmente, quasi ogni cambiamento non poteva che essere per il meglio.

Oh, certo, le donne — e gli uomini, quanto a questo — dicevano che era un buon ascoltatore. Ma Lloyd sapeva che non si trattava tanto di saggezza, quanto piuttosto del fatto che proprio non sapeva cosa dire. Così se ne restava seduto a guardare, osservando le vette e gli abissi delle vite dell’altra gente, gli alti e i bassi, le rotte e i travagli di coloro la cui esistenza aveva più varietà, più eccitazione, più angoscia della sua.

Lloyd Simcoe non era un conquistatore di cuori femminili, non era un affabulatore, non aveva la reputazione di essere un maestro nei discorsi del dopo cena. Era semplicemente uno scienziato, uno specialista in plasma dei gluoni del quark, un povero imbranato che da bambino non sapeva tenere in mano la mazza da baseball, che aveva trascorso la sua adolescenza con il naso sepolto nei libri mentre i suoi coetanei erano fuori ad affilare le loro capacità in mille situazioni differenti.

Gli anni erano trascorsi… aveva raggiunto i trenta, i quaranta, e adesso si avvicinava ai cinquanta. Oh, certo, aveva avuto successo nel lavoro, e ogni tanto aveva anche avuto qualche appuntamento galante, e poi c’era stata Pam, tanti anni prima, ma niente che desse l’impressione di essere duraturo, nessuna relazione che sembrasse destinata a reggere all’assalto del tempo.

Fino a questa, la relazione con Michiko.

Gli era sembrata giusta. Il modo in cui lei rideva alle sue battute, e lui a quelle di Michiko. Il modo in cui, pur essendo cresciuti in ambienti sociali così diversi — lui nella conservatrice, contadina Nuova Scozia, lei nella cosmopolita, travolgente Tokyo — condividevano la stessa politica, la stessa morale, le stesse idee e opinioni, come se — di nuovo quel termine, non richiesto — come se loro due fossero anime gemelle, destinate da sempre a vivere insieme. Sì, lei era stata sposata e divorziata, certo, aveva — aveva avuto — una figlia, eppure Lloyd e Michiko sembravano assolutamente in sintonia, giusti l’uno per l’altra.

Ma adesso…

Adesso sembrava che anche quella fosse un’illusione. Il mondo poteva anche continuare a discutere, per decidere quale realtà riflettessero le visioni, se mai ce n’era una, ma Lloyd le aveva già accettate come un dato di fatto, descrizioni reali del domani, l’unico inalterabile continuum spaziotemporale nel quale era sempre stato convinto di trovarsi.

Eppure doveva spiegarle ciò che provava: lui, Lloyd Simcoe, l’uomo di poche parole, il buon ascoltatore, il bravo ragazzo, colui al quale si rivolgevano gli altri quando avevano dei dubbi. Doveva spiegarle quello che passava nella sua mente, e perché la visione di un matrimonio dissolto ventuno anni — ventuno anni! — più tardi lo paralizzava fino a quel punto, e avvelenava ciò che era stato convinto di possedere.

Guardò Michiko, abbassò lo sguardo, tentò di nuovo di fissare i suoi occhi, poi li focalizzò su un punto vuoto della parete rosso vino dell’appartamento.

Non aveva mai parlato di quello a nessuno… nemmeno a sua sorella Dolly, almeno non finché erano ragazzi. Respirò a fondo, poi comincio, gli occhi sempre puntati sulla parete. «Quando avevo otto anni, i miei genitori chiamarono me e mia sorella in soggiorno.» Deglutì. «Era un sabato pomeriggio. Da settimane aleggiava una grande tensione in casa. E un modo adulto di esprimersi: ‘aleggiava una grande tensione’. Da bambino, tutto quello che capivo era che papà e mamma non si parlavano. Oh, quando dovevano parlare lo facevano, ma sempre in tono aggressivo. E tutto si concludeva sempre con qualche frase soffocata, come ‘se le cose stanno così…’, ‘io non ho intenzione…’, ‘non ti permettere…’. Roba del genere. Quando capivano che potevamo sentirli cercavano di assumere un tono più civile, ma noi sentivamo molto più di quanto loro credessero.»

Rivolse un’occhiata fuggevole a Michiko, poi tornò a fissare la parete. «Insomma, ci chiamarono in soggiorno. ‘Lloyd, Dolly… venite qui!’ Era mio padre. E, sai, quando ci gridava di venire, di solito significava che dovevamo aspettarci qualche problema: non avevamo rimesso a posto i giocattoli, oppure un vicino si era lamentato per qualcosa che avevamo fatto, una cosa qualsiasi. Be’, io uscii dalla stanza, e Dolly dalla sua, e in qualche modo ci guardammo in faccia, sai, appena un’occhiata, appena un momento di paura condivisa.» Adesso fissò Michiko, come aveva fatto con sua sorella tanti anni prima.

Lloyd prosegui: «Scendemmo le scale, e loro due erano lì: papà e mamma. E stavano tutti e due in piedi, e anche noi rimanemmo in piedi. Ci rimanemmo per tutto il tempo, come se stessimo aspettando un fottuto autobus. Per un po’ loro restarono in silenzio, come se non sapessero cosa dire. Poi, alla fine, fu mia madre a parlare. Disse: ‘Vostro padre se ne va.’ Proprio così. Nessun preambolo, nessuna frase per addolcire la pillola. ‘Vostro padre se ne va’.

«Poi parlò lui. ‘Troverò una sistemazione da queste parti. Potrete vedermi tutti i fine settimana’.

«E mia madre aggiunse, come se fosse necessario: ‘Vostro padre e io non andiamo più d’accordo’.»

Lloyd tacque.

Michiko assunse un’espressione comprensiva. «Lo hai visto spesso, dopo che se n’è andato?» gli domandò alla fine.

«Non se n’è più andato.»

«Ma i tuoi genitori hanno divorziato»

«Sì… sei anni dopo. Ma dopo quel grande annuncio, lui non se ne andò via. Rimase a casa.»

«Quindi si sono riconciliati?»

Lloyd alzò appena le spalle. «No. No, i litigi continuarono. Ma non si parlò più del fatto che lui se ne andasse. Noi, Dolly e io, continuammo ad aspettare il colpo di grazia, che lui lasciasse casa. Per mesi — davvero, per tutti i sei anni che durò ancora il loro matrimonio — noi eravamo convinti che se ne potesse andare in ogni momento. Non era mai stata menzionata una data limite, dopotutto… loro non avevano mai detto quando se ne sarebbe andato. E quando alla fine si divisero fu quasi un sollievo. Io volevo bene a mio padre e a mia madre, ma avere quella spada di Damocle sopra la testa per tanto tempo era stata una cosa impossibile da sopportare.» Fece una pausa. «E un matrimonio come quello, uno finito male… mi dispiace, Michiko, ma credo che non potrei mai affrontare di nuovo una situazione del genere.»

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Terzo giorno: giovedì 23 aprile 2009

NOTIZIARIO

L’uffcio del Procuratore di Los Angeles ha deciso di non perseguire tutti i casi di reati minori, per consentire al personale di dedicarsi al a valanga di nuove denunce per sciacal aggio verifcatesi subito dopo il Cronolampo.