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Il Dipartimento di flosofa dell’Università di Witwatesrand, Sud Africa, riferisce di un numero record di richieste di iscrizione ai corsi.

Amtrak negli Stati Uniti, Via Rail in Canada e British Rail segnalano un enorme aumento del volume dei passeggeri. Nessuno dei treni gestiti da queste società è deragliato durante il Cronolampo.

La Chiesa delle sacre visioni, nata ieri a Stoccolma, Svezia, afferma oggi di avere dodicimila aderenti sparsi in tutto il mondo; questo ne fa la religione del pianeta con il tasso di crescita più veloce.

L’Associazione dei notai americani riferisce di un enorme aumento nelle richieste di nuovi testamenti, o di modifca di quel i vecchi.

Il giorno successivo Theo e Michiko erano impegnati a configurare il loro sito Web per coloro che volessero riferire le loro visioni. Avevano deciso di chiamarlo progetto Mosaico, sia in onore del primo browser popolare (ma ormai da lungo tempo abbandonato) che in segno di riconoscimento del fatto ormai accertato, grazie agli sforzi dei ricercatori e dei giornalisti di tutto il mondo, che la visione di ogni individuo rappresentava davvero la tessera di un enorme ritratto a mosaico del 2030.

Theo aveva una tazza di caffè. Lo sorseggiò, poi disse: «Posso farti una domanda sulla tua visione?»

Michiko guardò le montagne fuori dalla finestra. «Certo.»

«Quella bambina che era con te, tu pensi che sia tua figlia?» Per poco non aveva detto ‘è la tua nuova figlia’, ma per fortuna aveva censurato il pensiero prima di formularlo.

Michiko sollevò appena le spalle magre. «Sembra di sì.»

«Ed è anche la… figlia di Lloyd?»

Michiko sembrò sorpresa da quella domanda. «Ma certo» rispose, non senza qualche esitazione nella voce.

«Perché Lloyd…»

Michiko si irrigidì. «Te l’ha raccontata la sua visione, no?»

Theo si rese conto di avere commesso una gaffe. «No, non esattamente. Solo che era nel New England…»

«Con una donna che non ero io. Sì, lo so.»

«Sono sicuro che non significa niente. Io non credo che le visioni si avvereranno.»

Michiko tornò a fissare le montagne. Anche Theo si era accorto di guardarle spesso. C’era qualcosa di solido in loro… di permanente, di immutabile. Aveva scoperto che guardarle lo calmava, sapere che c’erano cose che duravano non poche decine di anni, ma millenni.

«Ascolta,» disse lei «ho già divorziato una volta. Non sono così ingenua da pensare che tutti i matrimoni possano durare per sempre. Forse Lloyd e io ci lasceremo, a un certo momento. Chi può dirlo?»

Theo distolse lo sguardo, incapace di affrontare i suoi occhi, incerto su quale sarebbe stata la reazione di lei alle parole che gli ribollivano dentro. «Sarebbe un idiota se ti lasciasse andare» disse.

La sua mano era appoggiata sul tavolo. All’improvviso Theo sentì la mano di Michiko sulla sua, che l’accarezzava dolcemente sul dorso. «Be’, grazie» disse la donna. Lui la guardò e vide che sorrideva. «Questa è la cosa più carina che mi sia mai stata detta.»

Theo ritrasse la mano… ma non prima di qualche dolcissimo secondo in più del necessario.

Lloyd Simcoe lasciò il centro di controllo dell’LHC e si diresse verso l’edificio amministrativo principale. Normalmente gli ci volevano quindici minuti per effettuare il tragitto, ma quello finì col durare mezz’ora, perché lui venne fermato tre volte da fisici che andavano nella direzione opposta e che volevano rivolgergli delle domande sull’esperimento che forse aveva causato la dislocazione temporale, o proporgli modelli teorici per spiegare il Cronolampo. Era una splendida giornata di primavera… fredda, ma con grandi masse di nuvole nel cielo azzurro e limpido che rivaleggiavano con le vette a oriente del campus.

Alla fine entrò nell’edificio e si diresse verso l’ufficio di Béranger. Naturalmente aveva preso un appuntamento (per il quale era adesso in ritardo di quindici minuti); il CERN era una struttura molto complessa, e non c’era modo di piombare all’improvviso nell’ufficio del direttore generale.

La segretaria di Béranger disse a Lloyd di accomodarsi, e lui lo fece. La finestra al terzo piano dava proprio sul campus. Béranger si alzò da dietro la scrivania e prese posto su una sedia del lungo tavolo per conferenze, gran parte del quale era ricoperto da fogli con calcoli sperimentali sul Cronolampo. Lloyd sedette dal lato opposto.

«Oui?» disse Béranger. «Sì? Che succede?»

«Voglio uscire allo scoperto» disse Lloyd. «Voglio raccontare al mondo il nostro ruolo in quello che è successo.»

«Absolument pas» disse Béranger. «Non se ne parla nemmeno.»

«Dannazione, Gaston, prima o poi dovremo farlo.»

«Lei non sa se è colpa nostra, Lloyd. Non può provarlo… e nemmeno qualcun altro. Immagino che i telefoni saranno diventati bollenti, naturalmente: immagino che ogni scienziato del mondo stia ricevendo telefonate dai media, che vogliono opinioni su ciò che è successo. Ma ancora nessuno l’ha collegato a noi… e c’è da sperare che nessuno lo farà.»

«Oh, andiamo! Theo dice che lei è piombato al centro di controllo dell’LHC subito dopo il Cronolampo… lei ha capito fin dal primo momento che era colpa nostra.»

«Questo è stato quando ritenevo che fosse un fenomeno localizzato. Ma una volta saputo che era a livello mondiale, ho riconsiderato la cosa. Crede che noi fossimo l’unico centro all’opera su qualcosa di interessante in quel momento? Ho controllato. Il KEK, in Giappone, stava svolgendo un esperimento che ha avuto inizio appena cinque minuti prima del Cronolampo; anche il Centro dell’acceleratore lineare di Stanford stava facendo collidere delle particelle. L’Osservatorio sui neutrini di Sudbury ha rilevato un’esplosione poco prima delle 17.00; e a quella stessa ora in Italia c’è stato anche un terremoto di intensità tre punto quattro della scala Richter. Un nuovo reattore a fusione è entrato in attività in Indonesia esattamente alle 17.00, ora dell’Europa centrale. E la Boeing stava effettuando una serie di test sui motori a razzo.»

«Né il KEK, né Stanford sono in grado di produrre livelli di energia avvicinabili a quelli che può produrre il grande collisore» obiettò Lloyd. «E gli altri sono eventi tutt’altro che insoliti. Lei si sta attaccando alle pagliuzze.»

«No» replicò Béranger. «Io sto svolgendo un’indagine appropriata. Lei non è sicuro — non a livello di certezza morale — che siamo stati noi, e finché non ne avrà la certezza, non dirà una sola parola.»

Lloyd scosse la testa. «So che lei passa il tempo in mezzo alle scartoffie, ma credevo che nel suo cuore lei fosse ancora uno scienziato.»

«Io sono uno scienziato» disse Béranger. «Qui si parla di scienza… di buona scienza, nel modo in cui si suppone debba essere fatta. Lei è pronto a fare un annuncio prima ancora che tutti i fatti siano stati accertati. Io no.» Fece una pausa, respirò a fondo. «Mi ascolti,» disse «la fede della gente nella scienza e già stata scossa abbastanza in questi ultimi anni. Troppe cose spacciate per scienza si sono poi rivelate degli inganni o delle montature.»

Lloyd lo guardò.

«Percival Lowell — al quale servivano solo delle lenti migliori e un’immaginazione un po’ meno fervida — affermò di avere visto dei canali su Marte. Invece lì non ci sono canali.

«Stiamo ancora lottando contro le conseguenze di qualche idiota che a Roswell ha avuto la buona idea di affermare che ciò che stava vedendo era il relitto di un’astronave aliena, invece che un semplice pallone meteorologico.

«Si ricorda dei Tasaday? Quella tribù scoperta negli anni settanta in Nuova Guinea che sembrava rimasta all’età della pietra, e della quale si disse che non aveva una parola per ‘guerra’? Gli antropologi sono piovuti lì da tutte le parti per studiarli. C’era solo un problema… era tutta una montatura. Ma gli scienziati hanno pensato solo a partecipare alle trasmissioni televisive, e si sono ben guardati dal cercare delle prove scientifiche.»